PREFAZIONE
Ricostruire le memorie storiche del passato di un popolo non sempre è un’impresa facile; molti sono i fattori che sfortunatamente hanno contribuito a disperdere o a cancellare le tracce della memoria identitaria in ogni popolo soprattutto oggi, nell’odierna società, costantemente sottoposta a continui e radicali cambiamenti voluti e imposti dalla modernità.
Anche a livello linguistico purtroppo, secondo recenti studi, ormai da tempo sono in corso radicali trasformazioni che interessano tanto il modo di scrivere, il modo di parlare e il modo di comunicare. Rispetto al ventennio o al trentennio appena trascorsi, si è poi anche modificato l’atteggiamento della comunità dei parlanti tanto nei confronti della “lingua nazionale” quanto nei confronti della “lingua dialettale”.
In merito alla lingua dialettale occorre evidenziare che questa, ha subito una notevole diminuzione della parlata per vari e diversi fattori primo tra tutti la diffusione ormai ampiamente generalizzata a livello sociale dell’istruzione scolastica che ha imposto definitivamente l’uso della lingua nazionale quale unico strumento comunicativo relegando il dialetto quasi a lingua di un ceto basso e di scarsa cultura sociale, inteso quasi come un veicolo di svantaggio e di esclusione sociale.
Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile, ma dall’altra ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico.
Fortunatamente quasi in contrapposizione a ciò, solo da un paio di anni sembra essere iniziata una nuova era linguistico-culturale per le lingue dialettali che molto lentamente stanno riprendendo a vivere sotto l’impulso di nuovi stimoli sociali presenti in una buona fetta della società giovanile che intende conoscere e rivalutare le proprie radici sociali riappropriandosi anche della lingua. Connesso infatti a questo fenomeno vediamo in numerosi casi ricomparire parole di origine dialettale nelle insegne di esercizi commerciali, nella musica giovanile con i sempre più diffusi etnorock,etnofolk ed etnosound e marginalmente nei fumetti, nell’enigmistica e recentemente anche in qualche caso nella pubblicità nazionale
Conoscere invece la propria parlata, la parlata delle proprie origini, la lingua dei propri avi dovrebbe rappresentare una risorsa comunicativa in più nel repertorio individuale, a disposizione accanto all’italiano quale lingua nazionale, di cui servirsi quando occorre e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Un arricchimento, insomma, e non assolutamente un impedimento.
La lingua dialettale rappresenta inoltre un utile strumento per indagare e conoscere anche se stessi: soprannomi, rioni, nomi di località, canti e tradizioni popolari raccontano le origini, rendono più vicini e immediati i ricordi, più fruibili i pensieri. Quanti si sono trovati, almeno una volta, nella situazione di riuscire a esprimere più facilmente un concetto in dialetto oppure a sentire più vicino a se una qualche espressione che in italiano non renderebbe allo stesso modo o risulterebbe distaccata? Dialetto, quindi, come chiave di accesso e di utilizzo della memoria, come strumento per riflettere da dove veniamo e per vedere se stessi in un’ottica di cittadini nati nella pluralità in un mondo sempre più globale e poliglotta, nel miscuglio delle lingue, delle popolazioni e delle identità.
Il dialetto costituisce quindi una parte importante del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale.
Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.
Un grande poeta scomparso di recente, Andrea Zanotto, a proposito del dialetto amava dire: “…il dialetto è qualcosa che serve per individuare indizi di nuove realtà che premono ad uscire…” e ancora un altro illustre scrittore, Pier Paolo Pasolini a proposito delle lingue dialettali scriveva: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Pasolini infatti vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato e che come tale doveva e deve essere “protetto”.
Dialetto e Dialogo hanno la stessa radice etimologica che li descrive come un parlare tra persone, come un ponte, per accogliere, capire e non come strumento per erigere barriere e demarcare confini.
Le radici sono importanti, vanno rispettate, conosciute e riscoperte, ma con uno sguardo aperto e la voglia di conoscere “tutti i mondi e le lingue possibili”, anche quelle del passato poiché è proprio dal passato che emerge il presente e si delinea il futuro.
A questo scopo, oltre che al recupero, in questo caso linguistico delle proprie radici, mira quest’opera di Rocco Giuseppe Tassone, che insieme ad altre tende ancora una volta a gettare luce sul passato di un popolo; quello calabrese e più nello specifico quello di Candidoni suo paese natio, con quale il Tassone, meritoriamente e a giusta ragione, non ha mai tagliato il cordone ombelicale. Un’opera attenta e certosina che ha visto l’autore impegnato alcuni anni nella ricerca, nella raccolta e nello studio di un corpus lessicale di ben 10.000 vocaboli appartenenti tutti alla lingua dialettale candidonese che sono stati pazientemente e con grande amore raccolti dal Tassone con l’intento di sottrarli all’oblio del tempo e agli influssi della modernità che inevitabilmente li avrebbe cancellati con la speranza di creare uno strumento utile ai tanti giovani che intendono ora accostarsi alla storia delle loro origini.
Le fonti alle quali lo studioso ha attinto sono tutte, nella maggior parte dei casi, fonti di tipo popolare: canti, leggende, racconti che hanno segnato l’identità storico-linguistica del popolo candidonese e che hanno solcato e attraversato la vita di intere generazioni e che vengono ancora custodite nella mente e nell’anima degli anziani che li conservano con affetto e rigore nello scrigno magico della memoria identitaria.
Scorrendo infatti questo vocabolario la cosa che immediatamente balza agli occhi, è che sono riportati vocaboli che appartengono direttamente alla lingua volgare candidonese e che in alcuni casi non hanno nessun corrispettivo nella lingua dialettale calabrese.
Rocco Giuseppe Tassone vuole, riuscendoci perfettamente, rivitalizzare il sermovulgaris inteso come espressione di comunità e di continuità di un popolo che ancora conserva la sua originale parlata.
Briciole di memoria che contribuiranno ad aggiungere una tessera in più al grande puzzle della storia di questo piccolo paese dell’entroterra tirrenico calabrese, tra Laureana di Borrello e Serraa,a ridosso delle Pre-Serre catanzaresi, il cui passato storico riverbera ancora oggi i riflessi delle grandi vicissitudini storiche di questa terra.
All’amico Fraterno Professore Cav. Rocco Giuseppe Tassone, i miei più sinceri e vivi auguri, di cuore per questo suo nuovo e non sicuramente ultimo prestigioso lavoro di indagine e ricerca linguistica per il grande contributo da lui offerto, con grande amore e pensosa partecipazione, alla ricostruzione di una parte importante della storia della nostra terra di Calabria.
Possano queste pagine costituire per tanti giovani candidonesi il motivo ispiratore e l’esempio da Te tracciato per nuove e future ricerche che possano portare alla luce altre testimonianze importanti del nostro passato.
A te caro e fraterno amico, auguro che la tua impresa nella ricerca continui ancora, auguro che la penna con la quale scrivi continui ancora a tracciare sui fogli, su tanti fogli ancora, tante e belle storie della nostra civiltà, figli di questa tanto martoriata e tanto offesa ma amorosamente bella terra di Calabria.
Prof. Saverio Verduci