- di Rosario FODALE, direttore e fondatore di messinaweb.eu -
- Edoardo Giacomo Boner fu, tra la fine dell’Ottocento, e il primo Novecento, un poeta tardo-romantico e un novelliere rinomato. Quali sono le sue opere più importanti?
- Edoardo Giacomo Boner, nato a Messina nel 1864 da padre svizzero e madre messinese (Larini), onorò la città, con la pubblicazione di prose (Leggende boreali, Sui miti delle acque, Saggi di letterature straniere, La poesia del cielo negli antichi), di poesie (Novilunio, Plenilunio, Versi, Musa crociata, Le siciliane) e di novelle (Racconti peloritani, nel 1890, e Sul Bosforo d’Italia, nel 1899), con cui la città dello Stretto entrava di fatto nei circuiti nazionali della letteratura moderna. Pirandello gli dedicò le sue Elegie renane, nel 1895, «con fraterno affetto». Fu inoltre stimato da vari intellettuali catanesi del tempo e in particolare da Mario Rapisardi e da Concetto Marchesi, suo collega al Liceo Ginnasio “F. Maurolico” di Messina nei primi anni del Novecento. Conobbe Verga, Capuana, Pitré, Ragusa Moleti, come lui collaboratori della rivista «Il Momento», uscita a Palermo dal 1883 al 1885. Anche Pascoli, professore di Letteratura Latina all’Università di Messina tra il 1898 e il 1902, lo stimò molto.
- Quali sono, a suo avviso, le cause della sua repentina scomparsa dalla storia della letteratura italiana e dalla memoria storica dei messinesi?
- Lui stesso lamentava lo scarso interesse dei messinesi per l’arte e la letteratura. Ma nocque, certamente, alla sua fama la morte improvvisa nel terremoto del 1908 (era ritornato in città da Roma, dove insegnava all’Università; per sposarsi), nonché il totale disinteresse della Scuola e dell’Università messinese, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Devo dire, con una punta di orgoglio marinaresco, che solo io, per circostanze molto casuali, l’ho riproposto all’attenzione dei lettori ripubblicando, nel 2003, presso l’editore Intilla, le sue due principali raccolte di novelle.
- Perché vale la pena di rileggerle?
- Per nobili fini critici ed estetici (sono testi di frontiera: tra il Verismo di Verga, il classicismo risorgente di Carducci e il decadentismo dannunziano), ma anche perché presentano fatti e personaggi messinesi di fine secolo assai rilevanti: sono, peraltro, le prime opere nelle quali Messina, le sue strade, i quartieri, le chiese, i villaggi della Riviera del Faro, fanno da sfondo alle vicende narrate. Tanto che potrebbero efficacemente irrobustire il senso di appartenenza e le languenti radici culturali dei nostri giovani: ne hanno veramente bisogno.
Va pure detto che il Comune di Messina gli ha dedicato, nel dopoterremoto, il monumento che orna la sua tomba nel cimitero monumentale della città.
- Boner perì, quindi, con migliaia di sventurati concittadini, nella tragica notte del 28 dicembre 1908?
- Sì. Ed è opportuno ricordare che, tre mesi dopo il terremoto, la sera del 5 marzo 1909, il professore Concetto Marchesi, ritornò a Messina, mettendosi alla ricerca di Edoardo Giacomo Boner, che considerava «più che amico fratello», tra palazzi distrutti e cadaveri ancora insepolti (dopo più di novanta giorni!). Quella tragica, funerea visione della città dello Stretto, che amaramente «imputridiva», raccontò, quindi, a caldo, in un articolo poco conosciuto, apparso nell’ottobre dello stesso anno sulla «Rivista d’Italia. Lettere, Scienza ed Arte», che io stesso ho ripubblicato in Appendice al saggio, La narrativa di Edoardo Giacomo Boner, pp, 149-168, EDAS Messina 202, e che costituisce un documento di primaria – ma misconosciuta importanza – degli effetti disastrosi del più devastante terremoto della storia.