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- a cura di Alessandra Garavini -

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Iscrizione albo dei Biologi N. 064258

Tra i primi prodotti di primavera spiccano le fave novelle, un piatto di fave crude e pecorino o di fave e salame, come avviene in Liguria, è uno dei modi migliori per salutare la bella stagione.

La fava è uno dei legumi di più antico consumo in Europa: per anzianità pare seconda solo alla lenticchia. Si sono addirittura trovate fave tra i resti di villaggi neolitici in Svizzera. Il primo a scriverne fu Omero nell’Iliade e c’è una curiosità legata a Pitagora, il quale ne proibì l’uso ai propri seguaci, forse per motivi religiosi che dipingevano la fava come un cibo impuro o semplicemente perché Pitagora era affetto da favismo, una carenza enzimatica genetica che può portare a crisi emolitiche.

 

Forse per questo motivo il nostro legume è stato per secoli il cibo dei poveri, ed era considerato da molti un alimento tossico, sia fresco che secco.

Le favesono i semi di una leguminosa a fusto eretto, Vicia fava, che cresce in tutto il bacino del Mediterraneo. Sono contenute in un baccello lineare lungo fino a 25 cm, se fresche sono di colore verde, secche di colore bruno e molto dure.

Le fave fresche si mangiano così come sono, o accompagnate da pane e cipolle, salumi e formaggi, come contorno o anche insieme a minestre di verdure.

Le fave secche private del tegumento, vengono bollite senza ammollo preventivo e rammolliscono fino a diventare un purè.

 

La maggior parte di noi ora può davvero gioire di questo prodotto che va consumato appena colto, nel giro di 48 ore. Per questo si presta a un consumo soprattutto locale. Vista la sua diffusione su tutto il territorio nazionale non sarà un problema, quest’anno sembra esserci una buona qualità diffusa, dalla Sicilia passando per la Calabria, Puglia e Lazio, fino al Nord.

 

Secondo un'antica tradizione agraria, nell'orto sarebbe bene seminare alcune fave all'interno delle altre colture poiché questo legume, oltre ad arricchire il terreno di azoto, attirerebbe su di se molti parassiti, che di conseguenza non infesterebbero  altri ortaggi.

I dietologi ci ricordano, inoltre, che tra i legumi, le fave risultano essere meno caloriche (40 calorie per 100 grammi).
Ma attenzione, questi numeri riguardanole fave fresche, perché con quelle secche l’apporto calorico sale vertiginosamente.

In particolare le fave sono ricche di potassio con effetti diuretici e depurativi ed anche di calcio e ferro.

Fra le vitamine sono presenti in buona quantità la A e la C.

 

Importante è la presenza di fibre insolubili che aiutano lo svuotamento intestinale, per questo le fave possono essere sia diuretiche che leggermente lassative.

Acqua

83.90

gr

Proteine

5.20

gr

Carboidrati

4.50

gr

Grassi

0.40

gr

Un modo per assaporare la Sicilia di un tempo è quello di preparare il Maccu;una polenta-minestra di fave secche, sgusciate, fatte cuocere tanto a lungo che schiacciandole (ammaccandole: da qui il nome) si trasformano in una purea densa, da mangiarsi così o con l'aggiunta di pasta.

 

La ricetta del Macco subisce diverse varianti a seconda delle provincie.

Qui ripresento quella pubblicata dal Giornale di Sicilia nel 1968, in occasione delle rievocazioni di antiche pietanze siciliane:

“Maccu: la sera precedente la preparazione della minestra, si sgusciano le fave secche. Il giorno dopo si mettono a cuocere inuna pentola, con poca acqua, a fuoco lento, avendo cura di schiacciarle man mano che vanno cuocendo, in modo da formare una poltiglia. A questa purea si aggiunge tanta acqua, quanto basta per cuocervi la pasta, generalmente “attuppateddi”. Per rendere la minestra più saporita, si ha cura di mettervi dei pezzetti di lardo”.

 

In realtà sembra che il contadino di un tempo non aggiungesse né la pasta né il lardo, ma solo un filo di olio extravergine di olivo crudo al momento di consumarla.

Quale migliore occasione della classica scampagnata di Pasquetta per gustare fave e pecorino? E allora speriamo che il tempo ci assista! Buona Pasqua 

 - a cura di Alessandra Garavini -

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Iscrizione albo dei Biologi N. 064258

“Di nero vestite, incrostate, fortemente enigmatiche, se ne stanno lì tenaci e imperturbabili replicate in migliaia di individui che rammentano i personaggi senza volto di Magritte”.

