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  Il complesso monumentale di San Giovanni di Malta - San Placido e Compagni Martiri in collaborazione con il Liceo Classico "Francesco Maurolico" ospiterà Venerdì 13 Gennaio alcune iniziative della III Edizione della "Notte Nazionale del Liceo Classico”. La scelta del Liceo diretto dal Prof. Rosario Abate è caduta sulla chiesa fondata da San Placido nel 535 in quanto al suo interno si trova la tomba dello stesso Francesco Maurolico. Per l'occasione la Chiesa di San Giovanni di Malta e l'annesso Museo del Tesoro di San Placido rimarranno aperti straordinariamente dalle 18.00 alle 22.00 ed ai partecipanti si offrirà il seguente programma, stilato in collaborazione con l'Associazione Aura. La serata si aprirà alle ore 19.00 con l'omaggio floreale alla tomba Francesco Maurolico per proseguire con il saluto del Rettore Mons. Angelo Oteri e della Vice Preside Prof.ssa Teresa Schirò. Alle ore 19.15 presentazione del romanzo storico "L'eredità del Sapiente" dello studente Vittorio Lorenzo Tumeo, introduce il Dott. Marco Grassi e conversa con l'autore lo scrittore Dott. Giuseppe Ruggeri. Alle 19.45 intermezzo musicale con Maria Carla Vicinanza al violino e Carolina Cusmano al canto. Al termine intervento della Dott. Francesca Mangano, Presidente dell'Associazione Aura, che guiderà i presenti alla scoperta della Chiesa di San Giovanni di Malta. Un evento che vuole dare maggiore conoscenza al luogo di sepoltura del celebre matematico, umanista e naturalista messinese nella cui tomba risalente alla fine del XVI secolo è presente un lunga iscrizione dove tra l'altro compaiono questi due interessanti passaggi: "...e da ogni parte e da luoghi lontanissimi qui venivano, spinti dal desiderio di conoscerlo ed ascoltarlo..." e "...Messina generò anche te, o Maurolico, perchè la Sicilia non si gloriasse soltanto dell'antico saggio siracusano...".

La Presidente Francesca Mangano  

 

 

Il 27 gennaio 2017, presso l’Arena Kioene (ex Palafabris) di Padova, andrà in scena "We are the World, we are UniPD" un imperdibile spettacolo di beneficienza su musiche di Michael Jackson, il Re del Pop scomparso nel 2009. I fondi raccolti verranno utilizzati per consentire a studenti dell’Università di Padova con disabilità (immunodepressi, infortunati, con malattie neurologiche... ecc.) di seguire i corsi da casa o dai luoghi di ricovero e terminare i loro studi.

Questa finalità è stata ispirata da un’esperienza concreta di Sammy Basso, studente presso l’Ateneo di Padova e noto volto televisivo per aver raccontato tramite i media la sua esperienza di vita con la Progeria, una rara malattia genetica che causa un acceleramento dell’invecchiamento sin dalla nascita, con grossi problemi cardiaci e muscolari.

Lo spettacolo sarà condotto da Leandro Barsotti e riunirà, attorno alla figura di Sammy, la cantante Barbara Capaccioli e il suo gruppo vocale Polifonia Choir, Vittorio Matteucci, Chiara Luppi, Giovanna Lubjan, Marta Facco, Stevie Biondi, Kenneth Bailey, Valentino Favotto (pianista di Riccardo Fogli), Amudi Safa (chitarrista di Sergio Cortes, l’impersonator di Michael Jackson più famoso al mondo), le danzatrici della Simple Company dirette da Elena Borgatti, Marco e Pippo (l'unico duo che è un trio) e tanti altri artisti eccezionali.

Parteciperà alla serata anche Daniel Morandin, campione mondiale di pattinaggio artistico, insieme ad un gruppo di colleghi campioni, sempre della "scuderia" Roll Club di Padova, per dar vita ad un originalissimo spettacolo "Pop on the Roll". Al nutrito cast di ospiti si aggiungeranno Francesco Bettella (2 argenti alle Paraolimpiadi di Rio), Rossano Galtarossa (6 olimpiadi) e molti altri sportivi.

