La Vara di Messina è una enorme machina di forma piramidale che illustra plasticamente il momento dell'assunzione in cielo della Vergine Maria.
Nella prima delle piattaforme che compongono la sua struttura, collocate su di un ciclopico ceppo munito di slitte, trovano infatti posto le raffigurazioni della Vergine morta circondata dagli apostoli, secondo l'iconografia bizantina della dormitio virginis o Koimesis, mutuata dalle svariate redazioni apocrife del transitus Mariae, e salendo verso l'alto dei sette cieli che l'alma Maria doveva attraversare per giungere all'Empireo; questi cicli sono tutti sintetizzati dalla cortina delle nuvole che, dipartendosi dalla base della machina ú mo' di' baldacchino della "Bara", si innalzano circondate dal sole e dalla luna, concepií:i come nel sistema tolemaico; ancor più su, in una terza piattaforma, troviamo un globo celeste con stelle dorate, raffiguranti forse le stelle fisse, ed infine alla sommità, dopo l'ennesima cortina di. nubi, costellata come le altre da schiere di angeli, 1'effige di Gesù Cristo che tiene sulla mano destra l'Alma Mater, l'anima della Vergine assunta in Cielo.
All'interno della Vara, la struttura metallica campaniforme che ne costituisce l'ossatura ospita unaserie di ingranaggi i quali, azionati manualmente da persone a ciò addette, determinano il movimento rotatorio, in orizzontale e in verticale, di tutte le figure ed i personaggi, un tempo viventi, ora statue, che affollano questa grande piramide rituale.
La devozione dei messinesi per la Madonna della Lettera, ha origini antichissime.
La tradizione popolare, che naturalmente accettiamo come atto di fede e non come fatto reale, vuole che nell'anno 42, circa 9 anni dopo la morte di Gesù, sia passato da Messina l'apostolo Paolo, diretto a Roma.
In quella circostanza egli predicò la religione di Cristo e invogliò una delegazione di fedeli ad andare in Palestina, a trovare Maria di Nazareth.
La delegazione, della quale la tradizione ricorda i nomi di Geronimo Origliano, Marcello Benefacite, Centurione Mulè e Bruzio Ottavia, vi andò e ritornò a Messina l'8 settembre dello stesso anno, dopo aver avuto in dono da Maria una sua lettera di benedizione, nel cui testo figura la frase oggi r:portata a lettere luminose sul basamento che regge la colonna con la statua della Madonnina del Porto di Messina: "Vos et ipsam civitatem benedicimus".
Dal giorno di quel ritorno sino ai tempi nostri, si può dire che la Chiesa messinese non ha mai smesso di dedicare, ogni anno, almeno alcuni giorni di festeggiamenti sacri e profani alla santa Patrona della città. Purtroppo non abbiamo fonti antiche originali che possano illuminarci sui festeggiamenti tenuti in Messina nei primi anni dell'avvento del cristianesimo e sulla stessa processione dell'Assunta che i messinesi celebrano festosamente e fastosamente il 15 agosto di ogni anno. Francesco Maurolico, nel 1550, la definiva di antiquissima consuetudine, ma è probabile che essa possa aver avuto origine in epoca normanna, cioè almeno mille anni dopo l'assunzione in cielo di Maria. Non esistono testi che la ricordino in epoche più antiche.
II 12 agosto 1086 Ruggero d'Altavilla, dopo aver debellato gli Arabi, tornò. a Messina, da dove era partito nel 1061 per liberare la Sicilia dalla loro dominazione. Vi tornava con due precise intenzioni, per ringraziare la Vergine Maria, alla quale era particolarmente devoto per averlo assistito nella lunga guerra contro gli infedeli e per celebrare la sua gloria e il suo trionfo di conquistatore. Accompagnato dai baroni e dai dignitari della sua corte e preceduto da una esultante folla di seguaci, entrò in città venendo dalla parte dei monti, a cavallo di un cammello, alla maniera araba seguito, come scrive il Buur_figlic: "dà cammelli barbareschi carichi di spoglie". F poiché aveva fatto prigionieri il principe musulmano governatore di Messina e sua moglie, li obbligò ad attenderlo a cavallo dei loro destrieri davanti alla porta del Duomo.
