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Siamo a Sanremo, ridente cittadina in provincia di Imperia, nota al grande pubblico perché dagli
anni della TV in bianco e nero la RAI proponeva il festival della canzone italiana. E lo fa ancora.
Certo, il “format” della trasmissione si è evoluto con il tempo e con la tecnologia. E’ diventato,
soprattutto in questo ultimo decennio uno dei pochissimi “cavalli di battaglia” della rete
“ammiraglia” della RAI. Sanremo è anche la sede del Casinò municipale, una sede che ha da molto
da offrire. Lo dimostra il fatto che per ricordare il 90° anniversario del Regio Decreto di fine
dicembre 1927 (e la sua successiva conversione in legge), con il quale si sanciva l’apertura, sia
stato pubblicato il volume “Agosti-De Santis; dall’azzardo alla cultura del gioco” (De Ferrari
editore). Curato dalla Dott.ssa Marzia Taruffi, il libro ripercorre la storia a tutto tondo di questa
imponente costruzione, realizzata all’epoca dal Podestà Pietro Agosti e dall’allora gestore della
Casa da Gioco (il ficheur), il partenopeo Luigi de Santis, i quali, ciascuno per la propria parte, nei
pochi anni in cui collaborarono insieme (a fine aprile del 1930 il primo venne meno), gettarono le
basi per trasformare la Casa di Gioco in un’azienda funzionale all’immagine turistica della Città,
con la vocazione sia di leadership internazionale per gli amanti del gioco sia di volano per il
territorio. Aspetti, che racchiudono ancora oggi il concetto di ottimizzazione delle potenzialità del
Casinò come polo culturale. Il 1929 fu un anno di successi, nel campo culturale: venne inaugurata,
nel maggiore salone, la stagione dei Balletti Italiani; tanti i conferenzieri illustri invitati nei “Lunedì
culturali”, curati dal poeta Luigi Pastonchi; per portare il saluto della Casa da Gioco lo stesso Luigi
de Santis, il 27 febbraio 1933, accolse Sua Eccellenza l’ambasciatrice Alice Garret, consorte
dell’Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, che tenne una conferenza sul tema “Pittura
contemporanea”. Nell’immaginario collettivo il Casinò spesso viene assimilato unicamente al
luogo dove si gioca d’azzardo. Poco conta se si dispone di soli 20 euro da destinare alle slot
machines oppure di una cifra con almeno cinque zero che, trasformata in lucenti fiches, passa dal
piatto della roulette a quello dello chemin de fer; il concetto è sempre lo stesso: tentare la fortuna.
In realtà, come emerge dall’analisi storica la cultura, nell’accezione più ampia della parola, è nel
“DNA” del Casinò. I Lunedì culturali sono diventati i “Martedì letterari”, di cui la Dottoressa Taruffi
è l’anima oltre che la responsabile. Lunghissima la coda di coloro i quali ambiscono alla sala per
poter parlare al pubblico. Accuratissima la selezione, condotta da un’apposita commissione del
Casinò, per decidere quali eventi culturali hanno le caratteristiche per far parte del programma
annuale.
Il destino vuole che durante l’inverno del 2021, nella Presidenza dell’ANMI (Associazione
Nazionale Marinai d’Italia), giunge, tra le altre, una copia del libro “La laguna taceva”; l’Autrice,
con il garbo che la distingue, spera in una eventuale recensione sulle pagine del “Giornale dei
Marinai d’Italia”, che rappresenta il vettore di comunicazione più concreto inviato ai nostri oltre
33.000 Soci. Spinto dalla curiosità per la particolare tematica che Graziella ha trattato, ovvero

“l’Uomo Luigi Rizzo”, lo leggo con attenzione e, senza alcun dubbio, provvedo alla recensione1. Un
libro, che mi ha colpito per la narrazione empatica che Graziella è riuscita a creare e poi a riversare
con semplicità e naturalezza nelle pagine della sua creatura (ci sono voluti 4 anni prima che
vedesse luce). Forte, quindi, di questo mio breve scritto, la cui pubblicazione è avvenuta poi nel
numero di giugno 2021 (pag. 37), ma soprattutto della conoscenza personale tra il Delegato
Regionale ANMI per la Liguria, l’ex-Capitano di Lungo Corso Pietro Pioppo, e la dott.sa Taruffi
abbiamo avanzato richiesta al Casinò di Sanremo di presentare, insieme a Graziella Lo Vano, “La
laguna taceva”.
Di nuovo, il destino ha voluto che questo sogno si potesse avverare: martedì 15 marzo 2023, ore
16.00, la sala del Casinò municipale di Sanremo, dedicata ai “Martedì letterari”, è piena. Al tavolo
dei relatori il sottoscritto, la scrittrice e la Dottoressa Taruffi, moderatrice. Cala il silenzio. Fatte le
dovute presentazioni a beneficio del pubblico presento brevemente l’Associazione, la sinergia
realizzata con Graziella, l’importanza per noi “Marinai” di far conoscere Luigi Rizzo. Poi è la
moderatrice a “guidare” l’Autrice nella presentazione della sua opera. Mi ha colpito, in particolare,
la versatilità di Graziella e la capacità di trasmettere emozioni al pubblico in sala. Alterna la lettura
di alcuni passi del libro con delle osservazioni puntuali e foriere di riflessioni. E lo ha fatto con
indiscussa bravura perché è riuscita, modulando sapientemente il tono della voce, a impersonare,
rendendole palpabili, le figure di Luigi, di Giuseppina oltreché di quella “fuori campo”. L’esperienza
teatrale le ha lasciato il segno, mi è venuto da pensare. Tanti gli applausi che l’uditorio, durante la
1 La figura di eroe e di grande marinaio dell’Ammiraglio Luigi RIZZO è ampiamente conosciuta soprattutto
nel “mondo” della Marina Militare, ma viene ricordata anche in alcuni settori della società civile. In molti testi
sono raccontate le sue imprese, fra le quali spicca quella del 10 giugno 1918 al largo di Premuda, nella quale
attaccò e affondò la corazzata austriaca Szent István. In questo giorno, come noto, ricorre la festa della Marina
Militare. Il libro “La laguna taceva” descrive, però, soprattutto l’uomo, con le proprie emozioni , sensibilità,
preoccupazioni e sentimenti. L’Autrice, grazie ai ricordi raccolti dalla contessa Guglielmina Maria Rizzo di
Grado e di Premuda, figlia dell’Ammiraglio Rizzo, descrive con naturale semplicità e incisiva intensità alcuni
anni della vita di colui che sarebbe, poi, divenuto un eroe.
Il romanzo, ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, ha come cornice Grado, cittadina ora del Friuli
Venezia Giulia, che però in quegli anni era terra di confine, tanto contesa, divenendo teatro di momenti difficili
per le famiglie italiane. Il protagonista principale è il giovane tenente siciliano Rizzo, che, animato da un
convinto patriottismo, si fa apprezzare dai suoi Superiori per le sue indubbie elevate qualità militari. Come
personaggi di rilievo spiccano Giuseppina Marinaz, fidanzata e poi divenuta moglie, e il padre di Lei, il dottor
Angelo Marinaz. Entrambi risultano fondamentali per il ruolo che hanno nel romanzo. Alcuni flash relativi
all’infanzia di Luigi Rizzo, come il giocare con gli amichetti con le nocciole e i bottoni, che una volta finiti
venivano staccati di nascosto dal vestito, pongono le basi per raccontare l’uomo Rizzo. Riporto solo alcuni
particolari aspetti, allo scopo di rendere l’idea delle qualità umane raccontate. Il corteggiamento a Giuseppina,
condotto sempre in modo molto attento nel parlare e nell’assumere atteggiamenti e comportamenti idonei per
non rischiare di rovinare un legame appena avviato, la decisione di sposarsi prima di momenti peggiori per
assicurare un sostentamento economico alla moglie in caso di sua morte, la giovanile goliardia di utilizzare una
bicicletta per giungere in chiesa in tempo per il matrimonio, la sensibilità mostrata nei riguardi di Fifì, un cane
randagio visto in difficoltà e poi divenuto il suo fido amico e mascotte.
Giuseppina, figura femminile di grande spessore e coraggio nonostante la giovine età, che poco più che
diciassettenne (insieme ad altre “mamole”) issa il tricolore sulla sommità del campanile della chiesa di Santa
Eufemia per far sapere ai soldati italiani che gli austriaci si erano ritirati da Grado. Innamorata di Rizzo, gli è
sempre vicina. Profonda tenerezza suscita l’immagine nella quale Giuseppina, scappando in fretta da Grado
subito dopo il matrimonio, vede cadere in acqua e scomparire dalla sua vista il baule, che contiene tutta la sua
dote da sposa. Il dottore Marinaz rappresenta la fierezza dell’italianità, che essendo stato costretto dagli
Austriaci, come tutti i connazionali, a modificare il proprio cognome (quello originario era Marina), decide di
continuare a esercitare la propria professione nella profondo rispetto della deontologia professionale, per la
quale un medico interviene a prescindere dalla nazionalità del paziente. Il romanzo, la cui lettura scorre facile,
ci fa scoprire le belle qualità umane dell’Ammiraglio Rizzo, che non a molti erano note, e l’importanza di un
amore vero e così forte, che consente di superare ogni ostacolo.