L’evento, organizzato dall’Associazione Vox Inside con la collaborazione dell’Associazione Progeria Italia (A.I.Pro.Sa.B.), è stato ideato da Barbara Capaccioli e Giuseppe Cortese, risp. presidente e vicepresidente della Vox Inside.

Oltre all’Associazione A.I.Pro.Sa.B. ONLUS, all’Università di Padova, ai Comuni di Padova e Montegrotto, alla Provincia di Padova e alla Regione Veneto, altre 7 Onlus (Ail, Aism, Città della speranza, Comunità di Sant’Egidio, ecc…) sostengono e patrocinano questo progetto.

BIGLIETTERIA ONLINE:

www.vox-inside.it/biglietti

PUNTI VENDITA:

Atelier Silvy Spose, Padova - KalaMitica, Ponte San Nicolò (PD)

INFORMAZIONI:

telefono: 339 2545866 - 338 8592848

email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

FOTO MICO MONE VIOLINISTA CM 51 X 25 X 25- di Gennaro Galdi -

 

Bruxelles. A pochi metri dalla gotica Notre Dame du Sablon ed a 100 metri dalla Place Louise, alla presenza del console italiano a Bruxelles (facente funzioni) la dott.ssa Emilia Coviello e con illustri personalità come il direttore del gjornale italiano di Bruxelles, il pugliese Laraspata e con invitati illustri, come un noto imprenditore indiano e con le delizie del caseificio Inpiccihè di Petrosino ( Trapani) e dell’Azienda Zirilli e Figli e quindi con i loro vini, si è svolta la mostra del pittore e scultore Mico Mone, una presenza prestigiosa, nella capitale europea, sulla via rue de Regence una delle vie più importanti di Bruxelles, quella che vede sfilare in luglio il corteo della regina, rue che conduce al Palazzo Reale. Mico Mone è stato presentato dal noto critico d ‘arte internazionale la professoressa Maria Teresa Prestigiacomo, giornalista, (presidente dell’Accademia Euromediterranea delle Arti) critico che l’artista ha scelto espressamente, dall’Albania, per la sua presentazione nella città più importante d’Europa, laddove si tracciano i destini delle nostre Nazioni. Il pubblico esigente bruxellois, come qui si dice, ha molto apprezzato, nella città di Magritte, le opere del maestro Mico Mone ed ha gustato il suo prestigioso catalogo dall elegante veste editoriale che mostra l’attività dell’artista che nel 2014 già poteva vantare una ricca produzione di 70 sculture in marmo 30 in terracotta 30 in bronzo e 100 quadri olio su tela.

Mico Mone è iscritto dal 2009 alla Società di Belle Arti di Verona: dopo le vicissitudini trascorse a causa dei disordini in Albania, il suo paese natale, vive ed opera nella città di Romeo e Giulietta, con brillante successo, affermandosi come uno dei più importanti scultori d’Europa.Scrive il critico Maria Teresa Prestigiacomo: “ Mico Mone è un pittore straordinario, “d’altri tempi” si potrebbe definire per la bellezza delle sue opere, per la raffinatezza del tratto, per l eleganza dei colori, per la raffinatezza dell’impianto scenico delle sue creazioni plastiche, per i suoi piani e volumi, scolpiti attraverso le sue sculture che rivelano tratti dinamici ed esprimono sempre il profilo psicologico dei personaggi rappresentati ed il calore dell’esistenza vissuta pienamente nella bellezza del tempo trascorso e nell’eternità dell’arte; gli stessi titoli introducono ad un narrato che racconta storie di amori e di amicizia di sogni e di serena contemplazione del paesaggio, raccontano dell’anima del violinista e dell’anima delle donne sognatrici come nell ‘opera La ragazza delle onde” che l’artista sembra dedicare al nostro Stretto di Messina, al nostro Mediterraneo.”

Insieme al critico, erano presenti il prof Belfiore, la venezuelana Garcia e illustri componenti delle Commissioni europee, per apprezzare le opere di Nico Mone, un artista di sicuro investimento e di eccellente qualità.

 FOTO MICO MONE ECLISSI OLIO SU TELA 1994

 

Al Sig. Comandante il Corpo dei Vigili Urbani di Messina, Calogero Ferlisi, nella mia qualità di responsabile del sito, desidero esprimere la mia affettuosità per avermi permesso di divulgare la Storia del Corpo .

