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- di Maria Teresa Prestigiacomo -

Catania.  Si svolgerà a Catania l'Anteprima WINE NOTES con l?orchestra da Camera di MessinaGiovanni Ferrauto direttore , con la partecipazione straordinaria del Trio Syrinx e Antero Arena primo violino

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- di Dr. Roberto PILOT -

La gnatologia (dal greco antico Gnatus = mascella e Logos = parola, discorso) e' una branca dell'odontoiatria che si occupa del funzionamento dei mascellari e di tutto ciò che ad essi è connesso: articolazione-temporo-mandibolare, muscoli, fasce, lingua e quella parte del sistema nervoso che riceve, controlla ed elabora le informazioni provenienti da tali distretti. Il medico che si interessa di gnatologia si chiama gnatologo.

Cos’è il bite?

Con il termine “bite" intendiamo una placca in resina acrilica trasparente che interposta tra le arcate dentarie serve per correggere ed alleviare diversi disturbi mandibolari. La parola è di origine inglese e significa “morso” proprio perché è interposto tra le arcate dentarie. Viene generalmente utilizzato durante il riposo notturno per alleviare i disturbi diurni delle articolazioni temporo-mandibolari. Mediante il bite è possibile intervenire in diverse patologie, tra le quali possiamo includere: il digrignamento dei denti o bruxismo, la malocclusione dentale, il russare e la Disfunzione Cranio-Cervico-Mandibolare (D.C.C.M.).

Quando è necessario il bite dentale?

il bite dentale è utilizzato nel trattamento per correggere il bruxismo, uno dei disturbi più diffusi tra la popolazione. Il bruxista è colui che serra e digrigna involontariamente i denti; tale fenomeno si palesa soprattutto durante la notte. Recenti studi, hanno confermato che tra i fattori che determinano il bruxismo, ci sono, tra gli altri, lo stress ed uno scorretto allineamento dei denti specialmente nel rapporto tra le arcate dentarie. Il bite ha il compito, in questo caso, di scaricare la pressione esercitata dai muscoli sulla placca di resina anziché sui denti. Un uso costante permetterà di rilassare sempre più i muscoli sia della mandibola che di tutti quelli del distretto collo e testa.

E’ stato dimostrato infatti che esiste uno stretto legame tra l’apparato dentario masticatorio e il sistema posturale. Arcate dentarie non perfette e che digrignano possono provocare specifici dolori dell’apparato muscolo-scheletrico. Risulta evidente pertanto che oltre al lieve consumo dello smalto dentale può insorgere anche un grave problema posturale. Viene facile comprendere dopo tali premesse che Bruxismo e malocclusione possono spesso presentarsi nel soggetto contemporaneamente e le conseguenze possono essere anche problematiche nella zona dorsale della schiena.

Un uso corretto del bite potrà quindi risolvere anche problemi al collo e alla colonna vertebrale.

L’impiego del bite è consigliato anche quando ci si trova di fronte ad una malocclusione dentaria. S’intende con questo termine un allineamento scorretto delle arcate dentali quando il soggetto chiude la bocca. In questo caso le forze interne ed esterne del volto sono esercitate in modo anomalo e determinano tensione ai muscoli del viso con conseguenza di dolore. Lo gnatologo potrà intervenire, insieme all’ortodontista, attraverso un bite, al miglioramento del sistema posturale ed anche su eventuali mal di testa e mal di schiena.

l periodo di utilizzo del bite dentale varia in base alla patologia riscontrata.

Il bite trova indicazione principale nella Disfunzione cranio-cervico-mandibolare (D.C.C.M.)

Cos’è una Disfunzione Cranio-Cervico-Mandibolare (D.C.C.M.)?

La D.C.C.M. è la espressione clinica di una disfunzione delle articolazioni temporo-mandibolari. In questi casi le manifestazioni sia disfunzionali che sintomatologiche, si manifestano sia in sede locale ma anche generale, con coinvolgimento anche cranio-cervicale (capogiri, dolori all'orecchio, abbassamento dell'udito, fischi e ronzii, dolori cervicali, torcicollo, formicolio alle spalle, agli arti superiori, alle mani, parestesie, etc).