presentazione di quasi due ore, le ha tributato. Un successo confermato anche dall’immediata
vendita delle copie dei libri che l’editore (Armenio) aveva provveduto a far giungere al Casinò.
L’Autrice su ognuna non si è risparmiata di apporre dedica e firma.
Non so dire se l’ANMI tornerà, presto o tardi che sia, ai “Martedì letterari” del Casinò municipale
di Sanremo, magari con la presentazione di un’altra opera libraria appartenente alla nostra
“dimensione”. Questa bella esperienza comunicativa, svolta in una famosa Città di mare, spinge a
esaminare la possibilità di portare “la laguna taceva”, ovviamente potendo contare sempre sulla
disponibilità di Graziella, sui monti. Presso cioè quei Gruppi dell’Associazione, dove in inverno la
neve è di casa. Far conoscere questo nostro eroe, che ha indossato con orgoglio l’uniforme di
Ufficiale di Marina, e soprattutto l’uomo Rizzo con i suoi sentimenti e le sue emozioni, che ne “La
laguna taceva” vengono presentati con particolare maestria, è un impegno che l’Associazione
Nazionale Marinai d’Italia è pronta ad assumere.

IL PRESIDENTE NAZIONALE
Amm. sq. (r) Pierluigi ROSATI

INTERVISTA (terza puntata)

- Non ci tenga col fiato sospeso Professore. La preghiamo di continuare.
- Ero come ubriaco: «Mà, Mà, Cupaiuolo torna a Napoli e mi vuole portare con sé.
Mà, ci pensi? Diventerò professore di latino nell’Università di Napoli». «E noi come
faremo?» disse subito mia madre, con le lacrime agli occhi.
Non ci avevo pensato: sono stato sempre più pronto a volare che a considerare gli
eventuali intoppi al volo: «Ma io vi mando sempre i soldi ogni mese, là prenderò lo
stipendio di assistente». «E non devi pagarti la casa, farti la spisa, comprarti i vestiti,
i libri, i giunnali? Farai ‘na mala vita tu e facciamo ‘na mala vita noi. Poi ti pigghia
‘na bedda fimmina ‘i Napuli …, e cu si vitti si vitti. Pensaci, fighhiu». E piangeva.
Mia madre, mia madre. Ah, mia madre. Ancora mi commuovo nel pensarla. Che
donna. Un affetto profondo. Un legame di quelli indissolubili che si stabiliscono, di
norma, tra madri e figghi masculi in Sicilia. Mi aveva insegnato a leggere e a
scrivere prima che andassi alla scuola elementare: al tramonto, seduti io e lei,
accanto alla sua macchina da cucire, che stava sotto la finestra della camera da letto,
illuminata dai raggi del sole calante sulla campagna: buon profumo, pulizia, nitore,
armonia, delicatezza! Avevo meno di quattro anni e non posso sbagliare perché non
era ancora nato mio fratello; lei mi comprava ogni settimana il “Correre dei Piccoli”
e me lo leggeva, illustrando i fumetti col dito; io mangiavo tutte le sue parole,
associandole alle parole scritte sul giornaletto e ai fumetti su cui passava il suo dito
lungo, affusolato, da regina. Qualche mese dopo, non so come e perché, sapevo
leggere e scrivere. Mia madre mi ha pure insegnato la prima poesia («Avevi due
anni – diceva – ma forse esagerava»): «Lunga fila di casine / Con fineste (sic) e
pollicine (sic) / Passa via con pampatore (sic) / Taspottando (sic) il viaggiatore».
Ovviamente, le «fineste» erano le finestre e le «pollicine» le porticine; così come
«pampatore» stava per «gran fragore» e «taspottando» per trasportando. Aggiungeva
lei stessa, peraltro, che, qualche giorno dopo, io, arrivando a «taspottando» mi
fermavo, come se la poesia finisse lì. Al che lei: «taspottando»? E io ridendo: «il
viaggiatore». Era forse, a ben pensarci, la prima forma di interazione, di
interlocuzione, se non di amore, tra me e la persona amata.
Come si faceva a non prendere in considerazione il pianto di questa mamma?
- E che ha fatto, Professore?
- Sono rimasto a lungo indeciso: oscillavo tra le due ipotesi: restare o partire? Poi, il
caso (il destino? il Padreterno?) mi ha dato una mano. Questa volta, il caso-destino-
Padreterno ha preso le fattezze del prof. Franco Scisca, vicepreside, come dicevo, al
“Bisazza” e – aggiungo – assistente volontario alla cattedra di Lingua e Letteratura
Italiana al Magistero.