 Da Bibenda n. 37

Nonostante i periodici allarmi alimentari le cozze restano i frutti di mare più amati dagli italiani. La cozza, straordinaria creatura marina, fu classificata  da Jean Baptiste Lamark (1822) come

 Mytilus galloprovincialis perché ampiamente diffusa nel Mare Nostrum già in epoca gallo-romana. E’ un mollusco  lamellibranco poiché respira e si nutre tramite branchie a lamelle capaci di

 filtrare plancton e particellato organico in sospensione. E’ detta equivalvo  per la conchiglia composta da 2 parti ovali uguali nero-violacee all’esterno e madreperlacee all’interno. Una volta

 aperta appare il mantello che  avvolge gli organi interni giallo crema dei maschi e arancio delle femmine, turgido quando l’animale raggiunge la maturità sessuale, momento in cui il

 seme maschile e le uova vengono espulse in acqua affidando la fecondazione al caso. Nascono le larve che giunte alla grandezza di 500 micron (mezzo  millimetro) sono capaci di secernere

 un composto filamentoso cheratinoso detto bisso col quale si ancorano ad un supporto solido per iniziare a  fabbricarsi la propria conchiglia utilizzando il carbonato di calcio naturalmente

 presente nell’acqua di mare. Dopo circa 1 anno raggiungono la taglia  minima per la commercializzazione di circa 5 cm. L’attività sessuale dura per l’intero ciclo vitale di 4-5 anni. La cozza  ama la compagnia prosperando  in colonie di migliaia di individui in lagune e laghi costieri con salinità ottimale tra il 27 e il 30%, temperature non superiori ai 28 °C e condizioni  microbiologiche accettabili.

Il mitile filtra in media circa 1,5 l di acqua l’ora trattenendo non solo i nutrienti, ma purtroppo ove presenti, anche batteri, virus ed eventuali  contaminanti chimici concentrandoli fino a 100- 200 volte. La molluschicoltura in Italia è regolamentata dal D.L. n. 530/1992 che prevede impianti dove  si trovano banchi naturali di molluschi bivalvi, raccolti e venduti vivi.

Consumo crudo? E’ a rischio per molti fattori che diminuiscono molto (non si azzerano) quando i mitili arrivano dopo la raccolta in poco tempo nel  piatto. Il limone esercita una azione  batteriostatica ma non mette al riparo dalle tossinfezioni più comuni quali stafilococchi o salmonella, per non  parlare del vibrione del colera. Una cottura di almeno 15 minuti è consigliabile  scartando gli esemplari non aperti.

La mitilicoltura è una pratica diffusa fin dall’antichità nei laghi di Ganzirri e ne ha caratterizzato per molto tempo l’economia. L’allevamento dei  molluschi riguarda sia il Mytilus  galloprovincialis più semplicemente conosciuta come cozza sia le vongole e, fino al XIX secolo, venivano raccolte anche  le ostriche; pratica ormai  scomparsa. I pescatori appresero il ciclo di crescita dei molluschi dopo aver visto svilupparsi spontaneamente le cozze lungo  i pali conficcati sui fondali per delimitare le zone di pesca nei laghi. L’allevamento è complesso ed il ciclo  dura circa due anni prevedendo lo  spostamento dei così detti stralli, ossia i grappoli di cozze, per ben 4 volte dal lago piccolo al grande e viceversa. Fino agli anni 60-70 la  molluschicoltura  era, in queste zone, un’attività economica fondamentale, e molte famiglie se ne occupavano a tempo pieno. Oggi la situazione è ben  diversa e questa tradizione ha perduto gran parte della  sua importanza quasi scomparendo, i laghi sono minacciati continuamente dall’inquinamento  e certe opere e pratiche degli uomini hanno messo a serio rischio l’equilibrio biologico e  naturale dei laghi.

Una convinzione da sfatare è che le cozze siano molto caloriche infatti apportano circa  100 kcal/100 g. Inoltre, dato che le assaporiamo lentamente,   rappresentano un alimento light per  eccellenza! Questi mitili sono una miniera di sali minerali fra questi il più abbondante è il Ferro presente in 5,8  mg/100 g; quantità rilevante se si pensa che 100 g di carne di cavallo ne  apportano solo 3,9 mg/100 g. Anche l’apporto di colesterolo non è rilevante  come si pensa: circa 50 mg/100 g.Insomma: sono un alimento nutriente e  rinforzante, di cui è un peccato  privarsi! Inoltre avrebbero anche proprietà  afrodisiache!

Per 100 g di COZZE:

energia: 99 Kcal

colesterolo: 50 mg

Proteine: 13,7 g

lipidi: 3,2 g

glucidi: 4,4 g

Le cozze si possono preparare in vari modi; ho scelto le cozze alla marinara per la semplicità di preparazione e per la salubrità del piatto. Occorre tener  presente che le cozze hanno uno  scarto elevatissimo perciò si considera circa 500-700 g con guscio per persona.                                                      

Cozze alla marinara per 4 persone

Ingredienti: 2,5  kg di cozze con le valve, 1 bicchiere di vino bianco secco, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, 2 scalogni, prezzemolo, alloro, pepe in grani e sale q.b.

Preparazione: grattare e lavare le cozze. Tritare gli scalogni e riporli in una casseruola con l’olio, fare soffriggere e poi aggiungere le cozze col prezzemolo e il vino bianco, da ultimo il pepe e il sale. Servire calde.

In abbinamento consiglio un Mamertino bianco fresco.

“Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d’oro. Un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno l’alloro, lo conosci tu bene? Laggiù, laggiù, vorrei con te, o mio amato, andare”. Da “Viaggio in Italia” di Johan Volfgang Goethe

 

Il limone, il principale fra tutti gli agrumi, ha la sua patria nell’India settentrionale ma, già nel VIII secolo a.C. lo si trovava in tutto il sud est asiatico. I primi riferimenti del suo uso in Italia, risalgono al trattato di arte culinaria di G. Apicio gastronomo dell’epoca romana. L’uso degli agrumi decadde con la caduta dell’impero romano ed i limoni furono dimenticati fino a che gli arabi li reintrodussero nel bacino del Mediterraneo. In quel periodo comincia la vocazione all’agrumicoltura della Sicilia.