In particolare in questi casi il bite diventa uno strumento in mano allo gnatologo per ristabilire i corretti rapporti dell’articolazione temporo-mandibolare e pertanto necessita di continui aggiustamenti ed equilibrature al fine di risolvere l’incoordinazione del menisco articolare. Tale trattamento dura in genere almeno sei mesi.

Come utilizzare il bite?

L’utilizzo del bite è molto semplice. Il bite bisogna inserirlo tra le arcate e fissarlo come indicato dal dentista. L’apparecchio è utilizzato nella maggior parte dei casi di notte.

Il bite diventa così un cuscinetto per ammortizzare le pressioni involontarie e riposizionare la mandibola nei giusti rapporti scheletrici.  E’ uno strumento molto pratico e con pochissime controindicazioni d’uso. La sua leggerezza e semplicità lo rende facile da rimuovere al mattino; deve essere sempre igienizzato dopo l’uso.

- di Giuseppe RANDO -

L’ultima gita dell’Associazione Culturale “Archimede” ha toccato, nella giornata di domenica 25 febbraio, due centri rinomati della geografia verghiana: Vizzini, dove il genio catanese nacque il 2 settembre (o il 31 agosto) del 1840, forse nella contrada di Tebidi, e Mineo, città natale di Luigi Capuana, non molto distante da Vizzini. Impeccabile, come al solito, la regia del professore Pietro Cavallaro.

A Vizzini siamo arrivati alle 10,30 di una mattinata piovigginosa (ma meno di quanto si temeva), accolti da due splendide guide e dalla gentilissima presidente della proloco accompagnata da alcuni signori del direttivo.

Già, in pullman, chi scrive aveva dato qualche sapida informazione sul Verga, siciliano tosto, catanese spertu e donnaiolo impenitente, paladino della famiglia, come trincea dei valori (contro i disvalori della dilagante, libertina cultura piemontese), ma renitente al matrimonio; campione riconosciuto del Verismo (hanno il marchio del vero le storie narrate nei capolavori e a Vizzini sono ambientati, tra l’altro, “Mastro don Gesualdo” e “Cavalleria rusticana”), grandioso innovatore e inventore, di fatto, del romanzo novecentesco (policentrico, aperto, plurifocalizzato, mescidato di lingua e dialetto), nonché testimone e interprete, già con Nedda (1874), dello stato miserevole in cui erano ridotti i contadini siciliani, ma moderato e viepiù diffidente nei confronti della Sinistra, sul terreno propriamente politico.

Abbiamo dapprima visitato, a Vizzini, il palazzo Trao, ammirandone la perfetta conservazione e i numerosi reperti verghiani in esso conservati (le fotografie veriste di Verga e la documentazione relativa alla Cavalleria rusticana musicata da Pietro Mascagni hanno attirato l’attenzione di tutti); abbiamo quindi perlustrato, aprendo e chiudendo gli ombrelli, altri luoghi vizziniani immortalati da Verga (palazzo Sganci, la Cattedrale, la casa di Lola, la casa di Santuzza, il palazzo Verga ecc.). La pioggia intermittente e il freddo non ci hanno tolto il piacere della visione.

Al piacere del palato ha provveduto il pranzo in un’accogliente trattoria “fuori porta”, dove i messinesi conquistati hanno peraltro comprato, prima di uscire, salamini, provole e ricotte ancora calde.

Come aveva previsto il professore Cavallaro, mentre pranzavamo sono scomparse le nuvole ed è ritornato il sole («na rama i suli»), che ci ha accompagnato a Mineo, dove abbiamo visitato la Casa-Museo di Luigi Capuana, piena di oggetti della cultura contadina e di libri: ha incuriosito tutti la macchina fotografica con cui Capuana, noto spiritista (lui, Pirandello e qualche amico di passaggio, seduti attorno al tavolo di tre gambe, evocavano gli spiriti dei trapassati) avrebbe addirittura fotografato un ectoplasma, ma Piero Angela non ci crede. Fotografie a iosa di fotografi improvvisati. Aspettiamo tutti, con ansia, le perfette fotografie e il film spettacolare del professore Tanino Beccaria.