Una di quelle mattine, in cui, prima del suono della campanella, parlavamo, in
Presidenza, di film, di poeti e di romanzieri, il vicepreside mi disse: «Professore, lei,
ancora così giovane, è già arrivato al Liceo; potrebbe intraprendere la carriera
accademica; perché non viene al Magistero dove c’è un giovane professore che
vuole fondare una scuola? La presenterò io stesso al prof. Colicchi».
E io, con la mia solita ingenuità: «Ma sono stato ternato nel concorso per assistente
di Latino alla Facoltà di Lettere e sto aspettando che arrivi il posto. Anzi, proprio
ieri, il prof. Cupaiuolo che torna a Napoli, mi ha proposto di andare con lui a
Napoli».
A questo punto, Scisca mi si rivolse come un padre al figlio: «Professore, uno come
lei, a Lettere, se lo mangiano»! Una frase, questa – come l’altra di Anthos Ardizzoni
– che non si dimentica e che infine orienta, se non determina del tutto, la vita di un
giovane: evidentemente, il vicepreside aveva colto un aspetto fondamentale – forse,
l’ingenuità mista alla genuina, ma sprotetta, volontà di sapere – della mia personalità
e, da uomo scafato, consapevole dei modi di vita altoborghesi – il fratello era
peraltro un alto magistrato della città –, certamente esperto delle logiche clientelari,
non meritocratiche né trasparenti, perlopiù operative nell’Università, volle mettermi,
paternamente, in guardia. E non c’era mattina che non mi invitasse a seguirlo alla
Facoltà di Magistero.
Alla fine, comunicai a Cupaiuolo e a mia madre la mia decisione di restare a
Messina e mi recai al Magistero col mio mentore, che mi presentò al Prof. Calogero
Colicchi, il quale sorridendo mi accolse «nella famiglia», affidandomi subito il
compito di correggere un tema svolto da una studentessa (che corressi con
particolare scrupolo!) e, dopo qualche giorno, mi nominò assistente volontario alla
Cattedra di Lingua e Letteratura Italiana della Facoltà di Magistero dell’Università
degli Studi di Messina: percepivo lo stipendio intero di professore del “Bisazza” e il
25% , mi pare, dello stipendio di assistente. Qualche mese dopo, fu bandito il
concorso nazionale per assistente ordinario in quella Facoltà; vinsi (insieme con altri
due) e fui chiamato immediatamente da Colicchi, dimettendomi ovviamente da
professore della Scuola Superiore.
Oggi, non posso non considerare la mia fortuna: all’epoca, entravano facilmente
all’Università i «figli di papà» o coloro che si acconciavano a «servire» un politico o
un «maestro» reale o presunto; laddove io ero stato accompagnato per mano, nel
mio insolito percorso, da figure veramente paterne che mi avviavano generosamente
– bontà loro – nel mondo accademico.
Qui comincia, dunque, la storia della mia attività universitaria, che riflette, come
cartina al tornasole. le vicende dell’italianistica, in Italia, tra prima e seconda
repubblica, e che merita un più lungo discorso. Ma fermiamoci qua. Sarà per la
prossima puntata.

San Pier Niceto, il comune dell’entroterra tirrenico della provincia di Messina a una trentina di
chilometri dalla città capoluogo, si segnala viepiù come luogo accogliente, aperto, luminoso, ricco
di splendori artistici – le sue dieci chiese, perlopiù settecentesche, conservano affreschi, statue,
altari barocchi di eccezionale bellezza – e di incantevoli paesaggi naturali.

Isgrò 1
Ieri sera, a incrementarne il fascino, vi si è svolto un evento che scavalca di fatto ogni altra
contingenza locale, messinese e siciliana, per proiettarsi decisamente nella storia: l’amministrazione
comunale, guidata dal sindaco Domenico Nastasi, su impulso, in ispecie, dell’assessore alla cultura
Giuseppe Ruggeri, ha concesso all’unanimità la cittadinanza ordinaria allo scrittore, artista e
drammaturgo Emilio Isgrò, noto in Italia e all’estero, anche per la rivoluzione delle famose
«cancellature». Quanto dire, in primis, che San Pier Niceto ha acquisito di fatto, con questa
iniziativa, una rilevanza internazionale.
L’eccezionale artista Emilio Isgrò vanta – lo ha fatto anche ieri sera – origini sampietresi, dacché
sampiroto era il padre e a San Peri egli stesso, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, ha vissuto la sua
infanzia fino all’adolescenza a contatto col nonno di cui porta il nome, un barcellonese invero, ma
sposato con una sampirota e divenuto, dunque, cittadino di San Pier Niceto. Dalla frequentazione
col nonno molto arguto e dotato di ironia, ma anche dai colori, dalle voci e dai sentimenti palpabili
della comunità sampietrese, Isgrò dice di aver tratto non pochi stimoli per la sua crescita. Già a sei-
sette anni, in effetti, come ha riferito in un sapido intervento l’amico Sottile Zumbo, Emilio, alla
domanda di un suo amico che gli chiedeva cosa facesse, rispose prontamente: «Io faccio il poeta».
Il Maestro è stato presentato da una qualificata giuria coordinata, con intelligenza, dal noto
giornalista della “Gazzetta del Sud” Vincenzo Bonaventura, nella settecentesca Chiesa di San
Francesco, attigua al Palazzo comunale, ragguardevole anche per l’altare dalle volute barocche e
per gli affreschi spettacolari delle pareti e della volta.

