La Redazione
Il giovane scrittore nasce a Genova il 9 marzo 1984 per poi conseguire nel capoluogo ligure nel 2002 la maturità scientifica; nel 2004 intraprende una breve esperienza da redattore per “il Corriere Mercantile”di Genova nel supplemento “il calcio dei Giovani”;dal 2006 vive in Messina e tra il 2016 e il 2017 elabora “la metafisica dell’anima”opera inedita dedicata a Giorgio De Chirico.
Da cosa hai tratto ispirazione per poter redarre un’opera così impegnativa?
È la mia prima opera di questa portata; un giorno osservando attentamente la sua produzione artistica riaffiorarono in me ricordi delle scuole superiori. Avevo studiato Giorgio de Chirico sui banche di scuola ed ebbi un fiume di idee da sviluppare. Una peculiarità della produzione metafisica propria di De Chirico, i palazzi con le arcate, hanno richimato alla mia memoria i tipici edifici italiani sorti nell’epoca fascista in Italia, in particolare in Piazza della Vittoria, in Genova, città dove sono nato nel 1984 e in cui nel 2002 mi sono diplomato. Ad esempio,una dell opere più rappresentative “le muse inquietanti”, che comunque nel saggio non ho potuto inserire, possiede un elemento per me “commemorativo”: alle spalle di due manichini, uno seduto e uno in piedi, sullo sfondo si intravede un edificio che si può tranquillamente constestualizzare nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara; il mio conatto visivo però, ha visto in quell’edificio il Miramare, uno degli hotel più lussuosi di Genova, sorto tra il 1906 e il 1908 che sovrasta la stazione di Genova Piazza Principe e che ebbe illustri ospiti nei fasti di un tempo. Ho redatto l’opera in un arco temporale di due mesi e mezzo circa un anno dopo aver composto la prefazione.
Qual’è il messaggio che intendi trasmettere agli appassionati d’arte od anche a coloro che intendono accostarsi all’arte metafisica?
L’opera intende far luce su uno dei più grandi artisti che ha vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo; nella prima parte di ogni capitolo è coperto da miei spunti personali nati da una analisi introspettiva dei quadri; la seconda parte, invece, è un richiamo ad argomenti multidisciplinari collegati ai titoli delle opere, dai cui titoli prendono nome anche i capitoli; ad esempio, in “la torre e il treno”, ho introdotto una breve cronistoria delle ferrovie italiane. Nelle celeberrime “Piazza d’Italia” ho inteso ripercorrere la storia delle più belle piazze del nostro Paese, da Piazza Duomo di Milano a Prato della Valle di Padova,uan della piazze più grandi d’Italia, passando per Piazza Navona di Roma e Piazza Santa Maria Novella di Firenze; due capitoli del mio saggio presentano anche la città di Torino. L’italia è ricca di storia, arte e cultura e la rivisitazione di questi luoghi invita a riscoprire l’eccellenza culturale che il nostro paese indubbiamente detiene. Non mancano riflessioni filosofiche, mediche, con un capitolo dedicato allo studio delle fasi del sonno, e storiche.
In De Chirico il tema dell’abbandono è un cardine: dove lo possiamo ritrovare?
Il pittore nacque nel 1888 in Grecia ragion per cui il richiamo alla classicità greca si avverte costantemente; non posso non citare la figura mitologica di Arianna; tutti noi ne conosciamo il mito: il suo amato Teseo si offrì volontario al fine di recarsi nel labitonto di Creta ed uccidere il Minotauro, figura mitologica metà uomo e metò toro,in quanto il mostro avrebbe dovuto divorare sette fanciulli e sette fanciulle. Arianna innamoratasi di lui, gli tese un filo grazie al quale Teseo ritrovò l’uscita del labirinto una volta entrato; questo gesto di amore, suo malgrado, non fu ricambiato poichè non appena Teseo portò via con sè Arianna, l’abbandonò sull’isola di Nasso. Tale gesto si può catalogare come l’abbandono per eccellenza; peraltro, la nostra lingua italiana da questo episodio mitologico ci ha consegnato il detto proverbiale “piantare in asso” proprio in riferimento al nome dell’isola nella quale Arianna era stata abbandonata al suo destino da Teseo. La figura mitologica riempie le atmosfere enigmatiche e silenziose di De Chirico; un’ Arianna triste e solitaria sembra quasi lanciare una richiesta d’aiuto allo spazio metafisico che la circonda.
Un’analisi attenta ci porta a considerare il treno come simbolo del progresso e delle idee dell’uomo: da cosa nasce tale considerazione?
