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In un recente post pubblicato su Facebook, il mio collega e amico Antonio Di Grado,
professore ordinario di Letteratura Italiana già presso l’Università di Catania,
ricorrendo il ventiseiesimo anniversario dell’uscita del suo De Roberto (La vita, le
carte, i turbamenti di Federico De Roberto gentiluomo), ha riproposto, «con lo
stesso affetto», i suoi «ringraziamenti a maestri, amici e familiari che [lo] avevano
variamente aiutato», già contenuti nella Premessa di quel suo interessantissimo libro.
Varrebbe la pena di rileggerla, quella Premessa, come documento esemplare di una
corretta prassi universitaria fondata sulla circolarità dei saperi, sulla collaborazione
tra maestri ed allievi e sulla condivisione con i colleghi dei traguardi scientifici
raggiunti: una stimolante socialità che non mortifica – semmai esalta –
l’individualità.
Di Grado ricorda, in specie, il suo «allievo e amico Rosario Castelli», Francesco
Branciforti, Mario Sipala, Natale Tedesco, Leonardo Sciascia, Marzia Finocchiaro,
Cristina Grasso, Antonio Guarnaccia, Giuseppe Maimone, Marcella Minissale,
Arturo Panascia, Gaetano Zio e la signora Carla Paola, pronipote di De Roberto.
A questo bel post ho aggiunto un mio breve, sentito commento, che riporto:
Mi complimento per il tuo De Roberto e quasi ti invidio (non soggiaccio, di
norma, a questo vizio) per la folta schiera di amici e maestri che hanno secondato
il tuo impegno. Qui, a meno di cento chilometri di distanza, voglio dire a
Messina, non bastava – e non basta – scrivere saggi innovativi per avere colleghi
solidali (non parliamo di maestri locali, inesistenti nel nostro settore). Viva la
Sicilia dell’arte, della letteratura, del lavoro duro, della ricerca, del merito e della
trasparenza.
In verità, pensando – a ridosso del post di Antonio Di Grado – alla mia benamata
città e a certe sue specifiche “virtù”, mi era tornato dapprima in mente un aforisma
che mi capitava di sentire frequentemente nei discorsi dei vecchi, durante gli anni
beati della mia adolescenza cariddota: «U missinisi è amanti du sangu stranu». Però,
subito dopo, lo avevo lasciato cadere, ritenendolo retrodatato, e avevo optato per il
commento di cui sopra.
Nei fatti, però, quel mio primo pensiero aveva una ragion d’essere, ove si consideri
che trova riscontro nella realtà: nell’ultimo sessantennio, per esempio, presidi delle
due Facoltà umanistiche che mi è stato dato di frequentare non sono stati studiosi
messinesi, bensì catanesi o tarantini o calabresi, a iosa: e – si badi – nulla quaestio,
quando qualcuno (raramente) ha ben meritato. «Tout se tient».
Stamattina, peraltro, mi accorgo che quell’aforisma focalizza anche, efficacemente,
con la forza della metafora popolare, il comportamento tipico del provinciale (e del
messinese, in particolare), il quale – forse, per un malcelato complesso d’inferiorità
– mostra una certa deferenza (non priva d’ipocrisia) nei confronti dei forestieri (che
presume più avanzati socialmente e culturalmente). Potrebbe essere sottesa,

