- di Giuseppe Cavarra -
Un martire assurto a simbolo dell’umanità sofferente
San Sebastiano “il venerabile”
Le notizie che qui diamo sulla vita di San Sebastiano sono desunte dalla “Legenda Aurea” e in particolare dalla “Passio Sancti Sebastiani” di Arnobio il Giovane, monaco vissuto nel V secolo. Pare che sia nato a Milano intorno alla metà del III secolo da madre milanese e da padre francese, funzionario imperiale di “Narbo Martius”(Narbonne), una colonia romana della Gallia meridionale. Trasferitosi a Roma, intraprese la carriera militare fino a diventare capitano della prima coorte della guardia dell’imperatore Diocleziano che lo ammirò per la sua intelligenza e per la sua fedeltà, senza sospettare che fosse cristiano. Sebastiano si giovò della sua posizione sociale per diffondere il messaggio cristiano fra le famiglie nobili e i magistrati, arrivando a convertire il prefetto di Roma Cromazio e suo figlio Tiburzio. Talvolta, facendosi forte della carica che ricopriva, entrava nelle prigioni e nelle catacombe per recare conforto ai fratelli di fede lasciati a languire. Scoperta questa sua attività, l’imperatore lo condannò a morire trafitto dalle frecce dei commilitoni.
Condotto in catene sul colle Palatino all’ippodromo chiamato “campus”, fu legato ad una colonna (secondo altri ad una pianta o ad un palo) e messo a morte. Il suo corpo fu lasciato in pasto agli animali selvatici. Una pia donna, la nobile Irene, si recò sul posto per recuperare il corpo e dargli la dovuta sepoltura, ma, trovato Sebastiano ancora in vita, lo trasportò nella sua casa sul Palatino e prese amorevolmente a curarlo.
Guaritosi dalle lesioni, Sebastiano rifiutò di mettersi in salvo, anzi proclamò la sua fede con tanta forza che Diocleziano ordinò per la seconda volta di flagellarlo a morte. Ridotto senza vita, il suo corpo fu gettato nella Cloaca Massima dove venivano abbandonati i corpi dei martiri affinché non potessero essere ripescati per essere sepolti. Vuole la tradizione che Sebastiano apparve in sogno alla nobile Lucina per svelarle il luogo in cui il corpo giaceva e segnalarle il posto in cui desiderava essere sepolto: il cimitero sulla Via Appia, presso le catacombe dette in seguito “Catacumbae Sebastiani”.
Il termine Sebastiano deriva da “sebastòs” che ingreco significa “il venerabile”.
Il culto di San Sebastiano è in Italia uno dei più diffusi. Al martire cristiano sono dedicate basiliche e chiese in ogni angolo del Paese; non poche sono le comunità che tra grandi e piccole dal Trentino alla Sardegna, dal Lazio alla Sicilia, gli hanno affidato la propria protezione, una decina sono i centri che portano il suo nome; gli atleti, gli arcieri, i tappezzieri, i vigili urbani lo venerano come loro patrono.
Pochi santi hanno incontrato come San Sebastiano il favore degli artisti e degli scrittori. Ognuno di essi l’ha rappresentato secondo il proprio punto di vista e i gusti dell’epoca. Nel medievo il santo è raffigurato nelle vesti di un guerriero robusto, virile e col corpo intatto. Nel mosaico di S. Pietro in Vincoli a Roma (sec. V) San Sebastiano è un soldato barbuto e sicuro di sé in armonia col ruolo di “palatinus” (attendente di palazzo) svolto in vita. Gli artisti del rinascimento inventano il San Sebastiano nudo, privilegiando nella sua vicenda biografica il momento in cui viene, legato e trafitto dalle frecce. Ora San Sebastiano diviene il simbolo dell’uomo che esclude dalla propria vita la paura della morte nella certezza interiore della salvezza. Tale è San Sebastiano nei dipinti di Antonello di Messina, del Mantegna che ci ha lasciato addirittura tre Sebastiani, del Crivelli, del Perugino: artisti che, in linea con i dettami del proprio tempo, mettono che mettono più o meno da parte il tema dell’eroico sacrificio per dare rilievo all’uomo in quanto individuo capace di autoderminarsi. Nel “Giudizio Universale” di Michelangelo il santo è rappresentato nudo ma possente, mentre gli artisti cosiddetti “androfili” lo immaginano nella pienezza della forza virile con un fascio di frecce in mano. Guido Reni gli dà le sembianze di un maschione che sprizza erotismo.
Negli artisti più recenti San Sebastiano è un giovane languido, ai confini della femminilizzazione. Ciò ha fatto nascere il mito del santo che,“favorito dall’imperatore”, paga con la vita la colpa di aver respinto le “avances omosex “ di Diocleziano. Nel film “Sebastiane” di Derek Barman molti particolari del rapporto tra il santo e l’imperatore sono tratti dal “Martyre de saint Sébastien” di G. D’Annunzio, rappresentato nel 1911 con le musiche di Debussy.
