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- Di Giuseppe Messina -

   SI sente ancora l’eco delle manifestazioni organizzate, come ogni anno, da 22 anni dal “Movimento per la Divulgazione Culturale” il 7 e l’8 luglio scorso per onorare i compianti Pippo Labisi poeta-storico-dialettologo e Pippo Fava scrittore-giornalista-drammaturgo e, poi, il 12 ancora una serata in onore del cantautore, ex musicista dei “Pandemonium” Antonio Labate.

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   Adesso, a sorpresa, una serata di alta intensità umana e culturale, voluta dall’attrice Rosemary Calderone dedicata ai padroni di quella casa, nella zona marina di Barcellona Pozzo di Gotto, nel cui giardino hanno luogo gli eventi culturali estivi ovvero a mia moglie ed a me, nel 40° anniversario del nostro matrimonio, per cui non finiremo mai di ringraziare tutti quelli che si sono prodigati per la riuscita nonché tutti gli amici intervenuti.

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   “Magnifica serata ieri sera per i 40 anni di matrimonio del prof. Giuseppe Messina e la sua consorte. Magnifico evento in cui ho avuto modo di esibirmi con "IL TORMENTO DI PENELOPE" opera scritta dallo stesso maestro MESSINA... Grazie Maestro per avermi permesso di realizzare questo mio sogno interpretando Penelope e Grazie a tutti i presenti”.

   Così si esprime l’attrice Rosemary Calderone in un post sulla sua pag. Facebook dopo la serata in cui ha trionfato per la bella interpretazione di una Penelope assediata dai proci e tormentata nell’attesa del ritorno di Odisseo da Troia dopo venti anni.

   Sono stati diversi i commenti favorevoli che hanno sottolineato il valore culturale del sorprendente evento del 27 agosto u. s. che, come tanti hanno detto, dovrebbe girare nelle scuole dal momento che si tratta di un monologo intenso che percorre tutto il tragitto che porta dal motivo dell’inizio della guerra di Troia fino alla vigilia del ritorno di Odisseo a Itaca; un’opera che metaforicamente ci ricorda come il dramma della guerra è sempre uguale e pesa enormemente sui più deboli ed indifesi.

LAURA

   Potrei astenermi, ma mi piace raccontare come a volte le cose nate per caso, quando sono fatte con grande sentimento e professionalità , possono generare un momento di alta cultura:

   Conosco ormai da tempo l’attrice Rosemary Calderone ed ho potuto constatare che non si tratta soltanto di un’avvenente ragazza. Tutt’altro. Non sembra vero, ma il suo straordinario talento si manifesta appena entra in scena, grazie al suo portamento ed alla sua voce impostata oltre alla bellezza. Non per niente allieva della scuola teatrale del grande Giancarlo Giannini. L’ho conosciuta per caso grazie ad un altro talentuoso elemento ovvero il giovane attore regista Salvatore Cilona al tempo in cui preparavamo l’opera teatrale “Il Gladiatore” in cui mi è toccato interpretare il ruolo dell’imperatore Marco Aurelio mentre Rosemary interpretava Augusta Lucilla, la figlia. La nostra è diventata una vera amicizia con protagonista un rapporto di grande stima. Grazie a questo nostro rapporto, il 4 di agosto u. s. sono andato ad ascoltarla in occasione della sua esibizione alla “Notte della Cultura” a Santa Lucia del Mela in cui s’è fatta apprezzare dal pubblico per avere interpretato alcuni monologhi tratti da importanti opere teatrali e cinematografiche. Fu proprio in quella occasione che mi confidò il suo antico desiderio di interpretare un monologo nel ruolo di Penelope e mi chiese che glielo scrivessi. Avendo già trattato l’argomento che mi ha portato, qualche anno fa, a pubblicare un poemetto proprio dal titolo “Penelope”, accettai e così appena avuto nelle mani il mio monologo “Il tormento di Penelope” si è buttata nella lettura. Qualche giorno dopo mi ha contattato per comunicarmi che gli era piaciuto e che l’avrebbe voluto mettere in scena. L’occasione si è presentata: lo scorso 27 giorno del 40° anniversario del mio matrimonio, e lei ha pensato bene di fare un omaggio a mia moglie e a me. Devo confessare che non mi aspettavo tanta caparbietà, infatti, nonostante abbia potuto fare due prove soltanto, è riuscita in ciò che soltanto chi è dotato di grande talento può fare. Praticamente ha incantato la platea, tutta gente di gusto raffinato che l’ha ripagata con scroscianti applausi.