insomma, a quella locuzione popolare, la critica della falsa esterofilia (?) dei
messinesi.
Ferma restando, ad ogni modo, la riconosciuta indifferenza-irriconoscenza dei
messinesi nei confronti dei concittadini meritevoli: se ne trova traccia anche nelle
novelle di Boner, il più grande narratore messinese di fine Ottocento (uno che
conosceva bene la città dello Stretto, da lui profondamente amata, e la mentalità –
non sempre ragguardevole – dei suoi abitanti).
Certo, oggi, mentre trionfa a tutti i livelli il globalismo, dovremmo essere fuori dalle
miserie provinciali.
Ma una ulteriore riflessione consente di fare quell’aforisma – il dialetto siciliano è
una miniera di sensi e di registri – se, uscendo dalla metafora del «sangu», si
considera una seconda accezione di «stranu»: quella di «strano», cioè insolito,
inconsueto, atipico, anormale. In tal caso, quell’arcaico aforisma si muterebbe in
quest’altro: «Il messinese predilige ciò che è strano», insolito, inconsueto, atipico,
anormale. E qui, invero, non si finirebbe mai di trovare, con rammarico dei
messinesi che amano la loro città, riscontri oggettivi.
Non è strano che i messinesi abbiano eletto, per decenni e decenni, sindaci dello
stesso colore politico, anche se nessuno di loro faceva mai alcunché per la città?
Anche se il mare corrodeva le più belle coste della Sicilia? Anche se l’industria
scompariva dalle rive dello Stretto? Anche se il turismo latitava nella città dello
Stretto? Anche se i giovani, privi di lavoro, abbandonavano la città dello Stretto?
Restano, per la verità, nella memoria collettiva, per il bene fatto o tentato, solo un
sindaco del passato e qualcuno del presente.
Non è strano che i messinesi accreditino della loro fiducia un politicante che li ha
sempre disprezzati come meridionali?
Non è strano che i messinesi, abitanti in una città di mare, ignorino il mare, i venti, le
correnti, i pesci?
Non è strano che le “prime donne” (maschi e femmine) di innumerevoli associazioni
culturali della dottissima città dello Stretto alzino i muri contro le prime donne di
altre associazioni culturali? E che la vita associativa si risolva, in gran parte, a
Messina,in una lotta o in una sfilata di “prime donne”?
Non è strano che la città dello Stretto si segnali soprattutto – con l’immenso dolore
di noi che l’amiamo toto corde – per casi di malaffare, finendo con l’essere definita
«verminaio»?
Non è strano che i professori universitari messinesi (tranne qualche gatto solitario)
non abbiano mai apertamente criticato, a fin di ben, più o meno clamorosi casi di
corruzione accademica?
Non è strano che in qualche Facoltà messinese, priva di veri maestri, fioriscano saggi
e libri innovativi, scritti e pubblicati da un messinese stimato e accreditato altrove?
Non è strano che si lasci disperdere tra le rovine, in città, un patrimonio artistico e
culturale che altrove sarebbe un tesoro da tutelare e valorizzare?
Non è strano che alcuni volenterosi lottino per anni – con pubbliche manifestazioni
di proposta e protesta, con la pubblicazione di libri e articoli accreditati – per fare di
Messina una città pascoliana (riuscendo quantomeno a fare intestare a Pascoli la

Biblioteca dell’ex Provincia) e che nessuno di questi poveri illusi venga ospitato in
un convegno che verte (sia pure indirettamente) su Pascoli a Messina?
Ma, alla fine, non è davvero strana la già gloriosa città dello Stretto?

Giuseppe RANDO

 

Un caro amico, vecchio compagno di liceo, intellettuale democratico di
sinistra, ritiene che il ponte sullo Stretto, voluto soprattutto da Matteo
Salvini, non sia realizzabile stando a quel che dicono molti accreditati
ingegneri (che elenca), e che non sarebbe, ad ogni modo, conveniente,
secondo il punto di vista di alcuni famosi economisti (che cita).
Perciò spera che tutto si risolva nella solita bolla di sapone e pensa che noi
"nopontisti" dobbiamo, fiduciosamente, insistere e resistere.
Devo dire che invidio la serenità del mio amico e di molti amici che la
pensano come lui. Ma non mi faccio illusioni sui neofascisti (variamente
camuffati) di questi amari tempi, per i quali il ponte non è che uno strumento
per conservare o rafforzare il potere: solo se perdessero le elezioni di giugno
potrebbero, forse, cambiare idea. Ma siccome è presumibile, a lume di
ragione politica, che avranno la maggioranza (dei votanti), mentre il 60%
degli italiani continuerà a guardarsi l'ombelico e la Sinistra continuerà a
frazionarsi, non è improbabile che continueranno nella loro opera di
distruzione di un sito unico al mondo e di una splendida, ma prona, città.
Non mi resterà che ritirarmi su ... l'aventino del mio paese collinare, per non
vedere lo scempio.
Non posso non considerare, infatti, che altro è l'augurio, l'auspicio, il
desiderio, altro sono i meccanismi, magari brutali, della realtà (politica).
Certo, ognuno di noi deve fare la sua parte e resistere, ma io credo che
potrebbe riuscire più stimolante (per i non-votanti) la mia modesta disamina
che il consolatorio appello alla speranza.
Con un solo inconveniente: la mia voce è troppo fievole, priva di risonanza
(non sono un deputato, non scrivo su un grande giornale, non frequento talk
show in televisioni nazionali). Così va il mondo.
Resistiamo tuttavia: non votiamoli ed esortiamo i nostri concittadini (e i
siciliani) a non votarli. Così si lotta davvero contro il... mostro.