Si sono apprezzati gli interventi a) dell’architetto Nino Sottile Zumbo che ha rievocato particolari
illuminanti della vita di San Pier Niceto nei primi decenni del secolo scorso e della formazione
sampietrese dello stesso Sgrò; b) del critico milanese Gino Di Maggio che si è soffermato sul poeta
Emilio Isgrò e sulla sua cerchia di amici poeti tra Roma e Milano (Quasimodo e Pasolini compresi);
c) della professoressa Valentina Certo che da storica dell’arte ha evidenziato il linguaggio artistico-
culturale delle «cancellature», d) della professoressa Antonella Nuccio il cui libro sulla “Società
operaia di San Pier Niceto” ha propiziato il ritorno in paese di Emilio Isgrò.
In verità, gli astanti hanno potuto constatare che San Pier Niceto non produce solo olio e vino ma
anche cervelli eccezionali (di cui i sampietresi possono menare sicuramente vanto). Si direbbe,
peraltro, ad onor di cronaca, che la narrazione di e su San Peri stia cambiando in meglio.
La cerimonia conclusiva nell’aula del Consiglio comunale, in cui si è ratificata la concessione della
cittadinanza onoraria di San Pier Niceto a Emilio Isgrò, ha chiuso in bellezza, tra un mare di
applausi, la bellissima serata.

Che dice, professore, riprendiamo?
- Se vuole. Seguivo, invero, al liceo, con immutato interesse, le lezioni di Greco del prof. Guzzetta e quelle di Matematica del prof. Amato: da ambedue mi sentivo
apprezzato, benvoluto e difatti nelle rispettive materie continuavo a prendere i bei voti del ginnasio. Non seguivo le “non lezioni” di Filosofia del prof. Trassari
(studiavo la filosofia, con piacere, sul manuale di Abbagnano) e le pseudo lezioni di Chimica di una professoressa di cui non ricordo nemmeno il nome. Della Bartoccelli
ricordo solo che una volta – eravamo nell’ultimo anno – accennò al Breviario diestetica di Croce, che andai a comprare e che lessi con piacere, ringraziandola
mentalmente per la notizia. Preso l’abbrivo, lessi la Critica del gusto di Galvano della Volpe, che era uscita nel 1960, e di cui si parlava nelle terze pagine dei quotidiani: da lì, il mio interesse per l’estetica e per la critica letteraria.
- Frequentai, per tre anni, il liceo, ma con la mente e l’anima ero – devo dire –
altrove: i miei maestri, ma anche i miei interlocutori ideali (modestia a parte), erano
Calvino, Moravia, Rossellini, Sciascia, Pasolini, Fellini, Ricciardetto (un giornalista
di “Epoca” che scriveva di politica estera e citava spesso Tucidide, insegnandomi ad
attualizzare la classicità). Fu così che mi salvai, forse, dal conformismo,
dall’ipocrisia e dalla banalità dell’universo piccoloborghese della città dello Stretto.
- Meglio, deve essere contento.
- Sì, andavo avanti, nonostante ovvie difficoltà. Dopo il Liceo, scelsi – stavolta scelsi
io con piena convinzione – la Facoltà di Lettere (indirizzo classico). Intanto, mio
padre aveva avuto l’incidente a bordo, di cui ho detto, e io, da figlio maggiore,
divenni sostegno di famiglia. Per far quadrare il bilancio, facevo il doposcuola a
numerosi ragazzi e ragazze del paese, frequentando, sia pure con qualche difficoltà
logistica, le lezioni delle discipline più importanti: scherzavo con gli amici dicendo
di sentirmi dentro il romanzo di un giovane povero. All’Università, tornai però a
respirare e a socializzare, dopo la fallimentare, asfittica esperienza del liceo. Superai
tutti gli esami con bei voti, trovai persino il tempo di partecipare a qualche iniziativa
politica di contestatori pre-sessantottini e di fare flanella con una bionda compagna
calabrese. Ricordo in particolare i trenta del latino e del greco. L’esame di greco fu
davvero esaltante, indimenticabile. È acqua passata, ma forse vale la pena di
ricordarlo.
- Certo, ci dica.
- Il professor Anthos Ardizzoni, alla fine, nel segnarmi il trenta nel libretto, mi chiese
se avessi già chiesto la tesi. Risposi che ne avevo parlato col professor Cupaiuolo:
«Aspettami qui – mi disse –sul pianerottolo (gli esami si facevano, allora, in

Istituto), quando finiranno gli esami di stamattina, andremo insieme da Fabio
Cupaiuolo».
Uscì dopo un’ora, che trascorsi stordito e gratificato dai complimenti dei colleghi
per l’insolito trenta: in quella materia, molti venivano bocciati e la maggior parte dei
promossi non ondava oltre il ventitré. Mi prese, quindi, Ardizzoni, paternamente,
per mano ed entrò con me nella stanza accanto: «Fabio, questo ragazzo dobbiamo
portarlo avanti. O lo porti avanti tu o lo porto avanti io». E il latinista: «Ma sta
discutendo la tesi con me!».
Il gesto e le parole del famoso grecista diedero invero ali alla mia autostima che
vacillava. Ho avvertito – e avverto – come provvidenziale quell’episodio; al pari di
un altro che mi sarebbe capitato qualche anno dopo e di cui, se vuole, le parlerò
dopo.
- Se vuole, faremo un libro.
- Forse non basterebbe, ma lei mi ha chiesto di togliere il freno. Mi laureai l’anno
dopo, in latino, con «centodieci su centodieci, lode et auspicia publicationis»,
discutendo con Cupaiuolo la tesi sul “Fatum nell’Eneide di Virgilio”. Allegria.
Qualche mese dopo, partecipai a due concorsi a cattedra: uno per l’insegnamento di
latino e greco nei licei classici e uno per l’insegnamento di italiano e latino nei licei
scientifici. Li superai e nel settembre (mi pare) successivo fui convocato al
Provveditorato per la scelta della cattedra. Scelsi – in realtà, mi fu offerto: non
capivo nulla di quei meccanismi burocratici – quella di Lettere dell’Istituto
Magistrale “Bisazza” di Messina. Toccai quasi il cielo con un dito: l’insegnamento
nella mia città e … il primo stipendio. Pressoché contemporaneamente – non mi
chieda le date, perché non me le ricordo – Cupaioulo ottenne che fosse bandito il
concorso per un posto di assistente di ruolo alla cattedra di Letteratura Latina
dell’Università di Messina. Vi partecipai e fui ternato con Nino Grillo, che era già
assistente volontario e che mi aveva seguito della compilazione della tesi, e con
Franco Casaceli, che si era laureato qualche tempo prima di me. Il posto fu
giustamente assegnato a Nino Grillo, ma si attendevano i posti per gli altri due
ternati. Intanto insegnavo, beato, al primo anno del Magistrale Bisazza: prendevo
ogni mattina due autobus e arrivavo a scuola alle 7,50; c’era solo il vicepreside,
prof. Francesco Scisca, l’altra figura paterna che il destino (o il Padreterno) ha posto
sulla mia via. Intrecciavo con lui, ogni mattina, lunghe discussioni sul film che
avevo visto, al cinema, la sera prima (ero diventato, senza accorgermene, un
competentissimo ed entusiasta critico cinematografico), o sulla letteratura
contemporanea: divoravo, all’epoca, i romanzi di Calvino, di Pasolini, di Morava, di
Sciascia e scoprivo contestualmente i grandi poeti della «Quarta generazione», della
«Linea lombarda» e oltre. Continuavo, ovviamente, a frequentare l’Istituto di latino,
nel tempo che mi restava ogni mattina dopo le lezioni e, all’occorrenza, nel
pomeriggio: nella mia ingenuità, ero del tutto avulso dalle logiche da seguire per
conformarsi alla prassi universitaria. Una di quelle mattine il prof. Cupaiuolo mi
comunicò che finalmente era stato trasferito a Napoli e che tornava «a casa»,
aggiungendo: «Tu, caro Rando, naturalmente, vieni con me, a Napoli». Confesso
che ne fui lusingato: sognavo, da molto tempo, di andarmene, di cambiare vita, di
fare altro, lontano dalle strettoie culturali – sempre più asfittiche per uno che
dialogava quotidianamente con Calvino, Pasolini, Sciascia, Bertolucci, Caproni,

