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MESSANENSI

MESSANENSI

- di Aurora Smeriglio -

Risalente al 535 d.c. opera dell'architetto scultore Jacopo del Duca, fu fondata per voler di San Benedetto da Norcia dal monaco benedettino Placido, figlio del nobile romano Tertullo e di una nobile messinese di nome Faustina.

Nel 541 Placido ricevette la visita dei suoi fratelli Eutichio, Vittorino e Flavia che perirono insieme a lui in seguito all'attacco dei saraceni che abbatterono la chiesa e uccisero molti altri confratelli.

Nel 1588 in occasione della ricostruzione venne ritrovato il corpo di S.Placido e in seguito, nel 1608 i resti dei suoi fratelli.

Dopo il sisma del 1783 fu nuovamente ricostruita.

Suddivisa in tre navate, custodiva 19 altari con impresso lo stemma di Michele Paternò, Gran Priore dell'ordine dei cavalieri di Malta.

Il sisma del 1908 la rese impraticabile e solo sette dei diciannove altari si salvarono. Attualmente soltanto due sono custoditi all'interno della chiesa, gli altri si trovano nelle chiese di S.Caterina Valverde, Sant'Orsola e nella chiesa di Montepiselli.

Fu riaperta al culto nel 1925 e parte dell'area fu ceduta per la costruzione dell'attuale Palazzo della Prefettura

Sotto l'altare è visibile una cassa argentea in cui è collocata una statua in cera di S.Placido. Esposti, una tela raffigurante la Madonna della Lettera e i santi Placido e Rocco, un crocifisso, due statue raffiguranti una S.Giovanni Battista e l'altra S.Placido, Il Martirio di S.Flavia e lo stemma gentilizio del Gran Priore Michele Paternò.

In una cappella laterale vi è un sarcofago marmoreo del Maurolico.

Nel cortile della chiesa si possono ammirare un pozzo, numerose lapidi murate e monumenti funebri dedicati ad Andrea di Giovanni, alto dignitario dei Cavalieri di Malta, e una campana bronzea datata 1787 con impresso lo stemma di Michele Paternò.

Un museo interno, con diverse sale, espone teche contenenti reperti ritrovati durante la ricostruzione, diversi argenti e un olio su tela raffigurante i santi martiri messinesi Placido, Eutichio Vittorino e Flavia.

- di Aurora Smeriglio -

Dedicata al vescovo spagnolo San Giuliano, sorge in Piazza Vittoria a Porta Reale, sulla Via Garibaldi.
Il progetto, redatto dal sacerdote ingegnere Carmelo Umberto Angiolini e costruita dall'impresa Anonima F.E.R., fu benedetta e consacrata al culto il 27 ottobre 1928, da Monsignor Angelo Paino, arcivescovo e archimandrita di Messina.

L'architettura esterna di intonazione araba, con merli e frange, conquista l'occhio per le numerose cupole semisferiche che coronano le dodici cappelle, poggiate su torrette quadrate e snellite da finestre triforate.

Al suo interno, la navata centrale è delimitata da due serie di pilastri, che la separano dalle due piccole navate laterali e su cui si affacciano 6 altari per lato, delimitati a loro volta da pilastri che formano altrettante cappelle con cupola.

Il moderno mosaico dell'abside, raffigurante il Crocifisso con S.Giuliano, la Vergine e San Francesco, è stato realizzato da Luciano Bartoli, mentre una grande tela settecentesca di autore sconosciuto raffigura il martirio di S.Caterina d'Alessandria.

- di Daniele Espro -

Apparteneva anticamente ad una Confraternita di Disciplinanti, già estinta ai tempi di Padre Placido Samperi (XVII secolo).

Fondata in epoca imprecisata, la chiesa subì, nel corso della sua storia, numerosi rifacimenti. Annesso ad un monastero femminile, il tempio fu probabilmente danneggiato dal terremoto del 1693. Restaurato e ingrandito nel 1694, fu affrescato, da Antonio, Paolo e Gaetano Filocamo, nel 1706.

Nuovamente lesionato dal terremoto del 1783, l'edificio fu restaurato nel corso dell'Ottocento conservando, con interventi di Giacomo Grasso, gli affreschi dei Filocamo.