Sette rappresentazioni dal 24 al 28 gennaio per il secondo appuntamento della stagione di opere e balletti
Al Teatro Massimo Bellini “Il lago dei cigni” bissa il sold out di “Turandot”
Il celeberrimo capolavoro di Petipa-Ivanov-Cajkovskij viene proposto nell’allestimento del
prestigioso Balletto di Stato della Georgia, affidato alla direzione artistica di Nina Ananiashvili

CATANIA – Il Cigno bianco, il Cigno nero. La purezza immacolata di Odile, la seduzione
ingannatrice di Odette: entrambe deflagrano senza appello, la prima nel cuore, l’altra negli occhi di
Siegfried, incapace di discernere la misteriosa ambiguità del ‘doppio’. Troverà il Principe la
fermezza per rispettare il giuramento d’amore, condizione necessaria per arrestare la metamorfosi
della donna-cigno? Su tutto aleggia il maleficio del mago Rothbart, catalizzatore dei più profondi
abissi dell’animo. Succede nel più emozionante e avvincente titolo del balletto classico, complici le
geniali coreografie originali di Petipa e Ivanov in uno con la soggiogante partitura di Čajkovskij.
“Il lago dei cigni” è perciò da quasi un secolo e mezzo paradigma perfetto della drammaturgia
romantica che si invera nella danza accademica più rigorosa.
Solo le grandi compagnie superano la grande sfida di un’esecuzione all’altezza del capolavoro. Tra
queste spicca il Balletto Statale della Georgia, il cui prestigioso allestimento, annunciato al Teatro
Massimo Bellini dal 24 al 28 gennaio, è già sold out da settimane, al pari della precedente
messinscena di “Turandot”, a conferma dello straordinario successo registrato dalla nuova stagione
dell'ente lirico etneo. Una serie positiva che in realtà è in atto, senza soluzione di continuità, sin
dagli esordi della governance guidata dal Sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano a partire
dal 2019. E un ulteriore impulso al rilancio del Teatro Massimo Bellini viene dal Cda insediatosi a
novembre e presieduto dal Sindaco Enrico Trantinto, con Daniela Lo Cascio vicepresidente e il
sindacalista Antonio D’Amico in qualità di rappresentante dei lavoratori.
Varando le sette rappresentazioni del “Lago”, il Bellini rafforza la collaborazione con il Teatro
Statale di Opera e Balletto di Tbilisi, che offre una mirabile produzione dello struggente “balletto
fantastico in un prologo e quattro atti”: due ambientati nella corte principesca, e due sulla riva dello
specchio lacustre.
L’allestimento rappresenta un fiore all’occhiello della compagnia, una delle più celebri e
prestigiose al mondo e massimo esempio della tradizione coreografica romantica; un retaggio
prezioso, affidato dal 2004 alla direttrice artistica Nina Ananiasvili, star di levatura mondiale. La
coreografia di Aleksej Fadeechev si ricollega a quella di Marius Petipa e Lev Ivanov: l’attuale
versione, rivisitata anche sul piano musicale, risale all’11 marzo 2016, quando è andata in scena,
per la prima volta all’Opera di Tbilisi.
L’Orchestra del Bellini sarà diretta da Papuna Gvaberidze. Le scenografie sono di Vjaceslav
Okunev, i costumi di Steen Bjarke. Interpreti principali alcune delle più celebri stelle del Balletto di
Stato della Georgia, che si alterneranno nelle diverse recite: Nino Samadashvili/Laura Fernandez/
Maria Kochetkova (Odette/Odile); Daler Zaparov/Filippo Montanari/Efe Burak (Siegfried);
Marcelo Soares/Sungwook Jung (Rothbart).
“Il lago dei cigni” è il primo dei tre balletti musicati da Čajkovskij, che attese alla composizione tra
l’agosto 1875 e l’aprile 1876. La prima rappresentazione assoluta avvenne al Teatro Bol'šoj di
Mosca il 20 febbraio 1877, con la debole coreografia di Julius Wenzel Reisinger. Il libretto
originale indica come autori Vladimir Petrovic Begičev, direttore dei teatri imperiali di Mosca, e il
ballerino Vasil Fedorovič Geltzer; tuttavia pare più verosimile che il plot sia stato adattato dal