   Una serata come alcuni hanno detto: trascorsa con la grande arte. Ciò grazie anche alla straordinaria flautista Laura Paone, studiosa di musica antica e docente di flauto traverso al conservatorio musicale Arcangelo Corelli di Messina, che ha curato la scelta delle musiche ed ha eseguito brani di Claude Achille Debussy, il compositore francese vissuto tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento.

Alessandro Fumia -

Nell’attuale città di Messina si continuano a ricordare fra i personaggi illustri della sua toponomastica, dei veri assassini fatti passare per eroi nazionali. L’esempio potrebbe mettere in evidenza quello che provocò Nino Bixio presso la città di Bronte, recentemente fatto oggetto del recupero di materiale d’archivio, che inchioda alle sue responsabilità uno dei maggiori soldati garibaldini, scesi in Sicilia sotto le insegne di un’Italia che era ancora da divenire, sovvertendo l’ordine pubblico di una nazione, la Sicilia, allora attraversata da orde di predoni divenuti più tardi eroi da ricordare.

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Fra questi campioni non sfugge neppure il generalissimo, Peppiniello il nizzardo, meglio conosciuto col suo nome di battesimo Giuseppe Garibaldi. L’eroe dei due mondi fu ricordato dalle cronache liberali del tempo, come un trionfatore nella campagna di Sicilia, giudicato eroe per sentimento condiviso e per tale motivo innalzato nell’olimpo dei grandi uomini nazionali o nazionalizzati. Chi penetra in quell’antro, assume sopra di se tutte le più ampie virtù morali e materiali. Pertanto Garibaldi diventerà il prototipo dell’eccellenza fatta sistema, trovando negli storici che ne recuperano le opere e le insegne, il modello comportamentale da ribadire alla simbologia italica di quei tempi. Un modello non può assumere sopra di se, tutte le eccellenti qualità umane previste nel catalogo degli eroi di stato. Garibaldi col passare dei decenni e dei secoli, diventerà un prototipo positivo di personalità da ricordare e benedire nel suffragio nazionale. Eppure, Messina non ricorda, o non ha mai conosciuto, alcune marachelle commesse da questo campione fra i campioni, e noi messinesi ancora oggi, ne celebriamo le insegne ponendolo nel principale teatro viario cittadino. Sarebbe ora di recuperare queste nuove sul conto di uno spregevole stratega, e di un pseudo soldato. Basterebbe ricordare ad esempio, cos’era per Garibaldi l’onore militare, e quanto questo fosse ben presente nei suoi modi di soldato. A suggerirci la strada per raggiungere un episodio non certo eroico da lui commesso, bisogna risalire a uno scritto dell’ammiraglio piemontese Persano, uno dei suoi più cari estimatori e amici. In quell'occasione però, la stima di Persano vacillò, perché a mutare il suo giudizio furono le frasi sibilline pronunciate dall’eroe dei due mondi. Eccovene uno stralcio.

“…Lo trovai molto alterato col comandante del Tuckery, luogotenente di vascello Liparacchi, perchè non si era condotto sotto il cannone del castello di Milazzo come eragli stato ordinato, a mitragliare le truppe che, battute, vi correvano a scampo. Né ai suoi occhi lo scusa l'essersi sfondato uno dei cilindri della macchina, mentre manovrava per approssimarsi al lido. Parla di farlo fucilare sommariamente”. [Diario privato politico militare, dell'ammiraglio C. di Persano, p. 85].

In soldoni ecco il passaggio cruciale: Garibaldi s'inalbera contro un suo ufficiale perché non spara sopra i soldati napoletani che si arrendevano in quel di Milazzo, svelando un suo lato sanguinario. Soprattutto questo suo comportamento mette in luce il sentimento altre volte rivelato, che l’onore di un soldato in guerra, o durante uno scontro cruento, avrebbe dovuto armare il suo animo, vietando di sparare addosso a soldati che si arrendevano al suo esercito. Ma Peppiniello il nizzardo se ne infischiava dell’onore militare e replicava come meglio capitava, stizzito dal criterio che in guerra non si doveva adempiere a sentimenti troppo civili, da ripetere nelle occasioni   suffraganee del suo fare in campo di battaglia. Nello stesso frangente storico, Garibaldi superava se stesso per crudeltà replicando in atrocità il suo comportamento, contro coloro che non la pensavano come lui.