 - La Redazione -

Domenica 25 Febbraio, alle ore 16:30, presso il Salone delle Bandiere del Comune di Messina, si è tenuta la Cerimonia di Premiazione della I Edizione del Concorso Nazionale di Poesia “Versi di pace” 2017.

L’evento, organizzato dalla R.D.P. Eventi di Renato Di Pane, è stato patrocinato moralmente dall’Associazione Nazionale del Fante di Messina (Ric. Min. Dif.) e dal CO.B.-G.E. (Inspired ONU-UNESCO-OMS), presieduti dal Comm. O.M.R.I. Prof. Domenico Venuti, Consigliere Nazionale A.N.F. per la regione Sicilia e dall’associazione “Terra di Gesù ONLUS”, presieduta dal Dott. Francesco Certo, noto cardiologo messinese.

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Vincitori del Concorso sono stati la poetessa campana Rita Cottone, per le sezioni in lingua e il poeta siciliano Francesco Billeci, per le sezioni dialettali.

Molto toccante è stata l’apertura della cerimonia con l’inno nazionale di Mameli.

Momento di grande commozione è stata la consegna di una targa alla memoria del compianto poeta calabrese Giuseppe Bennardo, venuto a mancare in concomitanza dell’evento, omaggiato da Renato Di Pane con la declamazione della poesia partecipante al Concorso, intitolata “I bambini di Aleppo”.

Le opere dei poeti, provenienti da ogni parte d’Italia, sono state declamate dalla fine dicitrice letteraria Clara Russo e dall’attore Francesco Micari, i quali si sono anche esibiti in un duetto poetico molto accorato.

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Gli intermezzi musicali sono stati curati dal bravissimo cantante Mimmo Ambriano, accompagnato come sempre dalla sua fedelissima chitarra, il quale ha riproposto vecchie canzoni siciliane.

Sono intervenuti, emozionando il numeroso pubblico presente, la maestra Antonella Gargano e il poeta Pierpaolo La Spina, proponendo un connubio tra danza e poesia.

Alla fine della cerimonia è stato conferito all’On. Avv. Giovanni Ardizzone il prestigioso Premio Internazionale “William Shakespeare”, ideato e promosso dal Comm. O.M.R.I. Prof. Domenico Venuti, il quale ha anche donato un suo disegno al Ch.mo Prof. Michele Limosani, ordinario di Economia Politica e Prorettore all’Università degli Studi di Messina.  

Ha presentato l’evento, in maniera impeccabile, lo scrittore e poeta Renato Di Pane.

                                                            

RICEVIAMO - Rag. Mario Biancuzzo Consigliere VI Municipalità Comune di Messina

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 Al Signor Assessore Ambiente          Comune Messina

Al Signor Dirigente Terza Direzione Viabilità

                                                                     Città Metropolitana Messina

OGGETTO: STRADA PROVINCIALE TONO - FARO SUPERIORE CON BUCHE   UTILIZZATA DA SCARICATORI SENZA RISPETTO

Faccio presente che la strada provinciale Tono Faro Superiore è stata utilizzata da qualche scaricatore che,senza scrupoli, ha abbandonato materiale inquinante sulla strada. Sono convinto che qualche padroncino con mezzo capiente munito di ribaltabile ha provveduto, sicuramente di notte aiutato dalla totale mancanza di illuminazione pubblica, a depositare una abbondante massa di detriti edili, terra da riporto e frigoriferi sulla strada provinciale, utilizzandola come discarica inquinando l’ambiente e la nostra vita.

Sterro e buche sulla strada Tono Faro Superiore 002

Ma non solo la strada si presenta con numerose buche e crea disagi ai mezzi in transito. Infatti ho accertato, personalmente, recandomi sui luoghi che i veicoli si debbono spostare forzatamente sulla carreggiata opposta per evitare le buche numerose.