Sereni – della città dello Stretto. E poi, da sagittario tosto, sono stato sempre eccitato
dai viaggi, reali o immaginari. Ma qui la storia si fa davvero romanzesca.
Fermiamoci qui: consideri, questa, la seconda puntata.

- Di Rosario Fodale -

Abbiamo notato una rara foto pubblicata su Facebook con tre geniali personaggi, Giuseppe Messina, Nino Bellinvia e Melo Freni, ed è bastata per
farci sentire il desiderio di contattare il Messina, nostro collaboratore per realizzare questa intervista che riteniamo sia interessante.

CON MELO GIUSEPPINA NINO ED ALTRI

Così abbiamo scoperto che Giuseppe Messina, quello che tutti riconosciamo essere un
poliedrico artista, nel vero senso del termine, (essendo pittore, scultore, scrittore,
giornalista, autore di teatro e di cinema, poeta, attore e regista) desiderava da
tempo fare incontrare due suoi carissimi amici, i due grandi personaggi
dell’attuale cultura italiana, tra l’altro, testimoni di un tempo che ci sembra
difficile possa ritornare, Nino Bellinvia e Melo Freni.


Domanda: Stando a quanto abbiamo appreso Freni e Bellinvia non si
conoscevano. Cosa puoi dirci?
Risposta: Ciascuno ha sempre saputo chi è l’altro, ma non si erano mai incontrati.
Melo Freni è giornalista, scrittore, regista, direttore di programmi culturali di Rai Uno
e conduttore di “TG l’una”, “L’approdo” e altri programmi interessanti oltre ad
essere stato inviato speciale in tutte le parti del mondo dove andava per realizzare le
sue pregiate interviste a personaggi straordinariamente popolari e di grande cultura.
Nino Bellinvia, è non soltanto il giornalista redattore di tante prestigiose testate
d’impegno socio-culturale, egli, da giovanissimo, ha cominciato a scrivere per la
storica “L’Ora” di Palermo per approdare poi alle numerose riviste e quotidiani come
“Il Corriere del Giorno” di Puglia e Basilicata, si occupa anche del settore “Cultura e
Società” della rivista inglese “Britalyca News” di Londra che esce pure in lingua
italiana ed è stato alla direzione di diverse reti televisive, ma è noto come autore di
centinaia di testi di canzoni, è critico musicale artistico e letterario oltre ad essere
ideatore ed editore dell’annuale apprezzata rivista (I Magnifici delle Sette Note), un
robusto contenitore di notizie riguardanti artisti del mondo musicale e non soltanto,
con cenni critici e valutazioni”. Melo Freni e Nino Bellinvia, praticamente due
autentici giornalisti di una prestigiosa professione, quella che ha rispetto delle
quattro importanti regole a salvaguardia della verità, del rispetto del lettore e dei
soggetti in questione e la notizie è soltanto quella di pubblica utilità; regole raramente

rispettate da tanti pseudo giornalisti dei nostri giorni. Loro, lo possiamo affermare
con forza, hanno onorato e onorano la loro professione.
Domanda: Puoi dirci qualcosa in più dei due personaggi?
Risposta: Certamente. Nino e Melo hanno un destino comune ovvero quello di
essere nati a Barcellona Pozzo di Gotto e di essere stati costretti ad emigrare. Ed
hanno fatto bene ad andarsene, poiché se fossero rimasti in città, oggi, probabilmente,
sarebbero soltanto due bravi, ma sconosciuti professionisti e nulla più.
Nino Bellinvia è approdato, prima in Trentino dove ha insegnato in una scuola di
lingua tedesca e poi in Puglia, a Massafra in provincia di Taranto, intanto che
esercitava contemporaneamente la professione di giornalista mentre Melo Freni dopo
una parentesi in Rai a Palermo è andato alla sede centrale della Rai a Roma”.
Adesso Nino Bellinvia viaggia sugli 86 anni e Melo Freni sugli 89. Essi sono
rimasti sempre legati alla loro città d’origine con un sentimento incancellabile tant’è
che sono solitamente ritornati tutti gli anni per trascorrere le ferie estive (escluso il
periodo della pandemia).
Domanda: Come hai conosciuto questi due straordinari personaggi e come hai
potuto farli incontrare?
Risposta: C’è da evidenziare che l’incontro tra questi, che considero due tra i
giganti della contemporanea cultura italiana, non nasce per caso: prima Nino
Bellinvia e poi Melo Freni sono i principali pilastri che mi hanno sostenuto,
accompagnato e seguito, anche a distanza, durante la mia carriera artistica e culturale,
infatti hanno scritto di me ed hanno presenziato a diverse manifestazione che mi
hanno visto protagonista.
Perciò, essendo io amico dei due intellettuali, sono riuscito a farli incontrare,
approfittando della coincidenza della loro permanenza in Sicilia: ho organizzato una
cena e, come si sa, a tavola non si mangia soltanto, ma si riesce a dialogare
serenamente, a raccontare e a raccontarsi.
Domanda: Immagino che Freni e Bellinvia hanno visitato la tua “Casa Museo”
per ammirare le tue ultime opere. Cosa puoi dirci in merito?
Erano 4 anni che Nino Bellinvia non veniva in Sicilia, perciò ha approfittato di
visitare la mia “Casa Museo” dove ci teneva ammirare le mie ultime creazioni,
specialmente la scultura “Demetra, fonte della vita”, costruita tra i rami di un ulivo
accanto alla casa, ed il gigantesco libro con le pagine in tela dipinta. Di questa sua
visita, in compagnia della sua meravigliosa moglie Chiara, rimane il suo pensiero
scritto nel registro dei visitatori che così recita: “3 luglio 2023 – Da tanto tempo

