-Di Giuseppe Messina-
La contrada che mi ha dato i natali è antica tanto che quando godeva di grande splendore non vi era BarcellonaPozzo di Gotto e neppure Barcellona, ma case sparse in distanti rioni. Certamente Gala, oltre che per il “greco latte”, a se conquistò l’appellativo per la bellezza e l’allegria festante, per i lussureggianti profumi di ginestra, zagara e alloro, ma anche per il ciliegio, l’albicocco, il nespolo, il fico, lo zibibbo e il vino di “Casteddu” (Castello) nonché per gli ulivi in abbondanza, per cui quattro grandi frantoi. Chiare immagini tra i meandri della memoria: L’antica, grande pietra circolare, per me bambino, era enorme, gigantesca, e m’incantavo nel vederla girare trascinata dal bue sotto il giogo; robusta trave, quel giogo, infilata al centro del disco di pietra che notte e giorno macinava olive, con brevi pause solo per il pranzo e la cena, spesso posticipati. Dalla spremitura sotto il torchio l’olio scendeva copioso, dorato e lucente con riflessi verdastri, ed era una delizia versarlo sul pane caldo fumante appena sfornato. Adesso sono rimasti in due i frantoi e non vi sono più le macine monolitiche; chi vuole vederne una di quelle può andare al museo “Cassata” in contrada Manno nella stessa Barcellona Pozzo di Gotto. Oggi i frantoi sono meccanizzati modernamente, però l’olio della contrada è sempre uno dei migliori, e non solo l’olio. Ha certamente un fascino particolare fare un giro per l’antica Gala, incontrarsi con qualche amico, non soltanto perché ci si ritrova circondati da agrumeti, non solamente perché vi sono delle ottime pietanze, del nettare che gli uomini chiamiamo vino, non solo per tutto questo, ma anche perché Gala è uno dei siti su cui sorgeva, fin dal settimo secolo uno dei più importanti monasteri dei Padri Basiliani, del quale si possono ancora ammirare i resti; maestoso edificio costruito proprio nel posto in cui i greci avevano innalzato un colosso di marmo bianco rappresentante una divinità pagana, forse Mercurio visto che da sempre vi è la via principale che percorre tutto il paese che porta lo stesso nome del messaggero degli dei, ma poteva rappresentare benissimo Diana dal momento che tuta la contrada era, come potremmo dire oggi, sotto l’egida della dea della caccia. Proprio in questo monastero fu sepolto Simone il normanno, morto all’improvviso nel 1105; egli era figlio del conte di Sicilia Ruggero Bosso di Hauteville, certamente, si può dire, fautore del regno di Sicilia. Però non vi era soltanto quella di struttura importante, vi erano e, per certi versi, vi sono ancora la fortificazione “Mollica”, conosciuta come “Torre Mollica”, “Torre Kappa” e “Torre Sipio” del XVI secolo. Vi è certamente quanto basta per farci scoprire il passato, ma vi è anche tanto per far capire gli errori degli uomini che non hanno saputo salvaguardare le testimonianze delle nostre radici. Per dirla con le parole dello storico Filippo Rossitto: “Barbari coloro che per surrogarvi il nuovo cattivissimo devastarono il bello antico”. Non occorre alcun commento a quanto il Rossitto afferma, ma si deve richiamare l’attenzione di chi di dovere su quanto resiste del patrimonio culturale barcellonese, proprio là dove, inconfutabilmente, vi sono ancora le radici della nostra storia. Testimonianze storiche, ma non solo; su questi luoghi aleggia il mito, la leggenda: nella mente riecheggiano ancora i racconti dei vecchi che sembrava sapessero tutto del mondo, tutto del mito e del mistero. Avevano il potere di farci vedere “A ciocca chi puddicini d’oru sutta a Petra Rossa” (La chioccia con i pulcini d’oro sotto la “Pietra Grossa) che si trova sul lato Nord della strada che da S. Paolo porta a Gala, proprio dove parte la via che conduce a Migliardo; “U tesoru di saracini sutta a Turri di Sipiu” (Il tesoro dei saraceni sotto la Torre di Sipio. e tant’altro dello stesso sapore fantastico. Un racconto in particolare, fattomi da mio padre, mi è caro, quello del “Superbo gigante Longano, punito da Giove, trasformato in fiume” di cui narro l’intera vicenda nel mio poema “Odissea ultimo atto”. Racconti, dunque, narrazioni di gente semplice che sicuramente non raccontava per darsi importanza, no di certo, ed è per questo che riuscirono a rendere importanti questi luoghi agli occhi del bambino che ero. Racconti fantastici, alcuni, certamente, inventati, a cui voglio credere ancora come fossero fatti reali, fatti che aiutano a crescere nel cuore e nella mente.
