- di Giuseppe Messina -
. Pippo Labisi se n’è andato accompagnato dagli applausi di tanti che gli hanno voluto bene, di tanti che egli ha amato regalando loro il suo sapere, le sue opere, il suo affetto.
Certamente mi mancherà il grande sostegno morale di quel grande amico che era, un intellettuale umile le cui parole esprimevano saggezza. Mi resta la soddisfazione intrinseca di avermelo goduto persino negli ultimi giorni della sua esistenza, fino all'ultimo quando gli è incominciata a mancare la lucidità ed è andato spesso oltre lo spazio-tempo della realtà. Posso dire che nei suoi discorsi più recenti era presente l'ombra della dama nera che lo ha accompagnato ad unirsi a Maria, la donna che gli è stata moglie, amica, compagna e sostenitrice instancabile e che giace nel cimitero di Novara di Sicilia. Parlava della morte con tranquillità, con ironia, senza manifestare paura, ma soltanto sconforto per non poter espletare ulteriormente quel compito che lo aveva portato alla realizzazione di pregiatissimi lavori che dovrebbero essere fonte di studio per le generazioni future.
Il feretro di Pippo Labisi, partito dalla sua abitazione di via Umberto I in Barcellona Pozzo di Gotto, è stato trasportato alla volta di Novara di Sicilia, dove è cresciuto dopo essere giunto adolescente da Catania, non prima di essersi soffermato davanti la sua casa di Marchesana nel comune di Terme Vigliatore dove solitamente trascorreva parte dell’estate.
L’autofunebre con la salma, seguita da un corteo di autovetture con a bordo nipoti, pronipoti ed amici, è arrivata verso le ore 16,00 davanti al duomo di Novara di Sicilia nel quale è avvenuta la cerimonia funebre. Alla fine della messa mi è toccato fare ciò che avevo promesso all’illustre amico quando era ancora in vita: mi aveva chiesto di parlare di lui, ed io, onorato di espletare il mio compito, ho preso la parola. Non ho vergogna di confessare che la commozione mi ha vinto e quasi non riuscivo a parlare, ma sono riuscito ad andare avanti, anche grazie agli applausi d’incoraggiamento, cercando le parole per essere da stimolo nei confronti dei suoi nipoti – come mi aveva chiesto lui – perché non facessero disperdere il patrimonio di cultura che aveva prodotto in una vita di attenta ricerca ovvero documenti e tanti libri di saggistica, di poesie in lingua ed in dialetto di teatro e tant’altro oltre ad un pregevole dizionario del “Gallo-Italico” di cui era un esperto. A tale proposito sono certo che i Labisi non hanno bisogno delle mie parole per compiere il loro dovere nei confronti del loro amato zio Pippo.
Non potevo astenermi perciò mi sono fatto coraggio ed ho parlato spinto dai ricordi di ore trascorse insieme nei giorni invernali, quando le intemperie non permettevano di uscire di casa e discutevamo di tutto, delle cose più semplici e delle cose più complesse lasciandoci trascinare dal nostro senso filosofico e da quello ironico e umoristico, spesso verseggiando facevamo a gara nel ricercare la rima più difficile, e qui, onestamente devo ammettere che Pippo Labisi era veramente imbattibile. D’estate l’andavo a trovare alla villa di Marchesana, ci attardavamo in sdraio sul terrazzino e si parlava di tutto ciò che ci passava per la mente; ricordo che una volta citando il titolo di uno dei suoi libri di poesie “Comu fogghi a lu ventu” mi chiese se lo avessi letto e dopo essersi accertato che davvero lo avevo letto mi dimostrò, con un vasto giro di parole che aveva letto quel tale e quel tal’altro mio libro. Sì, nel duomo di Novara ho parlato spinto dal ricordo di un uomo che non faceva mai pesare la sua superiorità intellettiva: su questa vinceva la sua grandezza d’animo, era sempre pronto a dare spiegazioni, sempre capace di farsi apprezzare, anche nei momenti in cui lasciava trasparire la sua severità, severità misurata, controllata espressa al momento dovuto. Addio Pippo, il ricordo di te rimarrà nel cuore di chi ti ha voluto bene.