desideravo visitare Oikos Museion. Finalmente ho l’occasione. È stato un mondo
nuovo riscoprire il nuovo mondo di Pippo Messina, il grande artista, dal mondo della
pittura alla scultura, alla poesia ed a tanto altro. Meraviglia delle meraviglie quello
che viene definito (come ha già detto il giornalista, scrittore e regista Melo Freni) il
LIBRONE misurante cm 56X76 con la copertina in bronzo di 25 kg che contiene tutte
le pagina in tela dipinte, un’opera più che invidiabile per ogni artista ed io mi sento
onorato di essere amico dell’artista”. Per quanto riguarda Melo Freni, aveva già, più
volte, visitato la mia Casa Museo e ad attestare c’è una targa affissa ai piedi della
scultura raffigurante “Demetra” con la seguente scritta poetica: “ Luglio 2022.
Demetra // Oh regina dei campi e dei granai, // pur col nome di Cerere adorata, //
Pippo Messina ti ha voluti immortalare // in un tronco di ulivo rianimare // gettando
un ponte // sopra una fiaba antica // perché il mito non muore // eternamente in fiore.
// Oh regina dei campi agreste cuore // una mano d’artista ti fa onore”.
Nino Bellinvia e la moglie hanno avuto anche modo di visitare la residenza estiva
di Melo Freni traboccante di ricordi tra cui tantissime foto di personaggi che hanno
fatto la storia teatrale, cinematografica, della letteratura, della poesia e di altre arti,
ma anche i manifesti delle sue numerose regie teatrali e i giornali che attestano il suo
operato di intellettuale impegnato nella divulgazione della grande cultura.
Mi piace sottolineare che Nino Bellinvia mi conosce fin da quando ero un
ragazzino di dieci - dodici anni, ovvero da quando, essendo amici le nostre famiglie,
con suo padre veniva a casa mia e, qualche volta, come egli stesso ha raccontato in un
articolo di pochi anni fa, non hanno trovato sedie libere per potersi sedere da che
erano tutte occupate dai miei acquerelli messi ad asciugare.
L’amicizia con Melo Freni nasce più tardi, cioè quando mi sono trasferito a Roma,
nella seconda metà degli anni ’60, infatti è stato proprio Melo a scrivere la
presentazione nel catalogo della mia prima mostro personale nella capitale, nel marzo
del 1975, con la quale inauguravo la galleria d’arte “La Bottega” di Dino Candeloro.
Ringraziamo l’amico Giuseppe Messina per la confidenziale intervista che ci
permette di conoscere ed apprezzare meglio due grandi protagonisti del mondo
contemporaneo della cultura, Nino Bellinvia e Melo Freni.
Nelle foto: 1) Giuseppe Messina con Nino Bellinvia e Melo Freni;
2) Nino Bellinvia con la moglie;
3) da Sx; Melo Freni, Giuseppina Benearrivato, Nino Bellinvia, Giuseppe Messina
con la moglie Nerina, Franca Freni, Mzia Kordzaqia e Chiara Bellinvia;
4) Nino Bellinvia con la moglie Chiara e Giuseppe Messina

- Caro Professore, dato il suo carattere estroverso, la sua generosità culturale –
non comune, invero, nel mondo universitario – e la sua tangibile onestà (non
solo intellettuale), quelli che la conoscono, in questa nostra bellissima ma
perlopiù indifferente città, la stimano e le vogliono perfino bene. Certo, uno
studioso atipico come lei non deve avere avuto la vita facile, in un contesto,
come il nostro, intessuto di privilegi indebiti, spesso clientelari o ereditari (se
non massonici o paramafiosi) e attraversato notoriamente da invidie di ogni
sorta.
- Non mi avrà chiamato, per farmi una sviolinata.
-
- No, assolutamente. Abbiamo, invero, l’impressione che lei, o per innata
discrezione, o per pudore, o per timidezza, o per signorilità, metta il freno alle
sue numerose impennate di fronte alle ingiustizie o alle contrarietà cui ha
dovuto far fronte nel suo cammino. Colpisce peraltro il fatto che lei, nonostante
i notevoli contributi dati alla ricerca scientifica e alla didattica più aggiornata,
viva appartato, lontano dai centri di potere accademico: quasi ignorato in una
Università che lei certamente onora. Dico bene?
-
- Finora sì.
-
- Ebbene, noi di messinaweb.eu, che abbiamo avuto il privilegio di ospitare suoi
scritti incisivi, particolarmente illuminanti e graditissimi dai nostri lettori,
vorremmo che lei, per una volta almeno, togliesse il freno (senza oltrepassare
ovviamente i confini della legalità): se ci riesce, questa nostra intervista
diventerà propriamente storica, almeno nella città dello Stretto.
-
- Procedamus.
- Lei dichiara sia nei suoi scritti sia in discorsi tra amici di venire «dalle barche
del Faro e non dai salotti messinesi»: fa letteratura?
- Affermo un fatto incontrovertibile. Sono nato e ho vissuto a Torre Faro fino a
ventotto anni, quando mi sono sposato. I miei parenti, paterni e materni, erano tutti
pescatori. Mio padre era un uomo di mare: un pescatore, in gioventù, sulle barche di
suo padre, una guardia di finanza (a Triste, per breve tempo, prima di sposarsi), un
marinaio della Società Italia per vent’anni circa, un pensionato per invalidità
(precipitò sul ponte della nave dall’albero che stava picchettando e si ruppe il
femore: fu operato in un ospedale tedesco di Valparaiso, nel cui porto la nave era