 

Il Citrus limonum L. famiglia Rutaceae è un albero non molto alto, sempreverde con rami spinosi. Il fiore profumatissimo è candido all’interno e sfumato di viola all’esterno. Il limone fiorisce tutto l’anno ed è tipica la contemporanea fioritura con i frutti. Questi ultimi sono detti esperidi con la scorza di colore verde-giallo, all’interno uno strato bianco chiamato flavedo dal sapore amarognolo. La polpa è succosa, acida, giallo-verde suddivisa in 8-10 spicchi, ricca di semi.

Del limone si utilizza soprattutto il frutto: la polpa per il succo e la scorza o albedo per gli oli essenziali, ma anche i fiori e le foglie sono ampiamente utilizzate in fitoterapia e in cosmetica. I principi attivi più importanti sono l’acido citrico, il limonene, l’acido malico e tartarico, le pectine, l’inositolo, le vit. C, B e PP. Insostituibile in cucina il limone è molto utilizzato nell’industria farmaceutica, liquoristica, nelle bevande, in  pasticceria, profumeria e cosmetica.

 

Il limone spremuto è un perfetto integratore dell’alimentazione per la presenza di citroflavoni: sostanze protettrici dell’elasticità dei vasi sanguigni e dei capillari. Il succo contiene il 5-8% di acido citrico ma non produce reazione acida nell’organismo, anzi si converte in reazione basica divenendo un alleato prezioso per gli uricemici, inoltre fluidifica il sangue e lo depura, è utile contro l’ipertensione e l’ipercolesterolemia, i disturbi circolatori e renali in quanto scioglie i calcoli. Il limone è un potente antibatterico con azione disinfettante ed è fortemente digestivo. Numerosi studi condotti recentemente hanno dimostrato che il consumo costante di  agrumi, in particolare limoni, è correlabile alla prevenzione di alcuni tumori come il cancro all’esofago, allo stomaco e al colon.

 

Per uso esterno la sua azione astringente favorisce la cicatrizzazione. L’olio essenziale che si ricava dall’albedo, ossia dalla scorza, è uno scrigno di proprietà per la sua azione antibatterica diventa un disinfettante per ambienti se vaporizzato, soprattutto in inverno quando il flusso di virus e batteri è alto e il ricambio d’aria è insufficiente. Contro stati infiammatori o infettivi della bocca e della gola si possono fare sciacqui con 2-3 gocce di olio essenziale in mezzo bicchiere di acqua, contro raffreddore, sinusiti e influenza sono straordinari i suffumigi che si effettuano versando 3 gocce di olio essenziale in una pentola di acqua bollente e respirandoci sopra. L’essenza di limone ha proprietà benefiche sul fegato, stomaco, intestino e pancreas facilitando la depurazione dell’organismo e l’eliminazione di tossine. 

Il limone ci aiuta anche in casa con le sue proprietà antiparassitarie. Siete afflitti da formiche e non volete intossicarvi con prodotti chimici? Prendete del talco inodore versate qualche goccia di Olio essenziale di limone e spargete laddove vi è il passaggio delle formiche. L’olio essenziale estratto dai fiori e dalle foglie si chiama petit grain ed è usato soprattutto in profumeria, mentre quello estratto dall’albedo (scorza) ha interessanti applicazioni in cucina.

 

Spesso i cocktail vengono serviti con una fetta di limone o con la scorza arrotolata, l’intento non è solo decorativo infatti il naso percepisce una gradevole nota di limone. Il sapore di tutti i dolci migliora con una leggera nuance di scorza di limone. Avete mai provato ad aggiungere la scorza del limone ad un piatto di trofie con i frutti di mare o ad un risotto di gamberi e funghi? Il risultato è spettacolare. Anche nel condimento dell’insalata qualche goccia di limone spremuto regala una nota agrodolce piacevole.

 

Un particolare limone locale ormai presidio Slow Food da qualche anno è il limone Interdonato ottenuto da un incrocio fra il cedro e un limone varietà ariddaru. Il nome Interdonato ci deriva da colui che per primo riuscì ad ottenere questo incrocio. La sua zona tipica di coltivazione è sulla costa ionica della nostra provincia. Il suo aroma delicato e dolce lo rendono perfetto anche servito fresco tagliato a fette sottili con la scorza e condito con olio e sale.

 

Il limone è perfetto assieme a tantissimi altri ingredienti ed essendo molto versatile merita un posto di rilievo nella preparazione delle nostre pietanze. Spesso sottovalutato questo agrume si fonde magicamente con carne, pesce, pasta e dolci.

 

Risotto cremoso al limone e gamberetti semplice nella preparazione e dal sapore delicato.  

