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(foto da Internet. si ringrazia l'autore) (foto da Internet. si ringrazia l'autore)

La storica via Garibaldi oggetto di riqualificazione topografica

Alessandro Fumia -

Nell’attuale città di Messina si continuano a ricordare fra i personaggi illustri della sua toponomastica, dei veri assassini fatti passare per eroi nazionali. L’esempio potrebbe mettere in evidenza quello che provocò Nino Bixio presso la città di Bronte, recentemente fatto oggetto del recupero di materiale d’archivio, che inchioda alle sue responsabilità uno dei maggiori soldati garibaldini, scesi in Sicilia sotto le insegne di un’Italia che era ancora da divenire, sovvertendo l’ordine pubblico di una nazione, la Sicilia, allora attraversata da orde di predoni divenuti più tardi eroi da ricordare.

640px Giuseppe Garibaldi 1861

Fra questi campioni non sfugge neppure il generalissimo, Peppiniello il nizzardo, meglio conosciuto col suo nome di battesimo Giuseppe Garibaldi. L’eroe dei due mondi fu ricordato dalle cronache liberali del tempo, come un trionfatore nella campagna di Sicilia, giudicato eroe per sentimento condiviso e per tale motivo innalzato nell’olimpo dei grandi uomini nazionali o nazionalizzati. Chi penetra in quell’antro, assume sopra di se tutte le più ampie virtù morali e materiali. Pertanto Garibaldi diventerà il prototipo dell’eccellenza fatta sistema, trovando negli storici che ne recuperano le opere e le insegne, il modello comportamentale da ribadire alla simbologia italica di quei tempi. Un modello non può assumere sopra di se, tutte le eccellenti qualità umane previste nel catalogo degli eroi di stato. Garibaldi col passare dei decenni e dei secoli, diventerà un prototipo positivo di personalità da ricordare e benedire nel suffragio nazionale. Eppure, Messina non ricorda, o non ha mai conosciuto, alcune marachelle commesse da questo campione fra i campioni, e noi messinesi ancora oggi, ne celebriamo le insegne ponendolo nel principale teatro viario cittadino. Sarebbe ora di recuperare queste nuove sul conto di uno spregevole stratega, e di un pseudo soldato. Basterebbe ricordare ad esempio, cos’era per Garibaldi l’onore militare, e quanto questo fosse ben presente nei suoi modi di soldato. A suggerirci la strada per raggiungere un episodio non certo eroico da lui commesso, bisogna risalire a uno scritto dell’ammiraglio piemontese Persano, uno dei suoi più cari estimatori e amici. In quell'occasione però, la stima di Persano vacillò, perché a mutare il suo giudizio furono le frasi sibilline pronunciate dall’eroe dei due mondi. Eccovene uno stralcio.

“…Lo trovai molto alterato col comandante del Tuckery, luogotenente di vascello Liparacchi, perchè non si era condotto sotto il cannone del castello di Milazzo come eragli stato ordinato, a mitragliare le truppe che, battute, vi correvano a scampo. Né ai suoi occhi lo scusa l'essersi sfondato uno dei cilindri della macchina, mentre manovrava per approssimarsi al lido. Parla di farlo fucilare sommariamente”. [Diario privato politico militare, dell'ammiraglio C. di Persano, p. 85].

In soldoni ecco il passaggio cruciale: Garibaldi s'inalbera contro un suo ufficiale perché non spara sopra i soldati napoletani che si arrendevano in quel di Milazzo, svelando un suo lato sanguinario. Soprattutto questo suo comportamento mette in luce il sentimento altre volte rivelato, che l’onore di un soldato in guerra, o durante uno scontro cruento, avrebbe dovuto armare il suo animo, vietando di sparare addosso a soldati che si arrendevano al suo esercito. Ma Peppiniello il nizzardo se ne infischiava dell’onore militare e replicava come meglio capitava, stizzito dal criterio che in guerra non si doveva adempiere a sentimenti troppo civili, da ripetere nelle occasioni   suffraganee del suo fare in campo di battaglia. Nello stesso frangente storico, Garibaldi superava se stesso per crudeltà replicando in atrocità il suo comportamento, contro coloro che non la pensavano come lui.

“…Ti ringrazio della tua, e ho scritto ti mandino la Lombardia. Certo è curioso che col disordine delle truppe di Garibaldi si possa far tanto. Quindi maggior merito nel condottiero. Se è vero ciò che si legge nei giornali, gli abitanti di Melazzo avrebbero preso parte molto viva nella difesa, e che una trentina ne sarebbero stati fucilati dopo la resa. Come sai, io non fo il sentimentale fuori tempo, ma sempre cerco la giustizia; e in questo caso trovo che si sarebbe andati un pò alla spagnuola. In guerra d'indipendenza, chi aiutasse così lo straniero ci sarebbe da vedere e discutere: ma qui è guerra per forma politica, e fra italiani! E se cominciamo a far fucilare chi desiderasse una forma politica che non piace a noi, si può arrivare presto alla ghigliottina. Firmato Persano”. [Diario privato politico militare, dell'ammiraglio C. di Persano, p. 98].