ormeggiata, con una tecnica ignota in Italia). Provengo insomma da un livello
sociale basso (non infimo) e sono, perciò, storicamente, uno dei cittadini italiani che,
negli anni Sessanta-Settanta, hanno preso l’ascensore sociale passando dal
proletariato al ceto medio, per dirla con Sylos Labini. Non letteratura, dunque. C’è
semmai un pizzico di orgoglio marinaresco in quella mia affermazione.
- Uno su mille ce la fa, dice – cantando – Gianni Morandi.
- È stata dura. Ma «ringraziamu a Diu», come diceva quel pirata di mio nonno. Ho
fatto, peraltro, un percorso scolastico e universitario, in cui sarebbe stato impossibile
non scontrarsi con le ingiustizie e i privilegi di classe.
- Lei ha frequentato il liceo classico.
- Sì, il famoso “Liceo Maurolico”, conosciuto all’epoca (i primi anni Sessanta) come
«la scuola dei figli di papà».
- E scusi, ma ci è finito proprio lei che non era un figlio di papà!
- È una storia lunga, ma le rispondo (cercando di sintetizzare), anche perché la mia
vicenda personale, che in sé non interessa a nessuno, potrebbe costituire uno
spaccato delle dinamiche scolastiche e sociali di quegli anni, su cui non si sa molto
(almeno a Messina).
Dunque, ho superato brillantemente l’esame di ammissione alla Scuola Media, al
“Gallo”, ma, su consiglio di amici cariddoti acculturati, mia madre mi iscrisse al
“Galatti”: era mia madre, Angelina Piccirilla, che gestiva la casa e l’educazione dei
figli, come tutte le donne di mare, peraltro, le quali si direbbe avessero già raggiunto
– sia pure per necessità logistiche: i padri erano fuori, a mare appunto – i traguardi
del femminismo storico e delle future lotte sociali post sessantottesche. Era una
sorta di matriarcato marinaresco, invero. Fu, quella della scuola media, una
gradevole passeggiata. Andavo bene in tutte le materie: apprendevo il latino con
grande facilità e con vero piacere; brillavo in italiano (pendevo, invero, dalle labbra
della professoressa Maria Montalto, graziosa, piccolina – forse, ne ero innamorato –
che spiegava divinamente le poesie di Pascoli), in matematica, in francese (la
professoressa Longo, anticipando le conquiste didattiche del Sessantotto, mi
affidava, ogni settimana, il “Paris Match”, incaricandomi di leggerlo e di illustrarlo,
in classe (in francese!), ai compagni: non avevo mai sentito parlare in francese,
eppure avevo – diceva lei – «una pronuncia perfetta»). Facevo i compiti nel primo
pomeriggio, poi giocavo in canonica a carte, a pingpong o al bigliardino e facevo
lunghe passeggiate fino a Mortelle con i miei amici cariddoti.
In verità, stavo molto attento, in classe, alle spiegazioni dei professori e avevo una
memoria davvero mostruosa: bastava che leggessi una volta un testo per ricordare
tutto l’indomani. Ma rifuggivo, per natura, da ogni comportamento da primo della
classe, anzi tendevo ad assimilarmi, in tutto, ai miei compagni meno volenterosi:
una volta confermai alla professoressa Montalto la giustificazione dei miei
compagni secondo cui nessuno di noi aveva studiato a memoria la prima metà della
poesia “La voce” di Giovanni Pascoli «perché era troppo lunga»: in verità io, dopo
una prima lettura (la sera prima, a letto, prima di spegnere l’abatjour), la sapevo – e

ancora oggi la ricordo – tutta a memoria. La professoressa Montalto faceva
inorgoglire mia madre, insistendo sulla necessità che Giuseppe, finita la Scuola
Media, continuasse gli studi al Liceo Classico, al Maurolico.
Addirittura, ci arrivò a casa un attestato del mio superamento degli esami finali del
corso (con abbondanza di otto e nove, se non ricordo male) e con la proposta
conclusiva secondo cui «lo studente Giuseppe Rando» era «portato per gli studi
classici».
- Complimenti.
- Grazie. Fu così che mia madre mi iscrisse al “Maurolico”, rinunciando all’Istituto
Tecnico (sognava di avere un figlio «raggiuneri», che lavorasse in un ufficio, «con la
cravatta» e «lontano dal mare», scontrandosi con mio padre che già mi vedeva
comandante di una nave). Fu così – presumo – che la segretaria del Maurolico che
ricevette la domanda d’iscrizione portata da mia mamma, vedendo tutti quei bei
voti, pensò di iscrivermi nella sezione A del Ginnasio, notoriamente la più
qualificata.
- Tutto bene, dunque.
- Sì, i due anni (quarta e quinta) del Ginnasio furono splendidi, identici ai tre della
scuola media: bei voti; rapporti molto amichevoli con compagne e compagni;
grande attenzione in classe (ricordo sempre con affetto il paterno professore di
Lettere, la professoressa di francese e il prof. Amato di Matematica); pomeriggi al
Faro Cariddi fra giochi e lunghe passeggiate. Intanto, cominciavo ad amare il
cinema e la letteratura.
- Bei tempi!
- Sì, le cose cambiarono radicalmente nei tre anni di Liceo. Mi limiterò a dire che qui
scoprii, con stupore, la brutalità della differenza di classe e parimenti le crepe
profonde di un sistema scolastico arcaico, arretrato, obsoleto, improduttivo, se
confrontato, in ispecie, con la funzione progressiva, innovativa svolta dalle «agenzie
parallele» del cinema, del teatro, della narrativa, della poesia, della saggistica, del
giornalismo in quegli anni eccezionali. Le racconterò, qualche altra volta, con
dovizia di particolari, l’episodio del voto (sette più, col punto interrogativo), dato al
mio primo compito in classe di italiano da una professoressa Bartoccelli, tipica
docente liceale, piccoloborghese, perfettina, elegantina, del tutto incapace di
trasmettere ai giovani studenti, post e anti fascisti, stimoli e insegnamenti
fondamentali: «Ma come fa – si sarà chiesto – il figlio di un pescatore dello Stretto a
svolgere così compiutamente un tema tanto impegnativo? Mica è figlio di un
laureato. Deve avere scopiazzato».
Ma, per rispetto dei lettori, fermiamoci qui: consideri, questa, la prima puntata.