“…Ti ringrazio della tua, e ho scritto ti mandino la Lombardia. Certo è curioso che col disordine delle truppe di Garibaldi si possa far tanto. Quindi maggior merito nel condottiero. Se è vero ciò che si legge nei giornali, gli abitanti di Melazzo avrebbero preso parte molto viva nella difesa, e che una trentina ne sarebbero stati fucilati dopo la resa. Come sai, io non fo il sentimentale fuori tempo, ma sempre cerco la giustizia; e in questo caso trovo che si sarebbe andati un pò alla spagnuola. In guerra d'indipendenza, chi aiutasse così lo straniero ci sarebbe da vedere e discutere: ma qui è guerra per forma politica, e fra italiani! E se cominciamo a far fucilare chi desiderasse una forma politica che non piace a noi, si può arrivare presto alla ghigliottina. Firmato Persano”. [Diario privato politico militare, dell'ammiraglio C. di Persano, p. 98].

La storia insegna, che la verità presto o tardi ritorna alla ribalta. Garibaldi canaglia? Garibaldi bandito? Garibaldi furfante? Un po’ tutto come un po’ al contrario. Per quella Italia un mercenario poteva assurgere al grado di eroe praticando il ruolo di boia. Se vi pare oltraggioso il mio pensiero, vi invito a leggervi la cronaca riportata da due giornali certamente non di parte borbonica sui fatti di Milazzo dove a cadere furono siciliani, o meglio messinesi che combattevano dalla parte sbagliata contrapposti al generalissimo.

“…tradotto dal «The Examiner. n° 2739, Saturday, July 28, 1860» … GENOVA Il 26 luglio è arrivata la notizia che i garibaldini hanno subito gravi perdite nel scontro nei pressi di Melazzo. Si afferma che Garibaldi stesso fu ferito ai piedi. Garibaldi aveva ordinato di fucilare diversi abitanti di Melazzo per aver combattuto contro di lui. Appena il signor Depretis arriva al campo, Garibaldi lo investirà dell'autorità dittatoriale”.

Notizia riportata dalle testate italiane che fanno eco ai fatti cruenti della battaglia di Milazzo dove i garibaldini trovarono una resistenza mai sperimentata in nessun luogo di Sicilia.

“Un dispaccio da Genova del 26 luglio reca che gravi son le perdite dei garibaldini nella presa di Milazzo. Parecchi abitanti di Milazzo gittarono sui garibaldini dalle finestre olio ed acqua bollente. I carabinieri genovesi soffersero grandemente. Presa la piazza Garibaldi fece fucilare 39 Milazzasi e birri. [Il vero amico del popolo. Anno XII, n° 86. Roma, 31 luglio 1860   p. 2]

Tutto fu lecito anche l’omicidio di cittadini milazzesi, purché si raggiungesse l’obiettivo prefissatosi dal governo subentrante. Come ci si sarebbe arrivati era irrilevante. In guerra ogni mezzo è lecito; ma sta proprio qui il problema. Il regno delle due Sicilie non era in guerra con nessuno degli stati italiani di quel tempo. E l’eroe dei due mondi diede il meglio di se e i suoi «garibaldini» posero in mostra quanta determinazione e quanta ferocia erano in grado di esprimere sul «campo di battaglia», per dimostrare quale destino si stava ritagliando sopra le teste di quegli italiani.

“Nino Bixio, Nella tornata del 10 seguitò a narrare come realmente i Siciliani non si fossero battuti. Dopo la vittoria di Milazzo Garibaldi aveva 15,000 uomini, di cui 6000 Veneti, 5000 Lombardi, come Lombardi erano tutti quei della prima spedizione, eccetto qualche Genovese e qualche Napoletano; 1000 Toscani e 3000 Siciliani. Parla d'un equipaggio svedese che allora naufragò, e i naviganti vennero trucidati per derubarli: ha visto egli stesso mangiarsi cadaveri, cavandone il cuore. Se non vi fossero stati i comitati di Genova e di Torino, (dic'egli) Garibaldi sarebbesi trovato davanti a Messina con 3000 uomini appena. [Dall'Enciclopedia popolare italiana volume II. p. 48,].