coreografo sulla base dell’antica fiaba tedesca “Der geraubte Schleier” (“Il velo rubato”) . L’esito
tuttavia non fu esaltante e per il successo bisognerà attendere la profonda rielaborazione dei
coreografi Marius Petipa e Lev Ivanov, presentata il 15 gennaio 1895 al Teatro Imperiale Mariinskij
a San Pietroburgo, protagonista la mitica ballerina italiana Pierina Legnani. La musica di Čajkovskij
venne rivisitata da un altro italiano, Riccardo Drigo, allora maestro di cappella dei Teatri Imperiali.
La maggior parte delle compagnie di danza basa l'allestimento, dal punto di vista sia coreografico
sia musicale, su questo revival. Anche la trama fu semplificata: Odette e le sue sventurate
compagne sono vittime del sortilegio del mago Rothbart che di giorno le tramuta in cigni, per
riprendere di notte le vere sembianze. Solo l’uomo che amerà la principessa in assoluta fedeltà
potrà liberare lei e le altre. E sarà proprio il sentimento tra Siegfried e Odette, il Cigno bianco, a
vincere sugli intrighi del mago e di sua figlia Odile, il Cigno nero, spezzando il malvagio
incantesimo. Ma a quale prezzo? La versione primigenia, accanto alla sconfitta di Rothbart,
prevede infatti il sacrificio dei due amanti e la loro perpetua unione post mortem. Invece il pensiero
sovietico, così favorevole alla configurazione di eroi positivi, ha portato a consolidare un lieto fine
senza riserve, tuttora preferito nei Paesi dell’ex Urss per il portato di ottimismo concreto, non solo
ideale, insito nella vittoria del Bene sul Male. E così sarà anche nella messinscena che vedrà
protagonista la formazione in arrivo da Tbilisi.
È interessante ricordare che la nascita della Scuola del Balletto della Georgia si deve alla danzatrice
italiana Maria Perrini, allieva di Enrico Cecchetti. Il Teatro di Tbilisi ospitò il debutto internazionale
di questa grande ballerina che presentava, per la prima volta al pubblico georgiano, i famosi 32
fouetté. Vi rimase dal 1897 al 1907 e fu grazie a lei che si aprì il primo centro georgiano per lo
studio della danza classica. Il suo metodo di insegnamento e i suoi allievi posero le fondamenta per
la creazione del Balletto di Stato della Georgia.
Maria Perrini ritornerà in Italia nel 1936; alla direzione del Balletto e della Scuola resta il discepolo
Vakhtang Chabukiani, che raggiunge l’apice della carriera con Otello, di cui cura la coreografia.
All’inizio degli anni ’70 il nuovo direttore artistico è Gogi Aleksidze, allievo di Fedor Lopoukhov.
L’apporto di Aleksidze si caratterizza soprattutto per l’introduzione nel repertorio di pezzi
neoclassici e per la creazione di balletti ad atto unico. Gli succede Mikhail Lavrovsky, storico
ballerino e coreografo del Bol’soj di Mosca. Sotto la sua direzione si realizzano altri numerosi titoli,
da Romeo e Giulietta di Prokof’ev a Porgy and Bess di Gershwin.
Da un ventennio la direzione è affidata a Nina Ananiashvili, già principal in due fra le massime
compagnie internazionali: l’American Ballet Theatre di New York e il Bol’soj di Mosca. Fra i suoi
molti meriti, vi è quello di aver affiancato allo stile classico della Compagnia, altri linguaggi
coreografici, tra cui quello del sommo George Balanchine. Di rilievo le collaborazioni
internazionali avviate dalla Ananiashvili, tra le più importanti quelle con Covent Garden, Mikhail
Lavrovsky, Aleksej Fadeechev, Yuri Possokhov, Ben Stevenson. Tra i grandi ballerini che negli
ultimi anni hanno fatto parte del Balletto della Georgia, spiccano Andrey Uvarov, Sergei Filin, Igor
Zelensky, Maria Aleksandrova, Nadejda Grachova, Galina Stepanenko, Sebastian Kloborg.