L'evento presentata dalla giornalista Marina Bottari ha visto l'avvio con Mariella
Costantino e Michele Careno che hanno recitato"E  vado a vedere le stelle"
scritta da Francesco Certo,A seguire Barbara Arcadi che in anteprima  ha suonato
"Me frati"brano dedicato ai senza tetto,Nascia a Messina e Datele una carezza tratto
dal CD Di chitarra e d'amore,scritto e musicato dal cardiologo messinese.
Il Premio Medico di Carità giunto alla settima edizione è stato consegnato a:
Nino D'Andrea oculista,Antonio Toscano medico internista,Marilena Briguglio
neuropschiatra infantile,Massimo Cerniglia otorino,Giuseppe Saitta neonatologo,
Cirs Messina,Giuseppe Navarra direttore Chirurgia generale a indirizzo oncologico.
Francesco Micari ha recitato una meditazione tratta dal libro"Cardiologia e speranza"
sulla violenza alle donne.
Riccardo Pirrone ha cantato una raccolta di brani anni 60.
Al termine degli attestati a enti e figure del volontariato messinese.
Margherita Lo Giudice Posto Occupato Fortunata Bisignano Ivana Passero
Rosanna Gargano(coreografo dell'evento) Silvana Barone,Farmacia Galati,
Tele 90,Gazzetta del Sud Tcf CID Messina ENAC  Padre Giovanni Amante,
Tiziana Arcoraci,Giacinta Previte  Farmacia Caminiti Farmacia Crimi,Farmacia
Facciolà Tempostretto Tcf Marina Bottari-Rtp Normanno Fidapa Capo Peloro
Ester isaja-L'eco del Sud Giada Minissale Parrocchia S.Paolino Aiutamoli
a vivere Akademia S.Anna Pier Ferdinando Orlandi  I Fikissimi Masci
Banco Farmaceutico  S.Maria della Strada Farmacia Crimi Fra Giuseppe
Maggiore RDP evento,Cisom,Ammi,Assofante,S.Egidio,Acisjf S.Egidio.
Isamupubbirazzu.
La serata affidata alla regia di Gianni Rizzo ha visto un sold out  che permetterà
di sostenere i progetti Terra di Gesù.

Maria Teresa Prestigiacomo

Taormina, Me. Abel Ferrara nel personale racconto della sua carriera e delle fonti
cinematografiche che hanno ispirato la sua produzione sono stati gli argomenti della
mattinata di ieri al Taormina Film Fest, che ha ospitato, nel primo pomeriggio anche la
masterclass di A.V. Rockwell per un approfondimento sul suo debutto come regista di un
lungometraggio, A thousand and one, con protagonista la star musicale Teyana Taylor.

Ma la serata del 27 giugno si è caratterizzata per l'arrivo in Piazza IX Aprile dei talent e
influencer del mondo dei social media, ognuno con decine se non centinaia di milioni di
follower. Sul Blue Carpet hanno infatti sfilato in successione Adriana Lima, Eva Vik, Leaf
Lieber, Rita Aldridge, Maram Taibah, Zates Atour, Stuart Vincent, Sam Blythe, Conor
Boru e Gavin Mills. Ultima ad arrivare è stata l'attrice e acclamata influencer Bella Thorne,
curatrice anche della serata dei corti al Teatro Antico denominata "Influential Shorts". Alle
21:00 le "social stars" sono apparse infatti tutti sul palco per presentare ognuna il proprio
corto; tra loro anche Gianni Infantino, presidente della FIFA, che ha prodotto e realizzato
con Adriana Lima FIFA RWANDA.
Questi i lavori proiettati: PAINT HER RED (Regia: Bella Thorne; Cast: Bella Thorne, Juliet
Sterner); THE ONE (Regia: Nina Dobrev; Cast: Madeline Brewer, Indya Moore, Ryan-Kiera
Armstrong); SERPENTINE (Regia: Eva Vik; Cast: Barbara Palvin, Luke Brandon Field, Soo
Joo Park); BURROW (Regia: Leaf Lieber; Cast: Christian Coulson , Marc Crousillat); DON'T
GO TOO FAR (Regia: Maram Taibah; Cast: Ghida al Ghusaiyer, Ida Alkusay, Patricia
Cardonaroca); MY COLORFUL MIND (Regia: Rita Aldridge; Cast: Keely Morrison, Rita
Aldridge, Sophia Ventrone); GOOD INTENTIONS (Regia: Yasen Zates Atour; Cast: Michael
Ward, Charithra Chandran); SIS (Regia: Miranda Haymon) e il primo corto di Khaby Lame, I
AM KHABANE. Il super top influencer era presente stamattina alla masterclass del Palazzo
dei congressi, deliziando numerosi fan intervenuti.

Sera del 28 sul palco i protagonisti di Billie's Magic World, il film di Francesco
Cinquemani che ha riunito per la prima volta a recitare sul set i fratelli Baldwin. A
presentarlo, insieme al regista, gli interpreti William Baldwin, Elva Trill, Valeria Marini e i
produttori Andrea Iervolino e Lady Bacardi.

Prima della seconda proiezione, Cattiva coscienza, in programma alle ore 23:00 circa,
saliranno invece sul palco Francesco Scianna, Filippo Scicchitano e Caterina Guzzanti,
insieme al regista del film Davide Minnella.

Nell'ambito della serata Khabi Lame e Edoardo Leo, che domani sarà ulteriormente
presente insieme al cast per parlare del nuovo film I peggiori giorni, diretto insieme a
Massimiliano Bruno, riceveranno un premio speciale realizzato dalla Maison Damiani.

Molto atteso anche l'appuntamento di domani 29 giugno, al Palazzo dei Congressi, alle ore
12:00, per la masterclass di Deborah Nadoolman Landis: l'illustre costumista, storica e
presidente del David C. Copley Center for Costume Design dell'UCLA racconterà i segreti
della professione del costume design.

Taormina Film Fest è prodotto e organizzato dalla Fondazione Taormina Arte Sicilia.
Una manifestazione realizzata grazie al supporto di Regione Siciliana, Ministero della
Cultura, Ministero del Turismo / Italia.it, Città di Taormina, Parco Archeologico Naxos
Taormina.
In collaborazione con Sicilia, See Sicily, Italiafestival.
Main Sponsor: Domus Artium, Villa Bibbiani
Con il sostegno di ENIT
Sponsor: Damiani, Aria di Sicilia, Dr Automobiles, Associazione Provinciale Cuochi e
Pasticceri di Messina, Trenitalia, Morgana Lounge Bar, Ristorante La Botte
Sponsor tecnici: Casa Cuseni, Acqua Fontalba
Con il patrocinio di RAI Sicilia.
Media partner: RAI, Deadline, Variety, Taxi Drivers, Gazzetta del Sud, Live Sicilia.
Radio Ufficiale: Radio Monte Carlo

FONDAZIONE TAORMINA ARTE SICILIA
Sovrintendente: Ester Bonafede
Direttore artistico: Beatrice Venezi
TAORMINA FILM FEST
Direttore esecutivo e co-direttore artistico: Barrett Wissman

CARTELLA STAMPA SCARICABILE QUI