Un capo e i suoi subalterni passati dalla stampa dell’epoca come modello e come esempio da seguire e ricordare. Noi che siamo i discendenti dei trucidati, degli ammazzati senza motivo, dei derubati per destino cosa facciamo oggi? Gli dedichiamo la principale arteria di Messina. Certo questa toponomastica è relativamente vetusta. Per fortuna, dal coro, una voce ha preso posizione e rinnova il sentimento di onestà e di onore dei nostri padri. La civiltà ci impone di perseguire memorie degne di una comunità evoluta pertanto, se un consigliere, Salvatore Sorbello, adombra la possibilità di rinominare la strada Garibaldi ponendola sotto le insegne della nostra Vergine Assunta, si dovrebbe incominciare nella nostra Messina, a rivedere dal passato quegli esempi positivi che non inficiano l’onore di questa comunità. Perché le generazioni future potrebbero disperdersi confuse da atteggiamenti ingiustificabili agli occhi delle nostre tradizioni storiche, quando a motivare le reciproche azioni v’è l’ignoranza, che motiva le azioni. Quando invece l’ignoranza è rimossa, perdurare sulle medesime posizioni è diabolico. Messina deve ricordare il meglio del suo passato, dedicando il suo corredo urbano a esempi positivi. Rimanere abbarbicati alle insegne di un assassino, pur se giudicato dalla storia padre di questa nazione, non significa che i discendenti d’essa comunità, devono ancora camminare nell’errore. Messina ha sì pagato prezzo altissimo di sangue per contribuire a formare questo paese; ciò nonostante, bisognerà lavare parte di quel sangue innocente versato dai nostri bisnonni, raggirati da promesse che il tempo ha rivelato fallaci e incerte, almeno per la nostra città, del tutto o in parte raggirata sulle posizioni previste da una costituente, che è rimasta democratica a parole e sulla carta assente. Messina non può rimanere ferma sulle sue posizioni del passato quando la storia prepotentemente ne presenta il conto.

“Frattanto il Garibaldi mena innanzi la sua opera: dipoi Palermo cade in sue mani Messina, e si torna alle uccisioni: il dittatore tranquillo ordina di fucilare i prigionieri disarmati, e ciò per dare un salutevole esempio, e preparare la libertà dei voti Siciliani. E questi sono gli atti che acquistano al Garibaldi il titolo di Liberatore dell'Italia, e il sostegno morale della libera Inghilterra!” [Félix Dupanloup, La sovranitá del Pontefice secondo il diritto cattolico e il diritto europeo p. 5]

Mentre un’altra fonte non meno aggiornata rilancia la traccia di un dispaccio telegrafico assegnato al mano del console svizzero: «Nel settembre del 1865 un giornale triestino rilanciava la notizia riferita alle cronache di Felix Dupanloup cinque anni prima, che presso Torre Faro furono fucilati dal pro dittatore Garibaldi 40 popolani ostinati».

Garibaldi eroe, mica tanto. In quel tempo in cui assume il comando, ponendosi sotto le insegne della dittatura, emette tutta una serie di proclami confusionari, che gettarono scompiglio nelle comunità siciliane che ne subivano a suffragio l’amministrazione. Dal primo momento che volle deferire chi potesse salire sul carro dei vincitori, gareggiando con i suoi tigrotti, detto alla Salgari, trovò la necessità di evitare che altri personaggi si potessero infiltrare nelle sue gloriose fila. Ma dopo un primo momento d’imbarazzo, allor quando furono ammazzati innocenti ritenuti rei, fu costretto a replicare con un ulteriore proclama che se non avesse dato delle conseguenze tragiche, potremmo annoverarle fra le battute di un moderno comico.

“Prefettura di Polizia dispone: Art. 1, Tutti quelli che portano l'uniforme e non appartengono alle truppe del Dittatore, saranno arrestati e fucilati provvisoriamente. Art. 2, E' proibito ancora d'indossare l'uniforme dei galeotti, che per la quasi eguaglianza di colore, può equivocarsi con l'altra uniforme. Art. 3, La polizia è incaricata dell'arresto e dell'esecuzione capitale provvisoria. [Napoli 12 settembre 1860, anno I, n° 53. I Tuoni, giornale quotidiano]”.