A1 corteo prendevano parte sia il clero che le autorità civili e militari, tutti in abiti sontuosi, ordinati in una lunga processione, recando croci, urne e gonfaloni. In testa al corteo sfilava un'imponente ed elegante statua di donna a cavallo, fatta di cartapesta, pettinata e adorna come una gran dama, e il Buonfiglio afferma che "tenevasi per simil conto un caval leardo, la cui stella trionfale, di velluto cremisino ricamata d'oro à tronconi, si conserva per fin' al di d'hoggi nel luogo nomato il Tesoro". Essa rappresentava la Vergine Maria "nel momento in cui faceva il suo ingresso in paradiso" e cioè nell'atto della sua assunzione in cielo.
Dietro questa statua veniva il clero, poi il ceto nobiliare e quello militare con in testa il Conte fieramente eretto sul suo cammello e circondato da uomini che cantavano inni di guerra e innalzavano lodi di ringraziamento ai santi e alla Madonna. In coda al corteo, ben guardati da molti uomini armati, si trascinavano i prigionieri di guerra che con lamenti e lacrime maledicevano la loro triste e vergognosa sorte.
Da questo episodio nacque l'usanza, a partire dal 22 settembre 1197, giorno della consacrazione al culto del Duomo di Messina, di porcare in giro per la città statue del conquistatore, dei vinti e dell'Assunta, in mezzo ad una grande folla festante ed ai ciuri di pipi, specie di poeti estemporanei che andavano in giro vestiti di bianco e con pendenti rossi al cappello, battendo tamburi.
Durante questo festino i sovrani del tempo offrivano alla cattedrale due grandi torce, cilii, che collocate su apposite basi di legno, trasportate a spalla da quattro uomini in costumi speciali, precedevano nelle processioni il simulacro della Madonna.
Per l'occasione la città veniva addobbata a festa e mentre per le vie sfilavano carri allegorici, nelle piazze e nei quadrivi s'innalzavano bellissimi ed artistici apparati, si costruivano porte ed archi di trionfo e, a sera, su alte piramidi dette baccalari, venivano illuminate figure fantasiose e storiche. Si trattava, quindi, a quel tempo, di una festa più trionfalistica che religiosa incentrata sul ricordo della vittoria riportata dal conte Ruggero sugli Arabi, e non di una vera festa di fede popolare. La città partecipava a quel tripudio festaiolo mangiando e bevendo, stendendo ai balconi damaschi, gonfaloni e bandiere, allestendo sontuosi apparati e trasformando le vie in gallerie piene di luminarie e di festoni colorati.
L'usanza di portare in processione un simulacro della Madonna dell'Assunta pare che sia nata in un antichissimo villaggio dell'Asia Minore, vicino ad Efeso, dove la tradizione cristiana vuole che abbia soggiornato Maria di Nazareth dopo la morte di Gesù e dove, sin dai primi tempi del cristianesimo, il 15 agosto di ogni anno, si soleva portare in processione per le strade della città un simulacro della madre di Gesù nell'atto di ascendere in cielo. Non è quindi improbabile che il conte Ruggero, più che istituire l'usanza della processione dell'Assunta, abbia continuato una tradizione già conosciuta altrove, ma adattandola al suo trionfo e alla sua gloria.
Fu il papa Sergio I ad ordinare l'istituzione di solenni processioni per le principali ricorrenze mariane. E quindi probabile che l'usanza della processione messinese dell'Assunta sia nata tra i1687 e il 701, periodo appunto del pontificato di Sergio I, e sia stata resa più solenne durante la monarchia normanna.