Oggi questo paese è abbandonato a se stesso, la bella architettura rurale è cadente, gli antichi monumenti architettonici sono soltanto dei ruderi, quasi sembra incredibile che Gala possa essere stata il centro culturale più importante di tutto il comprensorio. Ma come e perché sia potuto diventare tale? Molti se lo chiedono. A questo proposito c’è da dire che da sempre Gala è stato un luogo interessante, fin da quando arrivarono in Sicilia i primi coloni greci, infatti non potevano che essere stati loro ad imporre il nome al luogo. Qualcuno potrebbe chiedere per quale motivo i greci si sarebbero dovuti innamorare di quella contrada. La risposta non potrebbe essere più semplice: per la grande quantità di latte che ivi si produceva e per gli stessi prodotti del latte, ma anche per la quantità e soprattutto per la qualità, la purezza, la freschezza dell’acqua di sorgente. Assieme a tutto questo c’era anche il motivo strategico: Gala è situata in alto di fronte e distante dal mare su cui si stagliano le meravigliose isole Eolie, ma è anche ben riparata alle spalle dalle alte colline. Evidentemente per gli stessi motivi, i romani fortificarono la zona dove, guarda caso, proprio sulla stessa fortificazione, a meno di trecento anni dopo l’avvento della cristianità ufficiale proclamata da Costantino il grande, un gruppo di monaci di rito greco, andò a costruire un monastero. Da quando si insediarono a Gala, i monaci basiliani, vi rimasero fino al 1799 per trasferirsi poi a Barcellona in contrada Fai, oggi quartiere dell’Immacolata, nel nuovo monastero dal momento che quello di Gala era diventato pericolante a causa di un forte terremoto. Ma andiamo per ordine. Risulta dalla tradizione e poi dalle antiche carte che i monaci di San Basilio hanno avuto dimora nel territorio barcellonese fin dall’anno 600 quando vi si stanziarono , sulle terre della famiglia degli Anici di cui papa Gregorio I Magno, e, come si è detto, costruirono il monastero con annessa chiesa in stile bizantineggiante nella zona più alta del villaggio greco di Gala. Durò 12 secoli la permanenza dei basiliani in Barcellona, quindi subirono la dominazione degli arabi dai quali non ebbero vita facile, ma neppure particolari fastidi, anzi sembra che furono rispettati per la loro cultura, per la vita che conducevano e per la beneficenza che erano soliti fare a tutti senza distinzione di religione o colore della pelle. Comunque riuscirono a superare le non poche avversità fino all’avvento dei Normanni. Fu proprio il conte Ruggero, come risulta dagli atti, a decidere dopo aver espugnato Messina dai Mori nel 1060 che, tra i templi sacri, fosse ricostruito l’antichissimo tempio della “Genitrice di Dio” nel villaggio di Gala e, dotato di feudi, affidato ai monaci basiliani. Ma il conte non vide mai realizzato il suo progetto. Furono la moglie Adalasia e il figlio Simone che nel 1104 realizzarono quanto desiderato dal conte Ruggero. I monaci basiliani diedero lustro a tutto il comprensorio con la loro cultura, con il loro insegnamento del greco, del latino e delle belle arti, fino al 1865, quando, dopo la soppressione del monastero, furono costretti a disperdersi.