Infatti, era accaduto che i galeotti fatti uscire a mena dito dalle patrie galere, indossanti la relativa uniforme di detenzione di color rosso con brache di tela bardate di grigio, non fossero più distinguibili dai garibaldini vestiti allo stesso modo. Pertanto chi può dire che nel campo di battaglia combatterono le due brigate lombarde piuttosto che i galeotti siciliani? Sta di fatto che la ferocia messa in campo li accomunava come fratelli, e per tanto non potendo discernere fra i due gruppi quale fosse più assassino degli altri, divennero eroi tutti quanti. Noi celebriamo nelle nostre strade questa gente, comandata da un capo che per taluni adepti, ha dimostrato di saperli comandare, immedesimandosi con essi e per ironia di sventura, viene ancora annoverato padre della patria legittimandolo in luoghi pubblici a futura memoria. Messina come tante realtà civiche italiane rinnovano questo esempio. Oggi sarebbe arrivato il tempo di smacchiare questa macchia che tutti ci insudicia. Per quanto mi riguarda, trovo il progetto del consigliere Salvatore Sorbello di dedicare l’attuale corso Garibaldi alla Madonna Assunta ricevibile nei tempi e nei modi previsti dalle leggi vigenti; invitando i nuovi oppositori a dimostrarsi innanzitutto messinesi prima ancora che italiani. Le loro esigenze commerciali rispettabilissime possono essere comunque ovviate, con una dose di buona volontà. Insistere a mantenere il «Brand Garibaldi» come atto distintivo, non credo che alla lunga porterà vantaggi commerciali, man mano che la verità storica prenderà piede fra le nostre comunità.

                                                                                                          

C’è un’Italia sommersa – e tuttavia maggioritaria – che vive nei confini   ampi degli affetti (dell’amore e dell’amicizia soprattutto) nonché nel culto del lavoro e dell’onestà, alla luce degli insegnamenti della religione cattolica.

Questa Italia famigliare, sentimentale, religiosa (che si lascia, talora, attrarre dai falsi miti del familismo, del clericalismo, del disimpegno sociale, dell’antipolitica, del qualunquismo, del populismo: difetti storici del ceto medio e della «maggioranza silenziosa» che lo rappresenta), trova un suo plausibile, valido poeta in Rosita Orifici Rabe di Messina, una donna che ha fatto del suo amore di moglie, madre, nonna, e dell’impegno pedagogico di maestra i solidi ancoraggi della sua amabile presenza nel mondo. Presenza che si manifesta, con garbo e misura, senza gratuiti esibizionismi e senza nulla concedere al patetico e alla retorica, nelle sue due raccolte poetiche (Album di un’anima poeta del 2004; Il volto dell’anima nella poesia del 2006) e nei due pregevoli saggi sulla scuola e sull’educazione (Una maestra racconta del 1998 e L’abc della vita del 2001).

La Orifici Rabe è, in senso pregnante, poeta dell’amore coniugale e quindi materno, che si riversa naturalmente sui figli, sui nipoti, sugli amici, sui piccoli allievi della scuola materna e sui “fratelli” tutti – parrebbe - dell’umanità intera: d’altra parte, l’amore o è un sentimento universale (erga omnes) che impregna la vita in ogni sua manifestazione o non è amore, come qualcuno ha detto giustamente: semmai amor sui, egotismo. Ed è certamente contagioso l’amore: si riverbera luminosamente su tutti e si può comunicare, indicare, proporre come modello di vita a tutti, come la nostra poetessa decisamente e umilmente fa. Sicché amore e istinto pedagogico si rivelano, alla fine, nella sua produzione letteraria, due facce della stessa medaglia: lo confermano, in particolare, se ce fosse bisogno, i lucidi pensieri che scandiscono, insieme con nitide fotografie, le poesie della sua prima silloge poetica nonché la densa meditazione in prosa, Adolescenti (Un mondo tra luci e ombre), che la suggella.