Verso la fine del '400 0 l'inizio del '500, in sostituzione della statua in cartapesta della Madonna, forse perché divenuta logora o degradata dal tempo, cominciò a portarsi in giro un Ritratto della Madonna, sistemato in groppa ad un somarello bardato con drappi dorati.
Secondo qualche autore questo quadro potrebbe essere stato quello stesso che Maria regalò alla delegazione messinese. Houel afferma: "Io ho visto quel ritratto e quei capelli...". La tradizione cristiana afferma che di Maria esistevano sette ritratti eseguiti da S. Luca. Anche se l'ipotesi 'e suggestiva, appare azzardato affermare che possa essere stato uno di essi. L'ultimo ritratto della Madonna, pervenuto a noi attraverso i secoli e sopravvissuto allo stesso terremoto del 1908, bruciò nell'incendio del 1943.
Il cerimoniale di questa processione si ripeté per diversi anni e una prima modifica si ebbe solo nel 1535 quando il Senato peloritano, per festeggiare l'arrivo in città di Carlo V reduce dalle vittorie di Tunisi sul pirata Ariadeno Barbarossa, diede incarico ad un architetto di nome Radese, di costruire una machina portentosa capace di rappresentare l'idea dell'Assunzione in Cielo di Maria Vergine in maniera più gloriosa.
II Radese costruì un marchingegno mobile in cui angeli e santi erano rappresentati da oltre 100 tra giovani e giovanette riccamente vestiti, agghindati con fiori e nastrini e legati in precarie condizioni di equilibrio a cerchi girevoli, tanto da destare ammirazione e timore insieme per l'audacia della costruzione e la visione fantasmagorica dei personaggi. "... Et d'hallora in poi in cambio della statua si conduce questa al dì solito, ogni anno" Secondo il Buonfiglio, nel 1535, in sostituzione del Padreterno e dell'Alma Maria, figurò la statua dell'imperatore Carlo V con in mano un'aquila, simbolo delle sue vittorie.
Questa composizione piramidale, che per quasi quindici metri di altezza si elevava da terra su tre ordini di piani, aveva per base una piattaforma circolare che durante il trasporto veniva sorretta a spalla da molte persone, vestite con paramenti religiosi, guidate da un capopopolo che, ad intervalli regolari, ordinava a sosta o la ripresa della marcia, mentre la gente intorno danzava ed elevava al cielo canti di gloria e di ringraziamento. Qualche anno dopo, questa estrosa piramide fu perfezionata da Giovannello Cortese, genero del Radese e da tal mastro Jacopo che la munirono di ruote. A proposito di quest'ultimo, le varie ipotesi fanno supporre che possa trattarsi di Jacopo del Duca o di Jacopo Scicli.
Dopo il 1565 le ruote furono sostituite da scivoli in legno, ora sono in acciaio, per consentire il trascinamento sui selciato. Qualche fonte afferma che consigli e suggerimenti sulle figurazioni allegoriche, tendenti ad esaltare la resurrezione e l'assunzione in cielo della Madonna e su meccanismi girevoli, furono dati da Francesco Maurolico.
Samperi ricorda che dinanzi ad ogni chiesa, tra il giovanetto che impersonificava il Padreterno e la ragazza che impersonificava la Vergine Maria, si svolgeva il seguente dialogo, in dialetto storpiato: Padreterno: "Virgini di li Virgini ab eternu / Eletta e poi criata Matri Santa, / A possidiri lo regnu supernu / Di lu mia Patri cu gloria tanta, /Veni filici pianta, picchì hai misu /Paci fra l'homu e Diu, che l'Havi offisu. / Veni, triunfanti Imperatrici, a dari /Riposi all'infiniti toi tormenti, /Chi suppur¬tasti per in riscattari / L'homu dall'infirnali focu ardenti. / Veni, climenti Maria, alma Regina, / Prega per la divota tua Missina". .