                                                                                       

Ingredienti (4 Porzioni):

350 g di riso arboreo 
1l di brodo vegetale
1 limone (buccia grattugiata) e succo spremuto
300 g gamberetti sgusciati
200 g formaggio cremoso (philadelphia)
1/2 bicchiere di vino bianco
2 cucchiai d'olio
mezza cipolla bianca

 

Preparazione:  Soffriggete in una casseruola alta la mezza cipolla nell'olio. Aggiungete il riso e lasciartelo tostare. Versate  il vino dopo la tostatura e man mano il brodo a cui avrete aggiunto il succo del limone e salate.  A metà cottura aggiungete i gamberetti continuando a mescolare e aggiungendo il brodo quando è necessario.  A fine cottura mantecate con il formaggio fresco e la scorza di limone.

 Per informazioni e prenotazioni Alessandra Garavini  tel. 3385981789

 

- a cura di Alessandra Garavini -

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Sentiamo parlare di pesce azzurro molto frequentemente soprattutto in rapporto al loro contenuto di acidi grassi della serie omega 3: questi ultimi ottimi come antinfiammatori in particolare nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Spesso però non è chiaro di quali pesci stiamo parlando menzionando la categoria generica di pesce azzurro.

 Il "pesce azzurro" è una denominazione di uso generale e non corrisponde ad un gruppo scientificamente definito di specie.Si definiscono “azzurri” quei pesci dalla colorazione dorsale blu scuro e ventrale argentea. Generalmente abbondano nei nostri mari e questa prerogativa li rende più economici di molti altri. Tra i pesci azzurri rientrano pesci come l'aguglia, l'alaccia, l'alice, il cicerello, la costardella, il pesce sciabola o spatola, la sardina, lo sgombro, e il sauro. Inoltre possono essere considerati azzurri per la loro colorazione, anche molti pesci che, per dimensioni e forme, non hanno nulla in comune con "gli azzurri" più conosciuti. Tra questi troviamo l'alalunga, la lampuga, la palamita, il pesce spada e il tonno.

Come dicevamo, il pesce azzurro ha grassi simili a quelli vegetali, caratterizzati cioè prevalentemente da composti "insaturi", in particolare quelli della serie omega 3, importanti per lo sviluppo cerebrale e protettori per il cuore e le arterie. Il colesterolo è contenuto solo in modeste quantità nei prodotti ittici in genere, salvo poche eccezioni come per i crostacei. Il pesce azzurro fresco, riconoscibile dall'occhio vivo, la pelle brillante e le branchie rosse, è capace di fornire un buon apporto di vitamine: E e B e sali minerali: calcio, ferro, selenio, fosforo e iodio.

Sardine, sgombri, alici, e altri pesci azzurri, hanno buone proprietà nutritive ma nello stesso tempo sono molto delicati. Tali specie hanno un contenuto in grassi generalmente più elevato del "pesce bianco" e per questo è essenziale conservarle nel modo giusto per evitare che si deteriorino. È sempre consigliabile eviscerare e lavare il pesce azzurro prima di riporlo nel frigorifero e comunque consumarlo rapidamente, si può congelare solo se freschissimo e conservarlo non più di tre mesi nel congelatore.

Di seguito alcune delle più comuni specie di specie azzurro dei nostri mari.

Acciuga o Alice                    

Le acciughe, dette anche alici, sono tra i pesci azzurri più comuni, raggiungono al massimo i 20 cm. Sono pesci gregari che si riuniscono in branchi e compiono notevoli spostamenti. La loro pesca si effettua tutto l'anno con reti da traino pelagico e con reti da circuizione. La loro freschezza si deduce dall'occhio che deve essere "vivo" e dai colori brillanti e mai opachi. Hanno carni buone e gustose, sia allo stato fresco che conservat
 

 L'aguglia vive nel Mediterraneo o nell'Atlantico orientale ed è molto comune su tutte le nostre coste. È un pesce migratore dall’aspetto caratteristico: corpo allungato con la bocca allungata. Di colore blu o grigio scuro sul dorso, argenteo sui fianchi e sul ventre.

Costardella  

La costardella si trova a notevole distanza dalla costa in banchi di migliaia di individui.
La sua colorazione è blu-verde sul dorso, argentea sui fianchi e sul ventre. Presenta una bocca allungata a forma di becco che è più sottile e corta di quella dell'aguglia. La costardella è di piccole dimensioni e non supera normalmente i 25 cm
.

Pesce sciabola o Spatola                            

Il pesce sciabola ha il corpo molto allungato, schiacciato ai lati, a forma di nastro che può essere 15 o 20 volte maggiore dell'altezza. La livrea, senza squame, è argentea e brillante, formata da un pigmento che si stacca molto facilmente a contatto con le dita. Questa specie presenta a volte dei parassiti nella cavità viscerale, che possono passare nel tessuto muscolare e si notano come piccole spirali. Se dovesse capitarvi di trovare nella parte muscolare questi parassiti (Anisakis) avete due possibilità: toglierli o cuocere il pesce e mangiarlo come se nulla fosse. L'unica cosa che non dovete assolutamente fare è mangiare il pesce sciabola crudo.
  1.                     

Di forma panciuta, compressa lateralmente, può raggiungere al massimo i 20 cm ma più spesso si aggira intorno ai 12/16 cm. Si distingue dall'acciuga perché ha la bocca in posizione mediale, mentre quella dell'acciuga, quando è chiusa, è rivolta verso il basso. Ha carni piuttosto grasse in estate, più magre in inverno, molto gustose, sia fresche che conservate.