Ma l’amore di Teodoro, il marito, e per Teodoro rappresenta, tuttavia, il nucleo poetico fondamentale dell’opera di Rosita Orifici Rabe: amore vissuto come dono, come miracolo, come unione totale, biblica, cristiana, cioè come completamento della personalità individuale e come traguardo additabile e umanamente raggiungibile. Attorno a questo amore fiorisce, difatti, tutto il mondo di Rosita: il fascino di una notte in riva al mare, il sollievo e la necessità del sogno, il vento, l’amicizia, la felicità, il superamento dei dolori inevitabili dell’esistenza, la pioggia, la luce, Dio. Certo, la forza della fede e il dialogo con Dio sono fermentanti nelle liriche della poetessa messinese (si veda Signore, dammi la luce, nella prima raccolta e Preghiera, A Giovanni Paolo II, Poesia di Dio, nella seconda).

La cifra stilistica tipica della poesia (amorosa, pedagogica e religiosa) della Orifici Rabe è data dalla leggibilità estrema dei testi, dalla discorsività del dettato, dal rifiuto di ogni orpello ornamentale, o presuntivamente “poetico”, e dalla rievocazione, il più possibile referenziale, dei moti dell’anima, attraverso un linguaggio usuale, molto vicino al parlato e, a suo modo, rispettoso della intrinseca musicalità delle parole nel verso.

Si apprezzano soprattutto, in Album di un’anima poeta, La vita cambia, L’amicizia, Parole, La lode, Leggere, La pioggia, A un angelo di nome Maria, L’anima del poeta, e in Il volto dell’anima nella poesia, Preghiera, Non essere diverso, Notte stellata.

Non sorprende, dunque, più di tanto che Teodoro, investito da tanto amore, sia diventato, quasi per osmosi, poeta e che scriva poesie per Rosita, perfettamente sintoniche e stilisticamente conformi, peraltro, a quelle di Rosita per Teodoro. Tale evento, più unico che raro nella letteratura italiana, appare evidente nella delicata plaquette del 2008, pubblicata in occasione della ricorrenza dei primi cinquantacinque anni di matrimonio dei due innamorati, e nella sezione “Le nuove liriche” della raccolta Il volto dell’anima nella poesia: quasi un terzo canzoniere, dunque, in cui la coppia, divenuta biblicamente una sola carne, cioè una sola persona, canta la bivalente bellezza dell’amore secondo l’ottica maschile e secondo l’ottica femminile.

Prof. Giuseppe RANDO

Ordinario di Letteratura Italiana

(già presso l’Università di Messina)

Critico letterario

- di Marcello Crinò - 

I Piccoli Cantori, prestigiosa formazione coristica barcellonese, diretta da Salvina Miano, e accompagnata al pianoforte da Dario Pino, ha conquistato il primo premio categoria 1 sezione D Voci bianche alla 66ª edizione del Concorso Polifonico Internazionale “Guido d’Arezzo”. Per la prima volta dopo ventitré anni un coro di voci bianche italiano vince il primo premio a questo concorso, svoltosi ad Arezzo dal 23 al 25 agosto 2018. Il coro si è aggiudicato anche il terzo premio categoria 2, repertorio sacro.

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Che la vittoria fosse nell’aria si è capito nel momento in cui i Cantori erano stati ammessi in finale assieme ad altri tre cori, tutti stranieri. La serata inaugurale si è svolta nella Basilica di San Francesco di Arezzo. Il giorno successivo è iniziata la vera e propria gara, con I Piccoli Cantori che si sono confrontati con le altre corali: Marymount Secondary School Choir (Hong Kong - Cina), Coro Femminile Eos (Roma - Italia), Coral San Justo (Buenos Aires - Argentina), Lumen Vocale Soloists Ensemble (Pozan - Polonia), Coro Voci Bianche Garda Trentino (Trento - Italia), Inspiration (Narva - Estonia), University of the Philippines Singins Ambassadores (Quezon City -Filippine).

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Per i giovani componenti del coro è stato un concorso particolarmente impegnativo, che li ha visti competere in tre categorie, confrontarsi con i loro coetanei e con i cori di adulti, alla presenza di una qualificata giuria internazionale formata da Peter Broadbent (Gran Bretagna), Burak Onur Erdem (Turchia), Jasenka Ostojić Radiković (Croazia), Gancho Ganchev (Bulgaria), Alexander M. Schweitzer (Germania), Paolo Da Colo e Walter Marzilli (Italia).