Lievemente compromesso dal disastro del 1908, il tempio fu in seguito restaurato in modo discutibile dall'ing. Francesco Barbaro dell'UTA: nello stesso tempo, sotto un'indiscriminata quanto assurda demolizione, scompariva il monastero, uscito indenne dal sisma.

Ulteriori danni furono arrecati alla chiesa dai bombardamenti anglo-americani del secondo conflitto mondiale.

A navata unica, l'edificio conserva una bella decorazione a stucco, probabilmente iniziata alla fine del XVII secolo.

Quattro riquadri, presenti sia all'inizio che alla fine della navata, conservano alcuni affreschi, raffiguranti scene della vita di Cristo (la nascita, il battesimo sul fiume Giordano, l'adorazione dei Magi e la disputa con i dottori del Tempio): sono attribuiti, sebbene rimaneggiati, ai Filocamo.

Interessante è l'abside, arricchita da coppie di colonne corinzie e decorata da putti che reggono festoni.

L'altare della Madonna della Lettera, datato 1794, proviene dalla distrutta chiesa di Santa Maria del Bosco, gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943 e non più ricostruita.

- di Aurora Smeriglio -

Risalente a fine ottocento, e dedicata originariamente a S.Maria degli Angeli, fu eretta unitamente ad un piccolo convento dal frate Bernardo da Messina. Nel 1875, di ritorno da un  viaggio a Lourdes volle onorare la Madonna apparsa alla Santa Bernadetta e diede inizio così al culto della Madonna di Lourdes.

Il teremoto del 1908 la distrusse e solo la statua della Madonna e di S.Bernadetta si salvarono dalla distruzione. Furono ricollocate in una nicchia nell'abside dell'altare maggiore della nuova chiesa, ricostruita ed inaugurata nel 1939.

In quell'anno Mons.Angelo Paino incoronò il simulacro della vergine di Lourdes, mentre nel 1958 elevò la chiesa a dignità di Santuario mariano.

Centro di pellegrinaggio dei mariani francescani ha procurato incremento alla devozione della Vergine SS. per la quale è stata costruita una grotta identica all'originale di Lourdes e inaugurata da Mons.Fasola nel 1980.

- di Aurora Smeriglio -

Situata in un piccolo cortile, ed inaccessibile al pubblico, risale probabilmente al XII secolo. Dedicata a San Tommaso, come si evince dall'iscrizione nella facciata datata 1530, è situata alle spalle della chiesa di S.Antonio Abate, in Via Romagnosi, in prossimità del Palazzo Comunale e della Galleria Vittorio Emanuele.

Nel 1607 vi si stabilirono i frati Teatini, i quali, ad opera dei benefattori contessa La Rocca e l'Arcivescovo Simone Carafa, poterono utilizzare palazzo La Rocca e le adiacenti case dell'Aquilone, per dar luogo al conservatorio delle Vergini Riparate ed un convento.

Nel 1866 quest'ultimo fu ceduto al Comune, mentre la chiesetta fu venduta a privati ed adibita a forno.

Dopo il terremoto del 1908 se ne evitò la demolizione grazie all'intervento dello storico Gaetano La Corte Cailler. Liberata solo negli anni 90 dalla incolta vegetazione che la soffocava, dopo l'ultimo restauro fu riportata al decoro.

La struttura muraria è semplice e la cupola e l'abside sono di ispirazione bizantina.

Sulla facciata principale un'iscrizione del 1530, mentre al suo interno quattro grandi archi fungono da sostegno al tamburo su cui è impostata la cupola. Le cornici sono decorate con profilature scure sul fondo bianco degli archi.

Nel 1222, o forse anche prima, inviati dal Serafico Padre Francesco d'Assisi, giunsero a Messina i primi Frati Minori, che presero stanza nel quartiere S. Leo, nel lato Nord della città, fuori le mura. Successivamente fu loro offerto un terreno lungo il torrente Boccetta, dove si costruirono un piccolo convento con annesso Oratorio. Qui approdò qualche anno dopo Fra' Antonio da Lisbona;, divenuto poi S. Antonio di Padova, la cui nave in rotta verso il Marocco, fu risospinta dai venti nel porto di Messina; e qui il santo, frate dimorò per qualche tempo lasciando di sé largo ricordo nella cittadinanza per la predicazione, per gli esempi di virtù e per i miracoli operati.