Ho assistito ieri (29 dicembre u.s.) a “Notte Funesta”, Commemorazione del 115°Anniversario del Terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, voluta dall’Amministrazione comunale, presso il Palacultura, e sono stato colpito dalla forza delle immagini e delle parole.
Essendo uno dei “100 Messinesi per Messina 2008” che, da quindici anni,
ricordano, nell’occasione, ai concittadini gli esisti disastrosi dell’immane
sfacelo, mi ritenevo, invero, vaccinato da ogni cedimento sentimentale,
ma, evidentemente, la sapiente orchestrazione dello spettacolo e
l’accentuata – per senilità incombente – tendenza alla commozione mi
hanno spiazzato.
Sono stato, in particolare, colpito dalla magistrale lettura (fatta da un
attore messinese di cui non ricordo il nome) di alcune pagine del libro di
Giacomo Longo, Un duplice flagello: il terremoto del XXVII dicembre
MCMVIII in Messina ed il Governo italiano, edito a Messina nel 1911
(presso Officine Grafiche “La Sicilia”), e meritoriamente pubblicato da
EDAS nel 2010. Va detto che dell’opera di Giacomo Longo si è occupato,
con rigore, qualche anno addietro, il prof. Enzo Caruso, Assessore alla
Cultura e al Turismo nella giunta Basile, a cui probabilmente si deve la
regia, se non la paternità effettiva, della Commemorazione suddetta.
Certo, attraverso quella lettura attoriale, abbiamo percepito nettamente,
noi spettatori, l’indignazione dello scrittore messinese per le
inadempienze del Governo (presieduto da Giolitti), del generale Mazza e
di Bertolini (ministro dei Lavori pubblici) e la commossa, fraterna
riconoscenza, da lui dichiarata ai soldati russi, inglesi, tedeschi, nonché lo
strazio incontenibile per i feriti, lasciati morire sotto le macerie, per i
morti, per gli orfani, per le famiglie distrutte, e il suo incontenibile
disgusto per le ruberie cui si abbandonarono gli stessi soldati italiani,
inviati, con delittuoso ritardo, per aiutare e non già per depredare le
vittime: una fremente pagina di storia, invero, osteggiata apertamente
dalle autorità politiche del tempo, troppo presto dimenticata e forse poco
conosciuta.