I Piccoli Cantori in questa avventura non sono stati soli: li hanno accompagnati tutti coloro che hanno generosamente aderito alla campagna di sponsorizzazione “Regala un Km al coro”: innanzitutto le aziende, gli esercenti e i professionisti, ma anche le associazioni, l’amministrazione comunale, le parrocchie e i tanti cittadini che hanno regalato un biglietto km.

Molti hanno seguito le fasi del concorso in diretta streaming attraverso i link pubblicati quotidianamente sulla pagina Facebook dell’Associazione e sui canali ufficiali del Polifonico.

 

- di Maria teresa Prestigiacomo -

Taormina - Tris di successi per il festival della grande musica organizzato dal "Taormina Opera stars" che si é concluso con un'ovazione per la replica di Tosca andata in scena al Teatro Antico. Una serie di spettacoli, tutti di grande qualità, che ha raccolto, nel complesso, quasi diecimila spettatori. Un successo questo maturato grazie all'alta competenza degli artefici del festival, Maurizio Gullotta, Antonio Lombardo e Franco Barbera. Quella appena trascorsa è stato, decisamente, la tre giorni delle curiosità. Ad esempio, nell'ultima rappresentazione di Tosca, si è trovato in scena, tra i gentiluomini del "Te Deum", addirittura il cantautore, Piero Pelù. Un omaggio questo all'opera tanto amata dalla compagna, Gianna Fratta, che ha diretto l'orchestra del "Taormina Opera star" in due splendide serate. Al termine le migliaia di spettatori hanno anche applaudito i macchinisti che sono riusciti, con perizia tecnica, a posizionare il grande angelo di sei metri che riproduce il famoso castello romano dal quale, poi, Tosca si lancerà nel vuoto. Uno spettacolo nello spettacolo che è stato apprezzato dal pubblico. E nel parterre dell'opera lirica non potevano mancare volti noti. Tra attori, personaggi politici e del mondo dello spettacolo è stata notata la presenza di Piero Barone del "Volo" con cui l'orchestra del "Taormina Opera Stars" si è più volte esibita già dal 2017. A conferma delle presenze del bel mondo operistico, particolarmente emozionante è stata la premiazione del soprano, Ines Salazar, che ha interpretato il ruolo dell'eroina pucciniana nell'edizione del centenario della composizione scelta dal mai dimenticato Luciano Pavarotti. A questa artista il vice sindaco, Enzo Scibilia, ha consegnato l'ambitissimo premio alla carriera del festival giunto alla sua quarta edizione. L'ultima rappresentazione del capolavoro di Puccini, grazie alle voci di Maria Tomassi (Tosca) e Francesco Anile (Mario Cavaradossi) ha ottenuto almeno quindici minuti di applausi. Bravi tutti gli altri cantanti che hanno preso parte alle performance come  Pedro Carrillo nel ruolo del barone Scarpia. Applausi non sono mancati anche per il coro del "Taormina Opera stars". Sicuro, inoltre, il coro delle voci bianche "Vincenzo Bellini" diretto da Daniela Giambra. Il pubblico ha apprezzato tutto Il cast del calibro di: Graziano D'Urso (Cesare Angelotti/carceriere), Riccardo Palazzo (Spoletta), Alessandro Vargetto (sacrestano/Sciarrone) e Pasquale Auricchio (pastorello). Scelta azzeccata quest'ultima del bravissimo direttore artistico, Davide Dellisanti, nell'assegnare il ruolo del "pastorello" al controtenore Auricchio conferendo così all'opera "Tosca" un tocco nuovo distaccandosi dalla scelta tradizionale, pur non intaccando la raffinatezza e l'eleganza della scrittura pucciniana, di affidare l'interpretazione di tale personaggio ad una voce bianca, ad un mezzosoprano o ad un tenore. Con questa scelta del direttore artistico anche questo ruolo ha suscitato particolari sensazioni all'orecchio di spettatori e appassionati. Apprezzata anche la cura dei dettagli della splendida scenografia allestita da "La bottega fantastica", di Daniele Barbera. Movimenti in scena assolutamente impeccabili di comparse e del gruppo "Sikilia". Allestimento di Tosca, quindi, da non dimenticare sotto ogni punto di vista che conferma la solidità organizzativa del "Taormina Opera stars" che riesce a superare anche i più impensati imprevisti. La scena è stata impreziosita, infine, da costumi di Rosaria Finocchiaro, luci di Giuseppe Sapuppo, acconciature e trucco di Alfredo Danese con la la collaborazione dell' Accademia Iside ed effetti speciali di Gaetano La Mela. Ma la chicca del Festival è stato l'appuntamento con le "Div4s", gruppo canoro nato da un'idea di Andrea Bocelli. I soprani Maria Luisa Venosa, Federica Balucani, Arianna Lorenzi ed Anna Konovalova hanno fatto "volare" il bel canto tra le mura dell'antica cavea. Grandissima voce, bellezza, presenza scenica e nuove coreografie sono state il cocktail che ha incantato il pubblico del Teatro Antico rimasto a bocca aperta per la performance di autentiche star del panorama internazionale che per l'occasione si è avvalso della collaborazione del coro ed orchestra del Taormina Opera stars (con l'aggiunta di chitarre elettriche basso e batteria), diretti, con maestria, dallo stesso Dellisanti e del baritono, Andrea Carnevale. Intensa la successione dei brani che ha toccato Bizet, Verdi, Puccini i pezzi della tradizione italiana e dei film. Un crescendo di emozioni che si è concluso con Il bis del successo di Bocelli "Con te partirò". Grande soddisfazione, dunque, per la manager del gruppo, Francesca Volpini, al termine di una serata indimenticabile. Il festival quest'anno, infine, ha avuto la collaborazione di tanti sponsor tra cui Jaguar che ha messo a disposizione una fiammante auto che ha contribuito alla promozione di un vero e proprio evento dell'estate taorminese. Riprese di Videobank delle serate che hanno dato giusto rilievo.