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Premesso ciò chiedo:

  1. al Signor assessore all’ambiente del Comune di Messina un autorevole intervento sui responsabili del settore per eliminare tutto il materiale abbandonato dagli sfregiatori criminali. Necessita un mezzo meccanico ed un camion capiente per eliminare tutto il materiale inquinante per essere smaltito.
  2. Al Signor dirigente alla viabilità Città Metropolitana di Messina di voler intervenire sui responsabili manutenzione strade per la ricolmatura delle buche esistenti ed accertate e valutare eventualmente se è necessario il rifacimento del tappetino di asfalto in alcuni tratti sulla strada provinciale che collega la frazione di Tono con Faro Superiore.

Sicuro e certo di una benevola accoglienza porgo distinti saluti

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- di Maria Teresa Prestigiacomo -

Messina.''Il cielo dorme sugli storici reperti di vibranti silenzi.Buongiorno !
Messina, via merli e malvizzi : porta del Tirone.''Cosi scrive il poeta Giuseppe Paolo Di Bella su Facebook, osservando la porta del famoso quartiere del Tirone, dove quell' imponente muro ci ricorda l imperatore  Carlo V , nativo di Gand nel Belgio, quell' imperatore che passò da quelle vie....e da Via Porta Imperiale, appunto, ma che oggi su rovescerebbe  nella tomba se vedesse un simile scempio,  a Messina.Ci chiediamo: abbiamo rispetto per quel poco di memoria a storica che ci è  rimasta in questa città dello Stretto, martoriata dai terremoti? Quei meravigliosi progetti di riqualificazione del Tirone con laboratori d arte ed artigianato redatti dall' Università  di Reggio Calabria dove sono finiti?In cima al Via Italia da cui parte il Tirone (partiva da Montepiselli) un fabbro continua il suo lavoro concorrendo a non far crollare almeno i  suoi locali nel quartiere...Oggi, almeno, la sensibilità del poeta ci riporta alla nostra attrazione  una parte di una  piccola- grande Storia di Messina.

Sabato 3 marzo per tutta la giornata potrai acquistare beni per il sostentamento della Casa della Misericordia e la Casa Moscati presso il Simply di San Licandro.

- di Maria Portovenero -  

La valle del Camaro ha assunto connotazioni specifiche nel corso dei secoli a causa, principalmente, della sua prossimità con il centro cittadino di cui rappresentava l’ideale demarcazione del confine meridionale. Per la stessa motivazione, pertanto, la valle era destinata ad essere totalmente assorbita dalla città. Le tradizioni religiose e le leggende legate alla storia di Messina testimoniano l’esistenza di questo stretto rapporto e non a caso i mitici fondatori della città provengono da Camaro. La storia della valle in età classica non è sufficientemente documentata anche se certamente Greci e Romani passarono per questi luoghi come testimoniano alcuni importanti ritrovamenti archeologici.

Per quanto concerne il toponimo Camaro, sono varie le ipotesi avanzate. Il termine potrebbe derivare dal greco “Kamar”, casa dei morti, a testimoniare la presenza di una vasta necropoli classica sviluppatasi lungo tutta la via Santa Marta e da piazza del Popolo fino al viadotto ferroviario.

