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LA PESCA NELLO STRETTO "U Pisci Spada" - di Marco Giuffrida

Ultima puntata di “Linea Blu” di questo fine 2010 freddo, umido piovoso. Me la sono vista distrattamente incapace, oggi, di concentrarmi e di godermi gli splendidi panorami che mi venivano proposti.

Questo finché l’occhio non mi è caduto sullo scorrere di un titolo che passava sullo schermo e che annunciava un servizio sulla Pesca nello Stretto di Messina.

L’attenzione è diventata massima e mi è piaciuto molto vedere le veloci e moderne imbarcazioni, splendidamente attrezzate, capaci di rincorrere il velocissimo pesce che, attraversando lo Stretto, cerca il mare più caldo.

Meraviglioso il panorama che ho visto e bello è stato osservare la costa della mia Città verso “Paradiso”, Ganzirri e Capo Peloro.

Stupendo il Mare, il “mio” Mare con quel suo colore blu cobalto.

Assieme ad un po’ di “sana” malinconia sono tornati i Ricordi di quando, ragazzo, sono stato invitato da un anziano Pescatore, Don Candeloro”, a passare una giornata con lui ed i “suoi” Uomini.

Il sistema di pesca, alla fine degli anni Quaranta, era simile all’attuale solo veniva effettuato da due imbarcazioni: la Nave “Madre”, la Feluca, un natante abbastanza grande azionato da un motore, e da una velocissima imbarcazione a remi, dipinta di nero, di cui, purtroppo, non ricordo più il nome.

La Feluca è il centro di osservazione. È l’imbarcazione da cui partono le indicazioni e gli ordini non appena viene avvistato il grosso pesce.

Dalla cima dell’alta antenna, l’osservatore lancia il grido: “u vitti!” “L’ho visto!” e, dopo, darà tutte quelle indicazioni ai rematori perché possano mettersi sulla scia della preda.

“A destra!” “A sinistra”! “Rema, rema!!”

Ecco che i quattro, cinque rematori, curvano la schiena nel massimo sforzo. È pure il momento in cui si approntano il fiocinatore a prua ed una “vedetta” che sale su una bassa antenna al centro del natante in attesa di prendere, da più vicino, il contatto visivo con il pesce.

È un inseguimento velocissimo dove le grida di comando si confondono con il rumore della prua che taglia i flutti. Le virate brusche fanno, paurosamente, inclinare la barca e pare, perfino, che la vedetta, aggrappata alla bassa antenna, abbia a cadere da un momento all’altro. Finalmente il pesce viene visto dall’Uomo della barca nera che prende il controllo e da più precise indicazioni.

“A destra! A destra! Corri ...... Dritto!”

E, alla fine, il Fiocinatore a prua vede e scaglia la micidiale arma.

“U pigghiai! U pigghiai!” L’ho preso.

Ed una scia di sangue segna l’epilogo della caccia.

Viene allentata la “cima” a cui è legata la fiocina, perché scorra e lasci spazio al Pesce mortalmente ferito. Inizia una strana e difficile battaglia senza, al momento, vincitori o vinti. La preda deve sfinirsi prima di tentare di portarla a bordo, perché, quando è ancora in forze, potrebbe riuscire a svincolarsi dal micidiale arpione. Ecco dunque che inizia uno strano inseguimento finché, al momento ritenuto più opportuno, viene tirata indietro, la sottile ma robusta corda, fino ad portare il Pesce sotto il fianco della Barca e portare a termine la cattura.

Il Pesce ancora vivo, anche se fiaccato, è pericoloso per i colpi di coda e di spada che può dare.

Poco dopo, con ogni cautela, eccolo trasferito sulla Feluca dove, morto, subirà i primi “trattamenti”.

La nera Barca a remi si posiziona per una nuova caccia in attesa che arrivi un grido all’alto dell’antenna della feluca.

Io ero lì, con Don Candeloro, ad osservare con grande attenzione ed interesse tutti quei momenti.

Potei ascoltare anche la storia di quel Pesce Spada: una femmina! Così come era stato “profetizzato” dalla conoscenza e dall’esperienza dell’anziano Uomo.

La povera bestia cercava il mare più caldo e, per questo, il suo istinto l’aveva portata ad attraversare, nelle sue migrazioni, andata e ritorno, lo Stretto di Messina.

Spesso, mi spiegava, Don Candeloro, la femmina è accompagnata dal maschio che l’affianca nell’agonia e si ribella alla cattura della compagna diventando pericolosissimo per i pescatori e per le stesse imbarcazioni.

È una storia d’Amore e Fedeltà che termina in modo cruento, a volte, addirittura drammatico, con ben due Vittime.

Ricordi intensi di cui molti particolari sono restati vivi nella mia memoria e ne sono lieto.

C’erano momenti speciali alla fine della battuta di pesca quando i Pesci Spada venivano preparati per essere venduti e, per questo, venivano “ripuliti”.

C’era massimo rispetto nell’agire, nell’aprirne i ventri per togliere le interiora che venivano “restituite” al Mare con grande festa per gli altri pesci ed i gabbiani.

Restavano a bordo i cuori. Quelli no, non venivano dati al Mare!

Dal cuore partiva il coraggio che, al Pesce Spada, dava la Forza per affrontare l’impari, anche se leale, lotta con l’Uomo Cacciatore.

E l’Uomo Cacciatore riconosceva e concedeva ogni onore alla sua Vittima fino a carpirne questa “Forza”.

Religiosamente.

Radunati sul Ponte della Feluca, con grande rispetto, vidi dividere i cuori delle prede. Un pezzettino a testa su cui qualcuno fece cadere qualche goccia di limone.

Comunione fra Uomo, Terra e Mare.

Ne fu offerto anche a me e lo mangiai per non essere da meno. Per sentirmi Uomo, io ragazzino di poco più di dieci anni!

Si, sono sicuro che, quello, per me fu un vero Rito di Iniziazione. Un Rito da cui ho tratto forza e coraggio per affrontare la Vita ed arrivare ad Oggi con tanti ricordi ed una punta di “sana” Nostalgia.

Marco Giuffrida

Ultima modifica il Lunedì, 10 Ottobre 2016 07:06
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