Ho assistito ieri (29 dicembre u.s.) a “Notte Funesta”, Commemorazione del 115°Anniversario del Terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, voluta dall’Amministrazione comunale, presso il Palacultura, e sono stato colpito dalla forza delle immagini e delle parole.
Essendo uno dei “100 Messinesi per Messina 2008” che, da quindici anni,
ricordano, nell’occasione, ai concittadini gli esisti disastrosi dell’immane
sfacelo, mi ritenevo, invero, vaccinato da ogni cedimento sentimentale,
ma, evidentemente, la sapiente orchestrazione dello spettacolo e
l’accentuata – per senilità incombente – tendenza alla commozione mi
hanno spiazzato.
Sono stato, in particolare, colpito dalla magistrale lettura (fatta da un
attore messinese di cui non ricordo il nome) di alcune pagine del libro di
Giacomo Longo, Un duplice flagello: il terremoto del XXVII dicembre
MCMVIII in Messina ed il Governo italiano, edito a Messina nel 1911
(presso Officine Grafiche “La Sicilia”), e meritoriamente pubblicato da
EDAS nel 2010. Va detto che dell’opera di Giacomo Longo si è occupato,
con rigore, qualche anno addietro, il prof. Enzo Caruso, Assessore alla
Cultura e al Turismo nella giunta Basile, a cui probabilmente si deve la
regia, se non la paternità effettiva, della Commemorazione suddetta.
Certo, attraverso quella lettura attoriale, abbiamo percepito nettamente,
noi spettatori, l’indignazione dello scrittore messinese per le
inadempienze del Governo (presieduto da Giolitti), del generale Mazza e
di Bertolini (ministro dei Lavori pubblici) e la commossa, fraterna
riconoscenza, da lui dichiarata ai soldati russi, inglesi, tedeschi, nonché lo
strazio incontenibile per i feriti, lasciati morire sotto le macerie, per i
morti, per gli orfani, per le famiglie distrutte, e il suo incontenibile
disgusto per le ruberie cui si abbandonarono gli stessi soldati italiani,
inviati, con delittuoso ritardo, per aiutare e non già per depredare le
vittime: una fremente pagina di storia, invero, osteggiata apertamente
dalle autorità politiche del tempo, troppo presto dimenticata e forse poco
conosciuta.
Il prolungato applauso del folto pubblico presente ha dato voce ai
sentimenti di assoluto consenso di tutti sia alla ricostruzione degli eventi
fatta, con notevole spirito documentario e con grande coraggio, da
Giacomo Longo, sia alla interpretazione dell’attore.
Io ho provato – devo dire – un pizzico di orgoglio in più, quando l’attore
ha letto la frase in cui il Nostro, nel denunciare le illazioni fatte trapelare
sul suo conto dai filogovernativi per denigrarlo e vanificare la sua
denuncia, dichiara, senza remore, le sue umili origini di cittadino nato a
Torre Faro e innamorato della sua città e dell’Italia.
P. s. Giacomo Longo fu Francesco nacque a Messina (in Torre Faro), il 25 dicembre
del 1876; fu colpito da cecità all’età di nove anni e fu costretto a lasciare la scuola
nella classe terza elementare; recuperò parzialmente la vista «in seguito a cinque
operazioni» dell’oculista, prof. Scimeni, rimanendo tuttavia «invalido a qualunque
lavoro»; si sposò, ebbe figli (costretti a emigrare in America con la madre, «presso la
pietà dei parenti»; compose a 34 anni Un Duplice Flagello.
Egli stesso, nella chiusa, L’ultima parola e la mia punizione, onestamente dichiara:
«[…] riferendomi all’Italia ho inteso sempre lanciare sanguinosa ingiuria alla ipocrisia
beffarda di coloro che tutto potevano e che nulla vollero fare, nell’interesse di un
paese, che distrutto nel flagello degli elementi, avea diritto di rifarsi con rapidità
fulminea nella mente e nel cuore di Montecitorio».