Il prolungato applauso del folto pubblico presente ha dato voce ai
sentimenti di assoluto consenso di tutti sia alla ricostruzione degli eventi
fatta, con notevole spirito documentario e con grande coraggio, da
Giacomo Longo, sia alla interpretazione dell’attore.
Io ho provato – devo dire – un pizzico di orgoglio in più, quando l’attore
ha letto la frase in cui il Nostro, nel denunciare le illazioni fatte trapelare
sul suo conto dai filogovernativi per denigrarlo e vanificare la sua
denuncia, dichiara, senza remore, le sue umili origini di cittadino nato a
Torre Faro e innamorato della sua città e dell’Italia.
P. s. Giacomo Longo fu Francesco nacque a Messina (in Torre Faro), il 25 dicembre
del 1876; fu colpito da cecità all’età di nove anni e fu costretto a lasciare la scuola
nella classe terza elementare; recuperò parzialmente la vista «in seguito a cinque
operazioni» dell’oculista, prof. Scimeni, rimanendo tuttavia «invalido a qualunque
lavoro»; si sposò, ebbe figli (costretti a emigrare in America con la madre, «presso la
pietà dei parenti»; compose a 34 anni Un Duplice Flagello.
Egli stesso, nella chiusa, L’ultima parola e la mia punizione, onestamente dichiara:
«[…] riferendomi all’Italia ho inteso sempre lanciare sanguinosa ingiuria alla ipocrisia
beffarda di coloro che tutto potevano e che nulla vollero fare, nell’interesse di un
paese, che distrutto nel flagello degli elementi, avea diritto di rifarsi con rapidità
fulminea nella mente e nel cuore di Montecitorio».

Nell'ambito delle manifestazioni per il 115° anniversario del Terremoto, il Comune di Messina, come da programma in allegato, ha previsto, per sabato 30 dicembre alle ore 10.00, una deposizione di una corona di alloro alla statua della Regina Elena, eroica soccorritrice della Messina Terremotata.
Alla luce di quanto sopra estendo l'invito a tutte le Associazione Combattentistiche e d'Armi della città e auspico la presenza di una rappresentanza con il labaro o vessillo.
Per coordinare al meglio l'attività ci raduneremo in Largo Seggiola alle ore 9.30 del 30 dicembre.
 

 

La città di Palermo conta i giorni che la separano da uno dei Capodanni più attesi d’Italia, una serata ricca di musica e intrattenimento che dalle ore 20.30 del 31 dicembre animerà Piazza Politeama, trasformando il cuore della città in una vibrante arena di festa, promossa dall’Amministrazione guidata dal Sindaco Roberto Lagalla, organizzazione firmata da Puntoeacapo.

Se Elodie sarà “la voce” del Capodanno palermitano, non mancheranno artisti e musicisti di alto profilo con il filo conduttore affidato agli amatissimi Salvo La Rosa ed Eliana Chiavetta, che guideranno il pubblico attraverso un viaggio di musica e intrattenimento, con la diretta tv affidata all’emittente TGS che porterà la festa anche a chi non potrà essere presente in piazza.

La serata inizierà con i talenti nostrani Marlo, Peppe Lana e Pridea, a seguire Massimo Youth Orchestra, diretta dal M° Michele De Luca, con i talentuosi e giovani musicisti che faranno da colonna sonora agli artisti che si susseguiranno sul palco: Samuele Palumbo e il quartetto di Antonio Zarcone con una continua ricerca nel campo della musica Jazz e contemporanea, con le voci soliste di Daria Biancardi, Pamela Barone, Samaritano e Giuliana Di Liberto.

Non solo musica ma una notte tutta da ridere con il cabaret firmato da Sergio Vespertino e Antonio Pandolfo.

 

Dopo la mezzanotte sarà la volta di ELODIE, artista multiplatino e interprete di alcuni dei brani di maggior successo degli ultimi anni.

 

A seguire dj set con ORNELLA P. DJ SET che salirà sul palco anche durante la serata per una combo inedita con i musicisti.

 

INGRESSI E DIVIETI

  • L'accesso all'area oggetto della manifestazione avverrà esclusivamente in corrispondenza di: Via Libertà; Via Ruggero Settimo e Via Dante
  • Accesso diversamente abili: superati i tre ingressi di via Dante, Via Ruggero Settimo e via Libertà i disabili in carrozzina potranno raggiungere l’area riservata situata in via Emerico Amari.
  • All’interno della venue non sarà consentito introdurre ombrelli, lattine e bottiglie in vetro, caschi, bastoni per i selfie, armi proprie e improprie, oggetti contundenti in genere, bevande alcoliche.
  • Sarà data massima attenzione alla sicurezza del pubblico, grazie al presidio delle Forze dell’Ordine e della security, alle quali il pubblico potrà fare sempre riferimento, nell’ottica della collaborazione a tutela comune e ai fini dell’ordinario svolgimento dello spettacolo.

