- di Marco Giuffrida -
Alle volte strani collegamenti di parole, di frasi udite e di situazioni vissute risvegliano ricordi antichi. Ed a me è recentemente accaduto!
Stavo sistemando alcune fotografie fatte a Praga in occasione di un mio viaggio e mi ero soffermato su alcune scattate a “Mala Strana”, in italiano, mi dissero, significa “Piccolo Quartiere”, luogo, questo, vicino al Castello ed al più noto e famoso “Ponte Carlo”.
Non ricordo da dove, contemporaneamente, arrivasse una canzone - mi pare - degli anni ’60: “La Novia”, storia di una Sposa triste il giorno del suo matrimonio.
Il “collegamento” fra Malastrana e Novia mi fece tornare indietro negli anni quando frequentavo la casa di un mio amichetto.
Bella quella casa che aveva perfino un giardinetto lì, al Torrente Boccetta, quasi di fronte casa mia.
Era casa di gente abbiente che, negli anni ’40, ’50, poteva permettersi perfino la domestica, la Signora Gaetana, “Donna Tana” per tutti!
A dire il vero era molto di più di una “Cammarera” perché era persona di fiducia che apparteneva da sempre alla Casa: era lei che aveva allevato i tre ragazzi, due femmine ed il maschio mio coetaneo. Era lei che si occupava della spesa giornaliera e di tante altre cose perché, in quella Famiglia, tutto funzionasse a dovere.
A volte il mio amichetto entrava in conflitto con questa signora, così come spesso accade quando c’è grande differenza d’età, ma anche tanto affetto e confidenza.
In un crescendo di parole, la difesa, o meglio l’offesa scagliata, fra il serio ed il faceto era:
“Malanova mi aviti”!
E Donna Tana, sorridendo, prontamente, rispondeva: “’nsammo a Dio”.
Traducendo il focoso dialogo, senza però il “colore” del dialetto, si può scrivere: “Che vi possa giungere una cattiva notizia” a cui seguiva un semplicissimo “Dio ce ne scampi”! Nelle intenzioni dell’offensore, non certo del mio amico, vi è quanto di peggio si possa augurare nell’immediato e per il futuro, cominciando dalla più semplice delle malattie per concludere con la Morte per “l’interessato” e per generazioni intere di parenti vicini e lontani.
È bene notare nel lancio dell’offesa il “voi” rispettoso. Tutto finiva, ogni volta, con un abbraccio e una carezza.
Donna Tana credeva poco alla “Malanova” tanto che, finito il “conflitto”, abbracciava il suo pupillo, il maschietto di casa, lo redarguiva dolcemente e lo stringeva maternamente a se.
Raccomandava di non dire mai quella parola agli altri, agli estranei perché qualcuno avrebbe potuto aversene molto a male.
Lei, l’anziana Signora dall’aspetto austero ma pronta al sorriso con noi ragazzi, scuoteva le spalle e diceva chiaramente che, quelle erano “cose da superstiziosi e creduloni”.
Lei aveva i “suoi” Santi a cui poteva rivolgersi come e quando voleva e, soprattutto, aveva a “Madunnuzza” che, “Chidda”, poteva parlare come e quando voleva “’cu’ Signuruzzu”. Era tranquilla e nel dire questo, volgeva gli occhi neri verso l’alto, verso il “suo” Cielo e si segnava.
Donna Tana era fermamente convinta che la “Malanova” non esistesse e che, alla fine, se c’era avrebbe portato male solo a chi l’augurava. Anzi, che il male sarebbe tornato indietro “moltiplicato per dieci” a questi “mischini”.
Perché, Donna Tana, nella sua schietta semplicità e bontà, considerava “poverine” queste persone. Si, perché nell’augurare il male, “a Malanova” agli altri, alla fine, avrebbero sofferto e molto per i guai che da soli si erano “chiamati”. Mali sicuramente ben dieci volte peggiori di ciò che avevano “inviato”.
Questo, senza scampo, senza appello e anche con l’eventuale uso di potenti amuleti. E, naturalmente, era in grado di sciorinare una miriade di esempi.
Filosofia spicciola che la Vita mi ha fatto verificare, in fondo, essere vera!