Sgombro

 

 Lo sgombro o maccarello è un pesce azzurro di medie dimensioni che si nutre generalmente di piccoli pesci come alici o sardine. In primavera, dopo la riproduzione, si avvicina alle coste. Si cattura soprattutto di notte con reti da circuizione e fonte luminosa.

Ecco a voi una gustosa ricetta: Acciughe all’arancia.

Ingredienti: 350 g di acciughe, 1 limone, 1 arancia, 10 olive verdi, 25 g di pinoli, prezzemolo, vino bianco secco q.b., peperoncino, 80 g di pangrattato, olio extravergine, sale e pepe.

 

Preparazione: pulite accuratamente le acciughe levando la testa e diliscandole. Lavatele e lasciatele scolare. Tagliate il limone a fette rotonde sottili.

 

Trito: mondate e lavate il prezzemolo, tritatelo insieme alle olive snocciolate e ai pinoli. Sminuzzate a pezzetti il peperoncino.

 

Accendete il forno a 10 °C. Sistemate in una pirofila i pesci a strati (volgendo le code al centro) e alternando con delle fette di limone. Coprite l'ultimo strato con il trito preparato.

 

Fate tostare in un pentolino la mollica di pane con un filo d'olio. Distribuitela sui pesci.
Condite con un pizzico di sale e irrorate con un goccio di vino e 2 cucchiai di olio.

 

Passate in forno caldo per circa 30 minuti. Spremete il succo di mezza arancia.
Fate trascorrere 15 minuti dall'inizio della cottura quindi versate il succo sui pesci.
Servite calde o tiepide. Decorate con delle fettine ricavate dalla mezza arancia avanzata
.

Valori nutrizionali dell’acciuga per 100 g: calorie 131

 Grassi: 4,4 g - proteine: 20,3 g – acqua: 73,7 g - carboidrati: assenti.

 Minerali: Ca 147 mg, Fosforo 174 mg, Potassio 383 mg, Fe 3,25 mg.

 La vitamina più abbondante è la vit. B3 o PP utile alla pelle, all’apparato digerente e al sistema nervoso centrale.

 - di Alessandra Garavini -

Entrambe reazioni avverse agli alimenti, le allergie e le intolleranze alimentari sono spesso confuse tra di loro non solo dalla gente comune, ma anche da molti operatori sanitari.

In realtà le differenze sono nette. Le allergie alimentari sono causate da un allergene, spesso una proteina, che scatena nel nostro organismo reazioni negative esagerate mediate dal nostro sistema immunitario, in particolare dalle immunoglobuline tipo E (IgE).

Quindi la diagnostica prevede dapprima il dosaggio delle IgE e poi la ricerca dello specifico allergene. Solitamente nel caso di allergia la reazione avviene immediatamente dopo il contatto con l’alimento ed i sintomi riguardano in particolare la pelle, il sistema respiratorio e quello gastroenterico. Chi è allergico ad un alimento lo sarà per sempre e ne bastano anche piccole quantità per scatenare la reazione. Solo pochi alimenti sono responsabili del 90% delle allergie ed in particolare fragole, cioccolato, uova, soia, arachidi, noci, crostacei e molluschi.

 L’intolleranza alimentare non è mediata dal nostro sistema immunitario, in genere interessa il metabolismo degli alimenti, quindi le metodiche diagnostiche non sempre sono riconosciute di validità scientifica. Le tecniche più accreditate, per accertare l’intolleranza ad uno o più nutrienti, richiedono un prelievo di sangue. Gli alimenti maggiormente implicati nelle intolleranze sono spesso quelli più comuni nella nostra alimentazione, quindi cereali, latte, uova, pomodoro, caffè, olio di oliva, carne di maiale. I sintomi si possono scatenare anche a distanza di 1-2 giorni dall’ingestione del cibo e possono interessare tutti i comparti del nostro organismo compreso il sistema nervoso. In genere l’unica terapia è l’astinenza dall’alimento non tollerato per almeno 3-6 mesi per poi reinserirlo nella dieta gradualmente.

Un capitolo a parte riguarda il malassorbimento del lattosio, lo zucchero del latte, in questo caso i sintomi, a volte anche severi a carico del sistema gastrointestinale, sono causati dalla carenza dell’enzima lattasi che permette la scissione dello zucchero lattosio per essere poi digerito. Il metodo per diagnosticare la carenza di lattasi si chiama H2 Breath test e consiste nel dosare la produzione di Idrogeno espirata dopo l’ingestione di una dose di lattosio. Oggi l’enzima lattasi si può assumere sottoforma di preparato farmaceutico prima di bere il latte o mangiare latticini, permettendone quindi il consumo anche a chi ha carenza di questo enzima.

Fra gli alimenti che possono provocare reazioni avverse dobbiamo menzionare quelli ricchi di istamina; un mediatore chimico del nostro organismo, che può scatenare sintomi molto simili a quelli presenti nelle allergie, in soggetti particolarmente sensibili. La lista degli alimenti in questo caso può essere lunga, formaggi, vino, fragole, cioccolato, crostacei sono fra quelli che danno più problemi.

E’ importante, quindi, che la diagnosi di allergia o intolleranza sia fatta nel modo corretto per poter poi affrontare una dieta adeguata ed evitare inutili privazioni e regimi alimentari restrittivi o al contrario, continuare ad alimentarsi con alimenti che provocano disturbi.