In origine le acque del torrente, prive di un letto naturale ben definito, si diramavano lungo tre direzioni principali e scorrevano copiose per tutta l’ampia pianura alluvionale fino al porto. Un primo tracciato del percorso del Camaro era quello costituito dall’attuale via Santa Marta e questo percorso ha segnato, fin dalle origine, i confini dell’abitato. Altre due diramazioni erano quelle che percorrevano l’odierna Via Santa Cecilia e il Viale Europa. La portata delle acque già abbondanti, era ulteriormente ingrossata dagli innesti di diversi affluenti come il Catarratti e questo rendeva l’intera valle estremamente ostile a qualsiasi insediamento abitativo. Nel corso del Cinquecento, in seguito al progressivo disboscamento dei monti Peloritani e alla deviazione delle acque sorgive verso l’acquedotto civico realizzato da Francesco La Cameola (1530/1547), si rendono possibili le primi edificazioni lungo il tratto iniziale del Dromo Grande. E’ a questa stessa epoca che risalgono anche tracce di insediamento negli attuali villaggi di Camaro Superiore e Catarratti mentre nei secoli successivi, tra Settecento e Ottocento, ville rustiche e abitazioni sorgono lungo le rive del torrente. La valle, infatti, in questo periodo assume una connotazione prevalentemente agricola con oliveti, vigneti e agrumeti sistemati sul declivio delle colline e di proprietà di nobili famiglie messinesi. Il disboscamento della cosiddetta “foresta di Camaro” fu il principale responsabile delle continue alluvioni che interessarono la zona lungo tutto il corso del secolo. La foresta era di proprietà dei Padri Basiliani del SS. Salvatore dei Greci che affittarono i vasti territori boschivi a pastori e allevatori di bestiame. In seguito alla sistemazione del bacino alluvionale e al ripristino del patrimonio edilizio della valle attraverso la costruzione di potenti argini agli alvei fluviali, fu possibile contenere gli effetti disastrosi delle alluvioni e ridare nuovo slancio a questi territori. Il rimboschimento divenne obbligatorio per legge nel 1874 e, nonostante i lavori fossero stati condotti in maniera discontinua, diedero risultati soddisfacenti in tempi brevi. Fin dalle sue origini il casale di Camaro fu autonomo e solo dopo l’unità d’Italia iniziò una reale integrazione con la città anche in seguito alla costruzione del viadotto ferroviario.

Nella valle esistevano già cave di calcare che furono ampiamente sfruttate durante i lavori per la rete ferrata. La costruzione dell’imponente viadotto e di una stazione ferroviaria allo sbocco della galleria dei Peloritani, determinò un mutamento notevole degli assetti territoriali a causa anche dell’apertura di una enorme cava di pietrame a monte di contrada Luce.

Durante questi lavori, all’interno delle proprietà della famiglia Bucca, furono rinvenuti numerosi reperti a testimonianza della presenza di importanti sepolcreti che si estendevano lungo tutto il viadotto. Tali resti, purtroppo, andarono dispersi in seguito al disastroso terremoto del 1908. L’unica testimonianza probabilmente imputabile a tale contesto, potrebbe essere il rilievo su calcare bianco raffigurante tre figure femminili di tipo matronale coronate, viste di prospetto. La sua datazione risale probabilmente al quinto secolo avanti Cristo e il reperto sarebbe connesso ad un luogo di culto dedicato a Demetra e Persefone. E’ possibile, oggi, ammirare il rilievo all’interno del Museo Archeologico di Siracusa.

Il terremoto del 1908 contribuì a modificare ulteriormente il paesaggio urbanistico della valle. La popolazione, infatti, aumentò notevolmente a causa della presenza degli sfollati provenienti dalla città che trovarono sistemazione in vasti baraccamenti nelle zone limitrofe, alcuni dei quali ancora presenti.

Lungo il torrente sorgono anche le case del rione Casalotto di Camaro: si tratta di costruzioni risalenti al tardo Ottocento e successive alle alluvioni che hanno radicalmente modificato l’assetto paesaggistico. Sulla sponda Sud sorge Villa Loffredo, dimora patrizia del tardo Ottocento: sul muro di cinta sono conservati i resti di una fontana datata 1862 e ornata da due stemmi civici e da uno stemma gentilizio.

Sulla collina Pietrazza che domina la valle sorge il forte omonimo di età umbertina, struttura essenziale e priva di molti dei connotati che caratterizzano altri forti presenti sul territorio messinese e risalenti allo stesso periodo.

Il villaggio di Camaro Superiore si sviluppa lungo un impianto a semicerchio. Le contrade intorno al casale (Faraone, Luce, S. Nicola) conservano interessanti edifici settecenteschi. Prima di giungere alla piazza del villaggio, si incontra la moderna icona della Madonna della Lettera costruita al posto di un’edicola del 1906 e al cui interno è conservata la vecchia statua policroma della Madonna della Lettera del 1941. Nel cuore dell’abitato sorge la chiesetta di S.Maria delle Grazie e di S. Giovanni Battista risalente al 1877: il semplice prospetto sormontato dal campanile a vela, è ispirato all’ecletticismo neorinascimentale corrente all’epoca. L’interno a navata rettangolare conserva una pittoresca raccolta di statue policrome, stampe e cromolitografie ottocentesche di notevole interesse etnografico.