L’elemento ferroviario, così a me piace denominarlo, è un’eterna costante: il padre di Giorgio De Chirico, Evaristo, ingegnere ferroviario figlio del barone palermitano Giorgio Filigone De Chirico, noto per aver progettato le linee ferroviarie in Bulgaria, fu chiamato nell’ultimo ventennio dell’Ottocento nel capoluogo della Tessaglia, Volo,città natale del figlio pittore, dall’allora primo ministro greco Trikoupis a progettare la ferrovia di quella regione; le locomotive che solcano i silenzi delle opere e spesso si riconoscono dalla nube di fumo che emanano, rappresentano i ricordi, anche quelli infondo un pò miei che ho viaggiato spesso in treno da Genova a Messina e vicersa durante la mia infanzia e adolescenza;l’artista, però qui fa un certo e chiaro riferimento al mestiere del padre. Il treno descrive la libertà interiore dell’uomo sempre alla ricerca di sè stessp e capace di viaggiare sia fisicamente sia metaforicamente con il cammino della mente e delle proprie idee.Dovendo effettuare una riflessione più profonda, in De Chirico ho riscoperto anche un pò delle mie origini: la madre dell’artista, Gemma Cervetto, discendeva da una nobile famiglia genovese; il padre, appunto,aveva origini siciliane; il capoluogo ligure e la Sicilia, luoghi molto presenti nella mia vita, si ritrovano anche nella provenienza dei genitori dell’artista permettendomi di realizzare una sorta di empatia con la figura del maestro.
Come possiamo ritrovare il concetto di solitudine, guardando le opere descritte nel saggio in chiave introspettiva?
La centralità di questo argomento va analizzata con molta accortezza: le piccole figure che rimpiono gli spazi vuoti altro non sono che esseri umani il cui bisogno primario inconscio è unirsi e ritrovarsi nell’oceano così grande della vita per comunicare e socializzare; una stretta di mano, un contatto anche solo visivo, presuppongono l’intenzione di avviare un dialogo permanente e la volontà di non interrompere i rapporti nonostante l’ambiente circostante ponga l’uomo in una condizione di incomunicabilità. La solitudine,una delle più angoscianti condizioni umane che può essere generata da molteplici comportamenti e stili di vita è qui,per un attimo,interrotta e vinta dall’accostamento delle figure umane: sembra quasi che si salutino all’arrivo o alla partenza di un lungo viaggio o, talvolta, che si scambino opinioni reciproche su esperienze di vita liete o meno, talvolta consolandosi a vicenda se necessario. L’enorme spazio delle piazze dei quadri, si riduce visivamente e psicologicamente di fronte alla vicinanza di due persone che lo riempiono. Le distanze morali e fisiche vengono abbattute lasciando il posto a sentimenti nobili come l’amicizia e l’altruismo. Del resto, perfino Aristotele nel IV secolo A.C afferma nella sua “Politica” che l’uomo è un animale sociale poichè ha l’esigenza di aggregarsi coi suoi simili in società,anche se questo approccio nascerebbe dalle più svariate esigenze.
Due baluardi della produzione di De Chirico, le torrie e le ciminiere, come sono state contestualizzate all’interno dell’opera?
Un elemento che ha ispirato la mia produzione è rappresentato dalle torri e dalle ciminiere; la torre che ho analizzato a fondo, simboleggia un rifugio sicuro per l'uomo che tenta di proteggere la propria libertà; al contempo, però, la torre simboleggia anche l' arroganza: l'episodo biblico di Babele, che ho inserito in un capitolo, nel quale gli uomini tentatono di raggiungere il cielo costruendo un'alta torre, ci insegna che spesso la mente è schiava di effimere sensazioni personali che rasentano la vanagloria; infatti, la torre non arrivò mai ad essere costruita in quanto Dio creò la confusione delle lingue che si insidiò tra gli artefici della struttura e non permise di continuare l'opera; l'intento dell'uomo spinto dalla superbia non fu mai raggiunto poichè il genere umano non era pronto ad ascendere in cielo ma destinato a vivere ancora lunghi anni sulla terra preparando la propria anima all'incontro vero con Dio. Nella nostra lingua italiana il detto “confusione babelica” indica una situazione intricata e caotica in chiaro riferimento a tale espisodio biblico. Le ciminiere rappresentano una vetta conquistata dall'uomo, nella quale arroccarsi; un simbolo di virtù e fortezza che scaturisce dal coraggio di poter tagliare i prorpi traguardi morali; le ciminiere simbolo dell'industrializzazione che ha varcato i secoli aprono alla ragione delle nuove porte: la coscienza impone una riflessione ad ampio raggio che consente di riempire i vuoti esistenziali con una ciminiera, la quale sovrasta la maggior parte della opere di De Chirico.
Quale sensazioni importanti ti ha lasciato la tua opera e cosa può lasciare agli appassionati?
Personalmente mi porto dentro il ricordo di un fiume di collegamenti da sviluppare tra molteplici discipline; il contatto visivo con le opere di De Chirico ha risvegliato in me una creatività artistica finora sepolta ma comunque spontanea. Ai grandi appassionati della corrente metafisica ma anche a chi si affaccia da principiante a questo bellissimo mondo, consiglio di soffermarsi davanti alle opere di De Chirico e cercare di riscoprire un pò di sè stessi in ogni sfumatura e dettaglio della propria personalità.