Maria: "Milli gratii ti rendu, Eternu Patri, / Chi di l'ancilla tua ti ricurdasti. / A tia duci Figghiu, che a la Matri / La tua cità fidili accumandasti, / Pirchì ordinasti ch'io li sia Avucata, / Pri l'amor miu ti sia ricumandata".
La processione della Vara è sempre stata una delle più belle tradizioni perpetuate dalla città per diretto sostegno del popolo. La fede popolare ne ha esaltato la simbologia soprattutto in termini di fede, tanto che fino al tempo del duca di Laviefuille e del marchese di Fogliani la giovane che impersonificava la Vergine Maria godeva della prerogativa di liberare un condannato a morte. Successivamente essa, nei giorni seguenti alla processione, girava di casa in casa recitando versi del suo dialogo col Padreterno ed impartiva la benedizione, ricevendo in cambio doni.
Nonostante la Vara rappresentasse un pericolo incombente, a causa dei precari sostegni ai quali erano assicurati i giovanetti che componevano la piramide, nel corso della sua lunga storia ebbe a subire due soli incidenti. II primo quando nel 1861 si spezzò il perno che sosteneva il globo e sei ragazzi precipitarono tra la folla senza che alcuno di loro restasse ferito o contuso, e l'altro nel 1738 quando, a causa della rottura dell'asse attorno al quale girava il simbolo del sole, quattro bambini precipitarono da un'altezza di circa 54 palmi, restando illesi.
Sul finire del XVIII secolo la Vara si presentava molto ricca e pomposa. Il poeta inglese Patrick Brydone, che nel 1770 si trovava* a Messina, pur non avendola vista di persona e conoscendola quindi solo per sentito dire, così la descrive: "È di gran mole e percorre le vie della città con enorme pompa e cerimoniale. Al centro si trova l'immagine principale che rappresenta la Vergine e un po' più in alto girano diverse ruote che a dir di tutti sono di fattura. molto originale. Ogni ruota contiene uno stuolo d'angeli aggiustati in ordine di precedenza, ossia serafini, cherubini e potestà. Li impersonano tanti bellissimi bambini, tutti luccicanti nelle tuniche di stoffa d'oro e d'argento, con ali di penne dipinte applicate sulle spalle. Quando la macchina si mette in moto, tutte le ruote cominciano a girare e i vari cori di angeli continuano a cantare Alleluja in un incessante battito d'ali intorno alla Trinità ed alla Vergine e così per tutta la processione, con effetto magnifico ...."
La Vara avanza mostrandosi. La peculiare caratteristica è quella di essere un asse del mondo in movimento che consente, a chi al suo seguito compie il percorso processionale, di muoversi guadagnando nuovi spazi, pur tuttavia rimanendo al centro del proprio universo.
Tale esigenza di domesticazione rituale del territorio, propria di tutte le società tradizionali, ha determinato, in aree rientranti nell'orbita culturale di Messina, la elaborazione di analoghe macchine trionfali che sono state certamente modellate sull'archetipo messinese, come ad esempio la Vara di Randazzo e la cosiddetta Varia di Palmi.
Esempio, sia pur sofisticato, di macchina professionale, in ciò simile alle innumerevoli Vare e Varette utilizzate in tutte le feste meridionali per portare in giro il simulacro della divinità, la Vara ha sempre colpito la fantasia di quanti, viaggiatori italiani o stranieri, si sono nel corso degli ultimi due secoli volti a fissare lo sguardo sulla città di Messina e le sue tradizioni.
Dopo aver attraversato sostanzialmente indenne le varie vicende sismiche e belliche che hanno irrimediabilmente cancellato alcune testimonianze della storia della città, la Vara ha varcato indenne la soglia del Duemila mantenendo intatta la capacità di coagulare intorno a sé le aspettative, la devozione, la fede ed anche i sogni di tutta una comunità.
|