Per ulteriori informazioni riguardanti le intolleranze alimentari o diete potete rivolgervi a:

Dott.sa Alessandra Garavini

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Il Maiorchino

Mag 14, 2024

- a cura di Alessandra Garavini -

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In questi ultimi anni si è assistito ad una riscoperta di tutti quei prodotti che conservano la genuinità ed i sapori di un tempo. Grazie a ciò il Maiorchino, ritenuto un pregiato formaggio a pasta dura cotta, è stato salvato dall’estinzione. E’ prodotto in alcuni comuni in Provincia di Messina: Santa Lucia del Mela, Basicò, Tripi, Mazzarrà Sant'Andrea, Fondachelli Fantina e Montalbano Elicona. Oggi è un presidio slow food.

La sua forma è cilindrica a faccia lievemente concava, la crosta è giallo-marrone, la pasta è di colore giallo paglierino di consistenza compatta, l’occhiatura quasi assente.

 

Un po’ di storia. Le origini sono antichissime anche se non si conosce il periodo esatto in cui iniziò la produzione. Già nei primi anni del 1600 il Maiorchino divenne il protagonista di un tradizionale gioco a Novara di Sicilia e da esso sembra trarne il nome “a Maiurchea”. Secondo altre fonti il termine Maiorchino deriverebbe invece da una varietà di frumento indigena “maiorca” che ha una mietitura precoce a maggio; periodo coincidente con la preparazione di questo formaggio. La tecnica di caseificazione probabilmente ha risentito anche di antichi segreti importati dai “lombardi” negli anni mille, infatti lo studio della produzione del maiorchino, diversa da quella del comune pecorino, consente di cogliere alcuni aspetti della tecnica produttiva del grana.

Come si prepara. IlMaiorchino si prepara ancora con tecniche tradizionali. Si produce da febbraio fino a giugno in piccolissime quantità, lavorando il latte crudo di pecora (con un’aggiunta del 30% circa di latte di capra) e unendo caglio di capretto o agnello. Gli animali sono allevati sui pascoli dei monti Peloritani.

 

Dopo la rottura della cagliata in grani minuti e la cottura nella quarara di stagno, si colloca la pasta nella fascera di legno “garbua”. Inizia a questo punto la fase della foratura, per favorire la fuoriuscita del siero, con un ago di ferro il minacino, pressando poi delicatamente con le mani la superficie del pecorino. Si sala a secco per 20 giorni e infine si fa stagionare per almeno 8 mesi in tipici locali di pietra interrati, freschi e umidi.

Il gioco. Nella settimana di carnevale, a Novara di Sicilia, il Maiorchino è il protagonista di un torneo. La gara consiste nel far rotolare una forma di formaggio del peso di circa 10 Kg lungo un percorso che si snoda per 2 Km lungo le vie del centro storico. Vince la squadra che arriva per prima al traguardo col minor numero di lanci.

 

Abbinamenti alimentari. Quando supera l’anno di stagionatura i profumi diventano persistenti con odori di burro ed erbe, note fruttate di mela e vaniglia. Si gusta grattugiato sui sughi dei primi piatti della tradizione messinese come la pasta alla norma  o inserito nella pasta al forno. Il suo sapore si esalta se degustato con miele e marmellate di agrumi, con noci, pere ed uva. Si sposa bene con vini dolci o liquorosi. Ottimo con la Malvasia delle Lipari o con un Marsala dolce, ma anche con Etna Rosso di Nerello Mascalese o Cappuccio, come vuole la tradizione contadina che di fatto conosceva soltanto il vino rosso.

Per quanto riguarda i valori nutrizionali il Maiorchino ha un ottimo tenore in proteine ed è particolarmente importante per l’apporto di calcio,  fosforo e selenio. E’ ricco anche di vitamina A, K e B12. L’elevata concentrazione di colesterolo e di sodio potrebbe rappresentare una controindicazione per chi ha problemi di ipercolesterolemia o di ipertensione.

Valori Nutrizionali per 100 g:

Calorie             Grassi      Carboidrati              Proteine               Acqua               Colesterolo

  387                 27              3,7                       31,8                    31                      104 mg   

Ho scelto per voi una ricetta siciliana da gustare nelle serate di dicembre in compagnia degli amici giocando a carte, non particolarmente calorica in quanto cotta al forno.

 

CALZONI SICILIANI con MAIORCHINO al forno.

 

Ingredienti per 4 persone: 750 g di pasta di pane già lievitata.
Per il ripieno: 7 hg di scarola lavata ed asciugata, 250 g di maiorchino, 150 g di ricotta, 150 g di prosciutto cotto, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.  Per friggere: olio di arachidi.
Preparazione: tritare il prosciutto molto finemente ed unirlo alla ricotta e alla scarola. Versare un filo d’olio, aggiustare di sale e di pepe ed amalgamare il tutto.
Impastare la pasta di pane con due cucchiai d’olio. Dividere la pasta in 4 panetti e stenderli formando otto dischi. Distribuire sulla metà di ognuno pezzetti di maiorchino ed un cucchiaio di ripieno. Chiudete i calzoni a mezzaluna, premendo bene sui bordi inumiditi con un po’ d’acqua.
Ungere i calzoni con un filo d’olio e posarli sulla placca del forno rivestita di carta apposita.
Infornare a 230°C per circa 20-25 minuti. Servire caldi.
 