VIALIBILITÀ

L’Ufficio Traffico e Mobilità Ordinaria ha emesso oggi l’ordinanza n.1702, con la quale vengono disposte limitazioni della circolazione pedonale e veicolare in Piazza Ruggero Settimo e nelle vie e piazze limitrofe in occasione dei festeggiamenti del Capodanno 2024.  Da sabato 30 dicembre, per ragioni di sicurezza pubblica viene la rimozione degli stalli e alloggiamenti di biciclette e/o monopattini e comunque lo spostamento degli stessi dalle aree interessate dalla manifestazione circoscritte da delimitazioni in base al Piano di Sicurezza vagliato dalla Commissione Provinciale di Pubblico Spettacolo.

A questo link i dettagli sulle variazioni di viabilità.

GIUSEPPE RANDO

Si è celebrato, in questi giorni, il primo centenario della nascita di Nino
Ferraù con un Convegno organizzato dalla Biblioteca Regionale
Universitaria di Messina, cui hanno partecipato accreditati studiosi
dell’opera del poeta di Galati Mamertino (ME).
Il folto pubblico ha mostrato di apprezzare le varie relazioni, nelle quali
sono emersi aspetti interessanti dell’uomo e del poeta. E in specie: il forte,
deciso, antiautoritario pensiero politico in difesa della Libertà (a partire da
"Diadema di sangue" del 1943, vero documento storico dell'antifascismo
siciliano); la decisa opzione repubblicana e mazziniana del periodo
democristiano, insieme con la straordinaria promozione dell'europeismo,
nel 1968; la notevole componente satirica della sua vasta produzione in
versi e in prosa (di cui un'ampia documentazione è in "Didascalica"); il
suo cristianesimo umanitario, sociale (anticlericale), versato alla
solidarietà con gli ultimi, i reietti, gli emarginati, gli esclusi; la sua
attenzione alla “filosofia della differenza”, alla “dialettica del tutto”,
contro ogni unilateralismo.
Si è, peraltro, evidenziata la valenza fortemente innovativa del linguaggio
poetico di Ferraù che mira alla leggibilità in opposizione dichiarata
all'Ermetismo e, parimenti, gli innovativi esiti stilistici della sua
complessa, articolata, esistenziale "visione del mondo", quale si rivela
nelle sei raccolte postume pubblicate dal caro, instancabile fratello.
Certo, il Nino Ferraù tratteggiato nel Convegno messinese non è affatto il
poetino laterale, delicato, idilliaco che ha deliziato e delizia tante “anime
belle" della città e della provincia, ma un esemplare poeta postermetico
(uno dei più significativi del secondo Novecento), esperto delle «vette» e
degli «abissi» della condizione umana, nutrito di cultura politica e
filosofica, mosso da urgenze evangeliche, alternative a quelle del
cattolicesimo curiale: piacerebbe certamente a Papa Francesco.
Le stesse incantevoli poesie amorose e quelle mirate al recupero –
quantomeno memoriale – dei valori della civiltà contadina mal si
leggerebbero al di fuori di tale vasto, articolato contesto.

L'appuntamento, giunto alla settima edizione ,è organizzato da Terrai Gesù Onlus.Con 10 euro si potrà partecipare alla manifestazione che si aprirà con la commedia in un atto"Solo a Natale"di Francesco Certo A  seguire diversi artisti messinesi tra cui ballerini,cantanti,poeti sul palco del teatro.L'intera raccolta della serata,sarà dedicata alle numerose attività benefiche dall'Associazione che si occupa in particolare degli ultimi e dei bambini bisognosi.
 

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