La storia insegna, che la verità presto o tardi ritorna alla ribalta. Garibaldi canaglia? Garibaldi bandito? Garibaldi furfante? Un po’ tutto come un po’ al contrario. Per quella Italia un mercenario poteva assurgere al grado di eroe praticando il ruolo di boia. Se vi pare oltraggioso il mio pensiero, vi invito a leggervi la cronaca riportata da due giornali certamente non di parte borbonica sui fatti di Milazzo dove a cadere furono siciliani, o meglio messinesi che combattevano dalla parte sbagliata contrapposti al generalissimo.

“…tradotto dal «The Examiner. n° 2739, Saturday, July 28, 1860» … GENOVA Il 26 luglio è arrivata la notizia che i garibaldini hanno subito gravi perdite nel scontro nei pressi di Melazzo. Si afferma che Garibaldi stesso fu ferito ai piedi. Garibaldi aveva ordinato di fucilare diversi abitanti di Melazzo per aver combattuto contro di lui. Appena il signor Depretis arriva al campo, Garibaldi lo investirà dell'autorità dittatoriale”.

Notizia riportata dalle testate italiane che fanno eco ai fatti cruenti della battaglia di Milazzo dove i garibaldini trovarono una resistenza mai sperimentata in nessun luogo di Sicilia.

“Un dispaccio da Genova del 26 luglio reca che gravi son le perdite dei garibaldini nella presa di Milazzo. Parecchi abitanti di Milazzo gittarono sui garibaldini dalle finestre olio ed acqua bollente. I carabinieri genovesi soffersero grandemente. Presa la piazza Garibaldi fece fucilare 39 Milazzasi e birri. [Il vero amico del popolo. Anno XII, n° 86. Roma, 31 luglio 1860   p. 2]

Tutto fu lecito anche l’omicidio di cittadini milazzesi, purché si raggiungesse l’obiettivo prefissatosi dal governo subentrante. Come ci si sarebbe arrivati era irrilevante. In guerra ogni mezzo è lecito; ma sta proprio qui il problema. Il regno delle due Sicilie non era in guerra con nessuno degli stati italiani di quel tempo. E l’eroe dei due mondi diede il meglio di se e i suoi «garibaldini» posero in mostra quanta determinazione e quanta ferocia erano in grado di esprimere sul «campo di battaglia», per dimostrare quale destino si stava ritagliando sopra le teste di quegli italiani.

“Nino Bixio, Nella tornata del 10 seguitò a narrare come realmente i Siciliani non si fossero battuti. Dopo la vittoria di Milazzo Garibaldi aveva 15,000 uomini, di cui 6000 Veneti, 5000 Lombardi, come Lombardi erano tutti quei della prima spedizione, eccetto qualche Genovese e qualche Napoletano; 1000 Toscani e 3000 Siciliani. Parla d'un equipaggio svedese che allora naufragò, e i naviganti vennero trucidati per derubarli: ha visto egli stesso mangiarsi cadaveri, cavandone il cuore. Se non vi fossero stati i comitati di Genova e di Torino, (dic'egli) Garibaldi sarebbesi trovato davanti a Messina con 3000 uomini appena. [Dall'Enciclopedia popolare italiana volume II. p. 48,].

Un capo e i suoi subalterni passati dalla stampa dell’epoca come modello e come esempio da seguire e ricordare. Noi che siamo i discendenti dei trucidati, degli ammazzati senza motivo, dei derubati per destino cosa facciamo oggi? Gli dedichiamo la principale arteria di Messina. Certo questa toponomastica è relativamente vetusta. Per fortuna, dal coro, una voce ha preso posizione e rinnova il sentimento di onestà e di onore dei nostri padri. La civiltà ci impone di perseguire memorie degne di una comunità evoluta pertanto, se un consigliere, Salvatore Sorbello, adombra la possibilità di rinominare la strada Garibaldi ponendola sotto le insegne della nostra Vergine Assunta, si dovrebbe incominciare nella nostra Messina, a rivedere dal passato quegli esempi positivi che non inficiano l’onore di questa comunità. Perché le generazioni future potrebbero disperdersi confuse da atteggiamenti ingiustificabili agli occhi delle nostre tradizioni storiche, quando a motivare le reciproche azioni v’è l’ignoranza, che motiva le azioni. Quando invece l’ignoranza è rimossa, perdurare sulle medesime posizioni è diabolico. Messina deve ricordare il meglio del suo passato, dedicando il suo corredo urbano a esempi positivi. Rimanere abbarbicati alle insegne di un assassino, pur se giudicato dalla storia padre di questa nazione, non significa che i discendenti d’essa comunità, devono ancora camminare nell’errore. Messina ha sì pagato prezzo altissimo di sangue per contribuire a formare questo paese; ciò nonostante, bisognerà lavare parte di quel sangue innocente versato dai nostri bisnonni, raggirati da promesse che il tempo ha rivelato fallaci e incerte, almeno per la nostra città, del tutto o in parte raggirata sulle posizioni previste da una costituente, che è rimasta democratica a parole e sulla carta assente. Messina non può rimanere ferma sulle sue posizioni del passato quando la storia prepotentemente ne presenta il conto.