Furono questi frati che nel 1254, sostenuti da nobili e ricchi messinesi, iniziarono la costruzione del grandioso tempio, che doveva essere il maggiore della città, dopo il Duomo, e la cui prima pietra fecero benedire dal Papa Alessandro IV. Esso fu dedilcato a S. Francesco e fu il primo eretto in suo onore in terra di Sicilia, appena 28 anni dopo la sua morte.

Antonello doveva essere orgoglioso di questo tempio della sua città se ne ritrasse le grandiose absidi nel quadro della Pietà che si conserva nel museo Carrer di Venezia.

Al titolo di S. Francesco si sarebbe aggiunto in seguito quello dell'Immacolata, e ciò in considerazione del culto particolare che nel tempio si svolgeva in onore della Santa Vergine (il Samperi elenca una dozzina di immagini della Madonna sotto vari titoli) e soprattutto in grazie di una cappella fatta erigere dal Provinciale dei Minori Conventuali nel 1'581 in onore dell'Immacolata Concezione, sotto il cui titolo sorse pure una Confraternita che ne curava la celebrazione della festa I'8 Dicembre. A questo proposito, il Gallo, nell'«APPARATO AGLI ANNALI», mette in evidenza come il popolo messinese nutriva particolare devozione verso la Santa Vergine sotto il titolo di «Immacolata Conceziane». Parla di «tante chiese e cappelle erette in onore della Beatissima Vergine sotto questo titolo» e informa che vi era anche una porta della città a Lei dedicata. Ricorda persino come il Senato e l'Università avevano assunto l'impegno di difender questo privilegio della Madonna, che solo nel 1854 fu definito come domma di fede dal Papa Pio IX.   

Sul primitivo impianto della Chiesa, dalle nitide linee siculo-gotico-normanne, sì sbizzarrì in seguito la fantasia dei secentisti, che la deturparono con esagerata dovizia di stucchi e di colori, ma veniva anche arricchita di pregevoli opere di rinomati pittori, quali Antonello Riccio, Stefano Giordano, Andrea Subba, Catalano l'Antico, Mario Mennifi, Mariano Rizzo, Alfonso Rodriquez, Vincenzo Romano, Francesco Paladino e altri: sono appunto gli autori delle immagini ricordate dal Samperi.

Un furioso incendio, però, nel 1884, distrusse le sovrastrutture barocche, ma con esse anche ciò che di valido l'arte dei pittori messinesi e il mecenatismo nobili famiglie aveva racchiuso tra quelle mura: distrutte anche le tombe di del Re Federico III d'Aragòna e di Elisabetta, sua madre, che al tempio avevano conferito il titolo di Cappella Reale, così come le tombe dell' Ammiraglio; Angelo Balsamo e di altri illustri personaggi, benemeriti della costruzione e dell'arricchìmento del grande tempio.II restauro dopo l'incendio ripristinava le linee originali.

Frattanto le leggi eversive del 1866 avevano confiscato il grandioso convento, opera dell'Architetto Giacomo Minutoli e lo avevano destinato a uffici dell'Intendenza di Finanza.

Una più grave distruzione subiva nel terremoto del 1908. La ricostruzione fu eseguita su progetto dell'ing. Antonino Marino, approvato il 27 luglio 1925, e sotto la sorveglianza della Soprintendenza ai Monumenti, per garantire all'edificio, il più possibile, l'aderenza alla precedente costruzione, non solo nelle linee architettoniche, ma anche nella utilizzazione degli elementi recuperati dalle macerie. Furono, infatti, utilizzati, nelle absidi, nei portali e nel grande rosone della facciata i conci originali, appositamente recuperati. La ricostruzione fu fatta dalla ditta Fratelli Cardillo dal febbraio 1926 al novembre 1928, e costò circa sette milioni.

Oggi il tempio si presenta grandioso e semplice.