Il colesterolo è una sostanza essenziale alla vita umana. È fondamentale per le membrane cellulari, per il metabolismo delle vitamine liposolubili (A,D,E,K) ed è il precursore di diversi ormoni, dei sali biliari e della vit. D, è presente maggiormente nel fegato e nel cervello.

Colesterolo endogeno

Contrariamente a quanto spesso si crede la maggior parte di colesterolo presente nel corpo umano non è di origine alimentare (esogeno). Ogni giorno viene prodotto internamente circe 1 g di colesterolo, mentre l’apporto alimentare è di circa 0,3 g

I principali organi coinvolti nella sintesi  e nel metabolismo del colesterolo sono il fegato, le ghiandole surrenali e l’intestino.

Apporto alimentare

Il colesterolo alimentare viene assorbito dal’’intestino e trasportato nel sangue da apposite lipoproteine dette kilomicroni.

Gli alimenti che contengono colesterolo sono tutti di origine animale: uova, fegato e frattaglie, carne, crostacei, latte e latticini.

La distinzione fra colesterolo buono e cattivo non fa riferimento al colesterolo alimentare, ma  si riferisce  quello ematico (nel sangue).

Per capire la differenza bisogna scoprire in che modo il colesterolo viene trasportato nel sangue.

La molecola del colesterolo non è solubile in acqua, quindi per essere trasportato dal sangue ai tessuti si lega alle lipoproteine: complessi idrosolubili formati da proteine e grassi. Esistono diverse tipologie di lipoproteine e sono proprio queste che caratterizzano il colesterolo “buono” da quello “cattivo”.

Le lipoproteine LDL (Low Density Lipoprotein): il colesterolo “cattivo”.

La maggior parte del colesterolo presente nel sangue si trova legato alle lipoproteine a bassa densità LDL la cui funzione principale è quella di trasportare il colesterolo dal fegato ai tessuti; ed è proprio il colesterolo legato alle LDL quello “cattivo”; vediamo perché.

Quando nel sangue vi è un eccesso di colesterolo legato alle LDL questo si può depositare sulle pareti delle arterie, e col passare del tempo può ridurre il lume dei vasi fino ad ostruirli, col rischio di infarto. Per questo il colesterolo legato alle LDL è chiamato “cattivo”.

Il colesterolo “buono”

Altre lipoproteine ad alta densità, presenti nel sangue, sono le HDL (High Density Lipoprotein) che raccolgono il colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato dove viene trasformato ed eliminato.

Con le analisi del sangue si misurano comunemente i valori di:

La ricerca medica ha chiarito ormai da tempo che, sebbene il valore del colesterolo cattivo (LDL) sia di per sé un buon indicatore del rischio cardiovascolare, il parametro più importante da tenere sotto controllo è il rapporto tra colesterolo totale e HDL: Indice = Colesterolo tot./ HDL

Questo rapporto dovrebbe essere sempre inferiore a 5 per gli uomini e a 4,5 per le donne.

Per quanto riguarda i valori assoluti nel sangue, i livelli di colesterolo vengono generalmente interpretati, in relazione al rischio cardiovascolare secondo le seguenti tabelle:

Colesterolo totale Valori in mg/dl

Inferiore a 200 rischio minimo        Fra 200 e 240 rischio lieve             Superiore a 240  rischio alto

Colesterolo LDL Inferiore a 130 rischio minimo - Fra 130 e 160 rischio lieve - Superiore a 160  rischio alto  

Colesterolo HDL Superiore a 60 rischio minimo  -  Fra 50 e 60   rischio lieve  -  Inferiore a 40 rischio elevato

Valori di colesterolo sballati raramente sono il sintomo di una malattia specifica, molto spesso si tratta di utili indicatori di un errato stile di vita.

Le principali cause che portano a valori fuori norma sono:

La dieta

Per mantenere i valori di colesterolo nella norma la dieta dovrebbe essere bilanciata e senza eccessi. Dieta bilanciata significa che la quantità di carboidrati, proteine e grassi deve essere adeguata al fabbisogno giornaliero e più precisamente:

Bisogna sottolineare che la quantità di colesterolo contenuta nei cibi, salvo rare eccezioni, è   importante, ma non sempre determinante; infatti il 75% è sintetizzato dall’organismo.

E allora come possiamo modulare i valori di colesterolo nel sangue?

Un fattore importante è la qualità dei grassi che si assumono con la dieta.

I grassi idrogenati (grassi trans) causano un aumento delle LDL ossia del colesterolo “cattivo”.

L'idrogenazione è un processo chimico attraverso il quale gli acidi grassi polinsaturi presenti in molti oli vegetali, liquidi a temperatura ambiente,  vengono "parzialmente saturati" divenendo semisolidi e maggiormente conservabili. In pratica si prende un olio vegetale e lo si trasforma chimicamente per ottenere un grasso molto più “duttile” nell’industria alimentare di trasformazione. Gli scaffali dei supermercati sono pieni di alimenti contenenti grassi idrogenati come margarina, biscotti e merendine, quasi tutti i dolci come gelati, budini, cioccolatini, pasta sfoglia, alimenti del fast food: patatine, crocchette, dadi per brodo, salatini, barrette e snack vari.