Risalendo per via Chiesa Vecchia si notano i pochi ruderi supertisti dell’antica chiesa parrocchiale di S. Giacomo: è riconoscibile il presbiterio con una cornice e tracce di stucchi. L’attuale chiesa, invece, fu costruita intorno al 1930. Appartenevano alla chiesa vecchia con certezza gli altari settecenteschi in marmi policromi intarsiati di S. Giacomo e S. Giuseppe; incerta è invece la provenienza dell’acquasantiera cinquecentesca, di alcuni paliotti intarsiati e degli stessi marmi del grandioso altare maggiore che sembra presentare integrazioni e restauri. La maggiore opera d’arte del tempio è la celebre tavola di S. Giacomo di Polidoro Caldara da Caravaggio. Altro pregevole dipinto è la Consegna delle chiavi a S. Pietro, opera di scuola polidoresca. Appartenevano con ogni probabilità alla vecchia chiesa altri dipinti: le Stimmate di S. Francesco, opera cinquecentesca; una settecentesca Madonna del Rosario con quindici quadretti raffiguranti i misteri del Rosario; una Madonna della Lettera con un santo vescovo, forse S.Nicola, sempre di ignoto settecentesco. Appartiene quasi certamente al patrimonio originale un curioso quadro del 1841, di fattura popolare raffigurante un evento miracoloso avvenuto in occasione di un tentativo di sottrarre la preziosa vara argentea di S. Giacomo. Nel dipinto è raffigurato un panorama della valle con gli argini del torrente, la chiesa di Camaro e il forte Gonzaga e questo ci permette di avere una raffigurazione pressoché fedele del paesaggio dell’epoca.

Di grande pregio risulta la vara argentea di S. Giacomo che è stata sottoposta a restauri nel 1890 e nel 1966. Fu commissionata nel 1666 a Pietro Iuvarra i cui marchi si leggono sul basamento dell’opera mentre la statua è opera di Francesco Donia. Altro prezioso argento custodito all’interno della chiesa è un reliquiario datato 1837 di fattezze settecentesche con qualche inserto neoclassico.

A valle del casale, in contrada Faraone, si trova un grande fabbricato rustico noto come “la fabbrica dell’aceto” . Intorno all’ex casa Ruffo, è possibile ammirare alcuni elementi settecenteschi di pregio mentre nel giardino antistante è collocata una fontana costruita da Antonio Spadafora e Ruffo nel 1722 con un mascherone grottesco. Poco distante è visibile un’icona settecentesca probabilmente raffigurante S. Giacomo o S. Nicola .

Superata la piazzetta di Camaro si attraversa contrada Luce. Qui è possibile ammirare una fontana rinascimentale, Fontana Grande, con un mascherone ormai molto usurato dal tempo mentre sulla sponda del torrente è visibile una icona della Madonna Incoronata col Bambino su tavoletta di marmo. Contrada Luce costituisce la parte più tradizionale dell’abitato. Il territorio è caratterizzato dalla presenza della chiesa di S. Maria della Luce con porta settecentesca. Il suo impianto è probabilmente medievale anche se non si esclude che le sua attuale struttura sia di impronta seicentesca. E’ evidente l’analogia tra la chiesa e i monasteri basiliani che erano tradizionalmente collocati a monte dei torrenti per poter dominare e, di conseguenza, controllare l’intera valle come nel caso di Mili e S. Filippo.

Risalendo la valle del torrente si giunge al santuario della Madonnuzza dedicato all’Addolorata ed edificato nel 1911 su terreno donato dalla famiglia Stagno D’Alcontres.

Bibliografia

Basile F., Lineamenti della storia artistica di Messina: la città dell’Ottocento, Messina 1980.

Chillemi F., I casali di Messina, strutture urbane e patrimonio artistico, Messina 1995.

Consoli G., Opere d’arte restaurate (1965/69), Messina 1970.

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