Nella letteratura del Novecento San Sebastiano assume connotazioni che lo fanno assurgere a simbolo dell’umanità sofferente. Thomas Mann, dopo avere scritto che « tutto ciò che esiste al mondo di grande è una manifestazione di resistenza, è sorto cioè nonostante il dolore e la sofferenza, nonostante la povertà, l’abbandono, la debolezza fisica, il vizio, la passione e mille ostacoli», in “Morte a Venezia”(1913) finisce per vedere in San Sebastiano l’“eroe” del nostro tempo, l’incarnazione di «una virilità intellettuale e giovanile che con fiero pudore stringe i denti e rimane salda e tranquilla mentre lance e spade le trafiggono il corpo». Così San Sebastiano finisce per diventare il santo “contemporaneo” per eccellenza, tanto che nella grande mostra tenutasi nel 2004 a Vienna la figura del santo era posta al centro di tutto «quale esempio di dolore, icona della storia della civilizzazione», fino a configurarsi come «l’immagine dell’estasi tradotta nella figura del Santo nell’arte» (S. Bassi). George Matt, uno degli organizzatori della mostra, ha scritto che: «San Sebastiano è una figura polimorfa, un carattere che si presta alle più diverse interpretazioni». Quella viennese è stata più che altro una mostra dedicata agli artisti (c’era anche Pasolini) che hanno visto nel santo un’ “icona del sadomasochismo, un Dandy o anche il santo protettore dei malati di Aids» (S. Belli).
Pare che in Sicilia il culto di San Sebastiano sia stato importato dai Normanni. Il santo oggi è oggetto di grande culto nel siracusano (Palazzolo Acreide, Melilli, Ferla, Avola…) e nel messinese, dove gli è stato affidato il patronato di Mistretta, Tortorici, Barcellona Pozzo di Gotto e Graniti.
Sono in molti a credere che il patrono di Limina sia San Filippo d’Agira (il “santo pigliatutto”), mentre il patrono del piccolo centro peloritano è proprio San Sebastiano. Non sappiamo dire con certezza quando gli sia stato assegnato il patronato del paese né quando gli sia stata dedicata la chiesa madre. Nulla si sa del fercolo con le sue otto colonne messe recentemente da parte per alleggerire la vara che col suo peso (otto quintali, ci hanno assicurato) creava negli organizzatori dei festeggiamenti seri problemi durante il trasporto.
“Ogni santu havi i so divoti” (ogni santo ha i propri devoti) recita un detto locale. E a Limina San Sebastiano i devoti ce l’ha. Non sono numerosi né intorno al patrono si registra il fervore organizzativo che caratterizza i festeggiamenti in onore di San Filippo d’Agira. Un culto – quello di San Filippo - che si fa apprezzare per l’”entusiasmo”, tutto mediterraneo, che caratterizzava le feste dionisiache nell’antica Ellade. Intorno a San Filippo tutto è movimento, rumore; intorno a San Sebastiano tutto è silenzio, compostezza, devozione, come si conviene ad un santo divenuto simbolo della sofferenza e del dolore.
A Limina la “leggenda sebastianea” pone in primo piano il coraggio del giovane Sebastiano nel sostenere le pene del martirio e nel resistere al tiranno. Ne troviamo traccia in un “Inno di lode” che, in passato, i fedeli cantavano in chiesa durante le funzioni a lui dedicate nel periodo dei festeggiamenti e nella processione che il 20 gennaio si snodava per la strade del paese. Di quell’inno abbiamo ricostruito sul filo della memoria alcune delle strofette in lingua intonate dalla voce solista e il ritornello in dialetto con cui rispondeva la massa dei fedeli partecipanti al rito. Questo è il testo secondo la nostra ricostruzione. «Al martire santo / cantiamo la lode / che apprezza e che gode / con gli angeli in ciel. // L’aramu pi sempri / cu cantu e cu sono / lu nostru patronu /e cu lu criò (l’adoriamo per sempre / con canto e con suono / il nostro patrono /e chi lo creò). // L’invitto guerriero / meritò tanto onore, / e al nostro Signore / la fede serbò. // L’aramu pi sempri… // Fu il santo ferito / da frecce taglienti, / ma in tanti tormenti / lodava il Signor. // L’aramu pi sempri … // Il gran taumaturgo / con modi assai fini / a tanti meschini / la vita donò. // L’aramu pi sempri… // Il martire santo / sia sempre lodato / che a dolce avvocato / Iddio ci donò. // L’aramu pi sempri…».