I grassi saturi, contenuti soprattutto nella carne e nel burro causano sia un aumento delle LDL che delle HDL. Quindi il consumo di questi grassi non è così disastroso come si pensa.

I grassi insaturi presenti negli oli vegetali (tranne l’olio di cocco e di palma) e nel pesce soprattutto azzurro, causano una diminuzione del colesterolo cattivo LDL e un aumento di quello buono HDL.

Per aumentare il colesterolo buono è altamente consigliabile una regolare attività fisica: almeno 3 ore settimanali. Chi è in sovrappeso dovrà raggiungere un peso ragionevole.

Integratori e fitoterapici utili: ottimi sono gli integratori a base di silimarina estratta dal cardo mariano, cinarina estratta dal carciofo, allicina dall’aglio, riso rosso fermentato, curcuma, omega 3 oltre alla vit. E come antiossidante. Anche il succo e l’olio essenziale di limone hanno effetti ipocolesterolemizzanti.

Fra le pietanze ho scelto i carciofi alla romana perché il carciofo aiuta a depurare il fegato e le alici, presenti fra gli ingredienti, sono ricche di  omega 3.

Carciofi alla romana: ingredienti per 2 persone

§  4 carciofi, ½ limone, 4 alici sott’olio, prezzemolo, 6 foglie di menta, 2 spicchi d’aglio.

§  Sale e pepe verde q.b., 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, ½ l circa di brodo      vegetale e ½ bicchiere di vino bianco.

PREPARAZIONE: Pulire i carciofi rimuovendo le foglie esterne e tagliando i gambi, di cui è possibile utilizzare i primi 5 centimetri, spellati per rimuovere lo strato esterno più coriaceo. Mettere carciofi e gambi in acqua fredda acidulata con mezzo limone in attesa di averli puliti tutti. Tritare finemente il prezzemolo assieme alla menta e agli spicchi d’aglio spellati. Scolare i carciofi dall’acqua acidulata, divaricarli e farcirli ognuno con un cucchiaino di trito, 1 alice, un pizzico di sale ed un filo d’olio. Mettere i carciofi in un pentolino dai bordi alti, largo appena da ospitarli tutti. Unire i gambi negli spazi, condire con 1 cucchiaino d’olio, cospargere con il trito rimasto, un pizzico di sale ed una manciata di pepe verde. Unire abbastanza brodo vegetale da coprire i carciofi per due terzi della loro altezza e sfumare col vino bianco. Cuocere a fiamma media con coperchio per 30 minuti circa.

Ulteriori informazioni sull’argomento sono documentate sul libro “Fiori e sapori” consigli nutrizionali di Alessandra Garavini edito da Armando Siciliano.

Il baccalà

Mag 14, 2024

-  a cura di Alessandra Garavini -

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Lo Stoccafisso (pesce stocco) e il Baccalà sono il prodotto di due differenti lavorazioni del Merluzzo per renderlo conservabile più a lungo.

Una volta pescato il Merluzzo, liberato già sul natante della testa, delle pinne, della coda e dell' intestino, viene immediatamente messo in barili, con abbondante sale che ne garantisce il prosciugamento e la lunga conservazione. Questo e' il Baccalà.
Quando invece il Merluzzo scaricato a riva, viene fatto essiccare all’aperto a temperature attorno allo zero, si ha lo Stoccafisso, ovvero stock legno o bastone e fish pesce.

I popoli nordici pescavano i merluzzi già nell’antichità e dopo averli sviscerati li stendevano all’aria aperta ad asciugare, il pesce si disidratava riducendosi ad un “bastone”. La sua essiccazione permetteva di stivarlo nelle navi divenendo la principale fonte di proteine durante le lunghe attraversate in mare.

Si deve, invece, alle popolazioni basche la lavorazione del merluzzo fino ad ottenerne il Baccalà. Poiché il clima spagnolo è meno freddo di quello norvegese essi preferirono metterlo sotto sale; nasceva così il Baccalà. In Sicilia arrivò verso la metà del XVIII secolo e, lo si deve alle repubbliche marinare e agli empori istituiti a Palermo e Messina dove si scambiava questo alimento con altra merce locale.

Nella pronuncia siciliana sono diventati “piscistoccu e baccalaru

Per quanto riguarda le proprietà nutrizionali, il Baccalà ha carni bianche particolarmente digeribili molto apprezzate che si prestano a svariate preparazioni in cucina. In particolare è’ ricco di proteine, sali minerali, (fosforo, calcio, iodio e ferro), con pochi grassi e calorie. Per questo è indicato nelle diete ipocaloriche se consumato al naturale. Il Baccalà è  anche adatto a realizzare un piano alimentare equilibrato per chi non necessita di particolari restrizioni caloriche o per lo sportivo che ricerca un alimento dall'alto contenuto proteico. Il Baccalà ha pochi grassi e quelli che ha sono anche molto utili. Si tratta dei famosi OMEGA 3, preziosi acidi grassi polinsaturi che fungono da antinfiammatori naturali.
I valori forniti di seguito si riferiscono a 100 g di Baccalà già ammollato:

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