 Consigliato da  Maria Teresa prestigiacomo

Sole pallido e temperature sotto i 30 gradi: è un agosto anomalo nelle spiagge della Sicilia, ma l’offerta turistica dell’Isola non delude i visitatori che l’hanno scelta come meta delle vacanze estive. Qualche ora in meno sotto l’ombrellone lascia così più tempo per scoprire il patrimonio culturale e naturalistico che rende questa terra famosa in tutto il mondo. Guide di viaggio alla mano dunque, per scegliere programmi alternativi al mare: spazio ai tour enogastronomici, ai monumenti storici e alle passeggiate di shopping per approfittare dei saldi estivi, sugli scaffali fino al 15 settembre.

Una significativa fotografia di questa tendenza arriva dal Sicilia Outlet Village, location prediletta dai turisti stranieri, crocevia non solo commerciale, ma anche luogo di valorizzazione delle eccellenze regionali, con flussi di visitatori sempre in crescita. La formula outlet, soprattutto quella di lusso, è un fenomeno in continua evoluzione e in Sicilia si è tradotta nel legame strategico con tour operator e strutture ricettive, perché il desiderio di shopping in vacanza non è più una componente accessoria dell’itinerario, ma ingrediente ormai irrinunciabile della voglia di cultura, benessere e divertimento che muove il turismo nel mondo.

Il meteo incerto di questi giorni d’agosto ha così dirottato al Sicilia Outlet Village migliaia di visitatori, desiderosi di ripararsi dalla pioggia senza rinunciare al piacere di trascorrere il tempo all’aria aperta, in coppia, in famiglia o in gruppo, tra le vetrine dei brand preferiti e i punti food della migliore tradizione locale. Ben organizzata per fronteggiare le intemperie, la struttura del Village mette a disposizione servizi logistici e di ospitalità a cinque stelle, per offrire una “shopping experience” che coniuga l’esclusività delle grandi firme di moda con il risparmio del prezzo outlet scontato fino al 70%.

 

In allegato foto del Sicilia Outlet Village  

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Assia La Rosa

Valentina Cinnirella


- di Maria Teresa Prestigiacomo - 

Messina.Dal lontano 2 luglio del 1777, giorno in cui il Senato messinese promise ogni  anno il 22 agosto, un cero votivo di 38 libbre lavorate, da offrire a Santa Eustochia Calafato. Da allora... la tradiziine di fede continua, a Messina, con devozione

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