All'esterno la caratteristica principale è offerta dalle imponenti absidi medioevali, cui slancio maggiore conferiscono le finestre incassate. All'interno la grande unificata navata (m. 44 di lunghezza) è segnata ai lati dal susseguirsi degli archi ogivali delle numerose cappelle; il grandioso arco trionfale, slanciatissimo e anch'esso a sesto acuto, si apre sul transetto can la visione delle tre absidi snelle e di grande eleganza, contrassegnate, anche all'interno, dalle nervature ricostruite, pietra su pietra con i conci originali.

II soffitto è ligneo. Nel sacro tempio non ci sono più opere d'arte. A ricordare l'antico splendore c'è solo la cappella prospiciente l'ingresso secondario , con la statua argentea dell'Immacolata, opera di argentieri messinesi del secolo XVII.

Una statua marmorea di S. Antonio di Padova, recuperata dopo il terremoto nel chiostro del convento annesso al tempio, giace negletta, tra le erbe nella spianata del Museo Nazionale.

Nella piazza antistante il prospetto principale, nel 1965 è stata eretta una statua bronzea di S. Francesco d'Assisi, opera dello scultore messinese Antonio Bonfíglio.

Dal libro "Chiese di Messina-Storia, Arte e Tradizione" di Giuseppe Foti

- di Aurora Smeriglio -

 

Sorge sul Viale San Martino, ed occupa parte dell'isolato 89 estendendosi per circa 1210 metri quadrati. Quest'area fu acquistata dall'Arcivescovo Paino il 7 Agosto 1935.

Progettato inizialmente dagli ingegneri Scipione Tavolini e Paolo Napoli, fu ripresentato dall'Ufficio Tecnico Arcivescovile con approvazione del Ministero dei Lavori Pubblici il 20/12/1936.

Fu costruito dall'impresa dell'Ing.Letterio Restuccia, che se ne occupò, anche in seguito, per ripararla dai danni bellici subiti.

L'architettura è sobria, e il prospetto, delimitato ai suoi lati da due torri campanarie, è formato da un trittico di alte arcate che nella parte bassa racchiudono i tre portoni d'ingresso.

- di Daniele Espro -

Edificata negli anni tra il 1926 e il 1929 su progetto dell'architetto ed ingegnere Cesare Bazzani (1873-1939), fu consacrata nel 1932 ed è dedicata a Santa Caterina d'Alessandria.
Occupa l'area della primitiva chiesa realizzata in epoca medievale, più volte restaurata nel corso dei secoli a causa di eventi sismici e bellici e poi definitivamente distrutta nel terremoto del 1908.
In quest'area, già in epoca romana, sorgeva un tempio dedicato a Venere, a testimonianza dell'antichissimo luogo di culto.

La chiesa odierna è a tre navate con cupola, presenta una pianta a croce latina e motivi ripresi dall'architettura del messinese Filippo Juvara (1678-1736). La cupola, il campanile ed il disegno della facciata riprendono alcuni particolari della basilica di Superga.

All'interno sono conservati un crocefisso ligneo del XVIII secolo, sistemato sull'altare maggiore e probabile opera di Santi Siracusa, e alcune tarsie marmoree provenienti dalla chiesa medievale preesistente e qua ricomposte nel 1962.

Degno di nota è il quadro dipinto su tavola raffigurante la Madonna dell'Itria tra i Santi Pietro e Paolo. Attribuito ad Antonello Riccio, è stato recentemente donato da un privato (1981) alla chiesa.

Interessanti sono il pulpito settecentesco in marmo bianco, intarsiato di marmi gialli e rossi e ornato da cherubini e decorazioni fogliacee, e un altare di gusto barocco, fregiato dallo stemma della famiglia Di Giovanni e rivestito da tarsie marmoree su fondo blu. Essi provengono dalla distrutta chiesa di San Giovanni  di Malta (area dell'attuale Prefettura).

Di recente realizzazione sono le tele dipinte da Domenico Spadaro (Santa Teresa del Bambino Gesù e l'Immacolata Concezione), Salvatore Russo (Santa Caterina tra i filosofi e il Sacro Cuore), Salvatore Cascone (un' Addolorata) e Giovanni Di Natale (San Gregorio Magno).

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