Dice il saggio: «Se vuoi stimolare un cavallo da corsa, basta un leggero colpo di sprone ai fianchi, ma se vuoi stimolare un bue o un asino, occorre più del tocco di un pungolo acuminato. Allo stesso modo: se una città dorme nell’indifferenza e non vuoi sprecare il fiato [il tempo e la scrittura, nella fattispecie], devi mettere il dito nella piaga, scoprirti, gettare il corpo nella mischia, metterti in gioco». E sia. Magari a discapito del politically correct.
Dico spesso agli allievi, agli amici, ai parenti che sono democratico nei cromosomi, per natura più che per cultura. Aggiungo, a richiesta, che non ho mai avuto simpatia per le destre politiche (pur apprezzando il liberalismo di Croce e il rigore della scrittura di Montanelli), che ho sempre votato “a sinistra” (Moro, il primo Craxi, Berlinguer, Occhetto, Veltroni, Prodi … ), che non sono mai stato comunista, che sono – cerco di essere - cristiano, che ho considerato - e considero - Berlinguer, Sciascia, Moravia, Pasolini, Calvino miei maestri politici: insomma, un bieco cattocomunista, come direbbe quel ricco sfondato che vedeva comunisti dappertutto (anche se i comunisti erano già scomparsi dalla storia).
Con queste prerogative – o per queste prerogative – mi sono trovato spesso in minoranza nel mio ambiente di lavoro e in questa beneamata città che è sempre stata “di destra”: solidarizzavo idealmente con intellettuali democratici americani ostili alla guerra in Vietnam e i più dei messinesi si facevano i fatti loro o si schieravano con i guerrafondai; mi entusiasmavo per Salvator Allende e i più dei messinesi apprezzavano Pinochet o si facevano i fatti loro; “tifavo” Berlinguer e i più dei messinesi “tifavano” Craxi o Andreotti o Gullotti; stavo dalla parte di Prodi e i più dei messinesi stavano dalla parte di Berlusconi; condividevo le aperture cristiane del cardinale Martini o del poeta cattolico David M. Turoldo e i più dei messinesi stravedevano per il cattolicesimo curiale del cardinale Ruini e del cardinale Bertone; lottavo per una Università della ricerca e della trasparenza e i più dei messinesi erano per l’Università blasonata dell’apparenza, degli ermellini e dei figli di papà ecc. ecc. Gli stessi amici mi considerano un “bastian contrario” per partito preso, a tal punto che, in questi ultimi tempi, si meravigliano che io non sia diventato grillino, mentre molti di loro - e quasi tutti gli indifferenti o i destrorsi messinesi d’antan - si sono convertiti al verbo rivoluzionario (in apparenza) delle Cinque Stelle. E io rispetto – sia chiaro - le loro scelte e il loro diritto di esternarle, ma non rinuncio alle mie.
Non mi sorprenderei, però, ma mi dispiacerebbe davvero molto, se dovessi restare in minoranza anche in occasione del prossimo referendum sulle modifiche della Costituzione. Mi dispiacerebbe perché sarebbe l’ennesima occasione persa dai miei concittadini per crescere e far crescere il paese. Saremmo, purtroppo, alle solite: i messinesi vivacchiano, in maggioranza, nell’indifferenza (il partito del «mi-nni-futtu», prenderebbe un sacco di voti a Messina) e, nei momenti cruciali, sono sempre per la conservazione: basti pensare che nell’altro referendum (quello del 1946) votarono in stragrande maggioranza per la bolsa monarchia e che la repubblica fu loro regalata, di fatto, dal voto della maggioranza risicata degli italiani. Stavolta, è razionalmente plausibile – se non interviene un miracolo - che più della metà non andrà a votare e che stravincerà il No.
Si è che alla maggioranza dei messinesi non interessa il referendum in sé, ma piuttosto la caduta di Renzi e del suo governo. Infatti, tutti i messinesi destrorsi sono antirenziani o perché sono affascinati da Grillo e dalle sue profezie o perché, storditi dalla propaganda di destra e di sinistra, vedono in Renzi (che non è un miliardario, che non ha problemi con la giustizia, che non si è fatto leggi ad personam), i difetti che non vedevano in Berlusconi. Perciò, seguendo il vecchio capo, si dichiarano, all’improvviso, paladini della Democrazia in astratto e, adottando il linguaggio degli odiati “comunisti” (!), si mostrano preoccupati delle possibili (?) “involuzioni autoritarie” del “regime” (?). Laddove i pochi messinesi sinistrorsi si dividono, masochisticamente, come al solito, in due partiti: pochissimi – quorum ego - stanno con Renzi, per realismo politico; molti (dei pochi) sono antirenziani perché Renzi non sarebbe “di sinistra” e – guarda, guarda – spingerebbe la nostra democrazia verso “soluzioni autoritarie”. Ma non vedono che il loro linguaggio è oramai tanto svuotato di senso da essere sfruttato persino dalla Destra?
Alla fine, nel mio piccolo, la vedo così: la riforma della costituzione, nei termini indicati nel quesito referendario, si auspica, da decenni e decenni, soprattutto dalla Sinistra democritica, migliorista, riformista che dir si voglia, al fine di semplificare l’attività politica, liberandola da presupposti ideologici contingenti (la sacrosanta, salutare presa di distanza, nel 1947, dalla barbarie nazi-fascista), e agevolare gli interventi dell’Economia interna ed esterna, che mal sopporta lacci e lacciuoli ideologici appunto. Nulla, peraltro, di ciò che fa l’uomo - imperfetto per natura - è perfetto: tutto è perfettibile. Ora, finalmente, si comincia: i difetti, se ce ne sono, saranno eliminati domani. Le temute involuzioni autoritarie della riforma sono pura propaganda.
Ho seguito qualche giorno fa il dibattito televisivo tra Renzi e il grande costituzionalista Zagrebelski, i cui interventi leggo, da molti anni, con grande interesse, sulle pagine di «Repubblica». Devo essere sincero al massimo? Io che non sono “di destra” e nemmeno “di centro”, io che non ho privilegi da mantenere, né cadreghini a cui restare attaccato, né figli né parenti da “sistemare”, né carriere politiche da intraprendere (è troppo tardi!), ho dato la vittoria piena a Renzi (poi ho visto che sono in buona compagnia, con Scalfari): Zagrebelski appariva, clamorosamente, la copia stinta del professore universitario perennemente perso dietro le sue astrazioni (presuntivamente scientifiche), nonché il prototipo dell’intellettuale di sinistra che, credendo narcisisticamente di inseguire il meglio, non si accorge di perdere il bene e di fare il gioco delle Destre. E Renzi? Non un gigante, ma un tipico rappresentante della sinistra democratica, riformistica, europea: un intellettuale concreto, intelligente, educato, corretto, immune dai fumi dell’ideologia, desideroso di secondare il corso giusto della storia, innovando là dove occorre innovare per il progresso effettivo della nazione. Con questi chiari di luna, non è poco.
E ciò sia detto col massimo rispetto per tutti gli uomini liberi (anche di diverso parere), ma alla faccia dei qualunquisti, dei furbi, dei minchioni, dei parolai, degli ideologi e dei servi di ogni colore. Prosit.