“Frattanto il Garibaldi mena innanzi la sua opera: dipoi Palermo cade in sue mani Messina, e si torna alle uccisioni: il dittatore tranquillo ordina di fucilare i prigionieri disarmati, e ciò per dare un salutevole esempio, e preparare la libertà dei voti Siciliani. E questi sono gli atti che acquistano al Garibaldi il titolo di Liberatore dell'Italia, e il sostegno morale della libera Inghilterra!” [Félix Dupanloup, La sovranitá del Pontefice secondo il diritto cattolico e il diritto europeo p. 5]

Mentre un’altra fonte non meno aggiornata rilancia la traccia di un dispaccio telegrafico assegnato al mano del console svizzero: «Nel settembre del 1865 un giornale triestino rilanciava la notizia riferita alle cronache di Felix Dupanloup cinque anni prima, che presso Torre Faro furono fucilati dal pro dittatore Garibaldi 40 popolani ostinati».

Garibaldi eroe, mica tanto. In quel tempo in cui assume il comando, ponendosi sotto le insegne della dittatura, emette tutta una serie di proclami confusionari, che gettarono scompiglio nelle comunità siciliane che ne subivano a suffragio l’amministrazione. Dal primo momento che volle deferire chi potesse salire sul carro dei vincitori, gareggiando con i suoi tigrotti, detto alla Salgari, trovò la necessità di evitare che altri personaggi si potessero infiltrare nelle sue gloriose fila. Ma dopo un primo momento d’imbarazzo, allor quando furono ammazzati innocenti ritenuti rei, fu costretto a replicare con un ulteriore proclama che se non avesse dato delle conseguenze tragiche, potremmo annoverarle fra le battute di un moderno comico.

“Prefettura di Polizia dispone: Art. 1, Tutti quelli che portano l'uniforme e non appartengono alle truppe del Dittatore, saranno arrestati e fucilati provvisoriamente. Art. 2, E' proibito ancora d'indossare l'uniforme dei galeotti, che per la quasi eguaglianza di colore, può equivocarsi con l'altra uniforme. Art. 3, La polizia è incaricata dell'arresto e dell'esecuzione capitale provvisoria. [Napoli 12 settembre 1860, anno I, n° 53. I Tuoni, giornale quotidiano]”.

Infatti, era accaduto che i galeotti fatti uscire a mena dito dalle patrie galere, indossanti la relativa uniforme di detenzione di color rosso con brache di tela bardate di grigio, non fossero più distinguibili dai garibaldini vestiti allo stesso modo. Pertanto chi può dire che nel campo di battaglia combatterono le due brigate lombarde piuttosto che i galeotti siciliani? Sta di fatto che la ferocia messa in campo li accomunava come fratelli, e per tanto non potendo discernere fra i due gruppi quale fosse più assassino degli altri, divennero eroi tutti quanti. Noi celebriamo nelle nostre strade questa gente, comandata da un capo che per taluni adepti, ha dimostrato di saperli comandare, immedesimandosi con essi e per ironia di sventura, viene ancora annoverato padre della patria legittimandolo in luoghi pubblici a futura memoria. Messina come tante realtà civiche italiane rinnovano questo esempio. Oggi sarebbe arrivato il tempo di smacchiare questa macchia che tutti ci insudicia. Per quanto mi riguarda, trovo il progetto del consigliere Salvatore Sorbello di dedicare l’attuale corso Garibaldi alla Madonna Assunta ricevibile nei tempi e nei modi previsti dalle leggi vigenti; invitando i nuovi oppositori a dimostrarsi innanzitutto messinesi prima ancora che italiani. Le loro esigenze commerciali rispettabilissime possono essere comunque ovviate, con una dose di buona volontà. Insistere a mantenere il «Brand Garibaldi» come atto distintivo, non credo che alla lunga porterà vantaggi commerciali, man mano che la verità storica prenderà piede fra le nostre comunità.

                                                                                                          

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