Personalmente, Le rivolgo un affettuoso saluto e un augurio di buon lavoro, ricordando Suo padre Angelo Ferlisi M.M.A che mi è stato maestro ed amico per oltre 15anni, durante il servizio svolto nell’Arma dei Carabinieri.

Alla Sezione Organizzazione Ricerche e Studi ed in particolare al Vigile Giuseppe Tomasello che mi ha fornito il libro “ AL SERVIZIO DI MESSINA Storia delle Guardie Municipali” di cui è l’autore.

A tutti i Sigg.ri Vigili Urbani di Messina, che dedicano il loro quotidiano lavoro al servizio della cittadinanza, esprimo un doveroso senso di riconoscenza .

  

Rosario Fodale

 

 

La sciabola è stato ed è uno degli elementi fondamentali dell'armamento delle Guardie Municipali, prevista già nei vari regolamenti,venne poi confermata e precisata negli articoli dedicati al Regolamento per le uniformi.

Il termine sciabola, quale arma bianca manesca, risale al XVII secolo, ed è di probabile derivazione araba. E' sempre stata arma caratteristica della Cavalleria leggera, per cui quelle prescritte per le Guardie Municipali sono quasi sempre state comuni a quelle della Cavalleria.

Si trattava di un'arma destinata anche alle Guardie semplici e sottufficiali che espletavano servizio a cavallo. Era comunque un'arma in un certo senso su misura che, appartenendo al corredo personale della Guardia, poteva anche essere istoriata su entrambe le facce della lama. I motivi decorativi sull'elsa, secondo un'antica tradizione, rappresentavano lo stemma di Messina.

La documentazione iconografica esistente sulle uniformi e sull'armamento delle Guardie Municipali non è sempre attendibile circa l'adozione e l'uso delle sciabole prescritte. Quelle conservate dall'Armeria del Corpo rispondono a precise caratteristiche mutuate dalle sciabole. Accadeva però a volte che alcuni ufficiali (di ogni Arma in generale e del Corpo di Messina in particolare, in quanto molti degli appartenenti provenivano da altre forze armate e di polizia) adottassero sciabole o pistole "di famiglia" soprattutto per questioni di affezione.Nel 1873, la data presumibile della più vecchia sciabola conservata presso l'Armeria del Corpo, la sciabola ha una lama lunga mm. 830, larga mm. 18, ed una lunghezza totale di mm. 98 con lama istoriata ed elsa in ottone. La sciabola in dotazione alle guardie semplici aveva invece l'elsa in acciaio.

 dal libro "Al Servizio di Messina" Storia delle Guardie Municipali di Giuseppe Tomasello

 

È del 1838 il primo accenno alla creazione nei “reali dominii oltre il Faro” di una forza nuova, sicuramente riconducibile a quello che oggi è il Corpo di Polizia Municipale di Messina. Un decreto di re Ferdinando riporta: ".(...) sarà organizzata una Guardia urbana in ogni comune(...). Le guardie urbane in servizio porteranno il fucile con la bajonetta corrispondente, ed il distintivo della coccarda rossa al cappello.(...)

E’ accordato alle guardie urbane il permesso di detenere un fucile, ed asportarlo anche fuori servizio,(...).

Nel 1839 una direttiva sul Giornale dell’Intendenza si rivolgeva: “Ai Signori Sottintendenti, Regi Giudici, ispettori di polizia”: (...)

La guardia urbana istituita in ciascun comune (…) è una milizia civile, la quale mira a nobilissimo scopo. La sua importanza di leggieri si scorge allorché pongasi mente che essa rivolger debbe ogni sua cura al mantenimento dell’ordine interno e alla sicurezza delle persone e delle sostanze dei cittadini (…).

Successivamente, nel 1848, i più risoluti mossero da diversi punti della città sventolando il vessillo tricolore in una corale rivolta antiborbonica. Il 5 gennaio cessava di fatto ogni autorità dei Borboni.

Dal punto di vista dell’ordine pubblico le cose non andavano bene. Nella città, infatti, al patriottismo si era mescolata una forte criminalità: numerosi furti, aggressioni, omicidi, imponevano il rafforzamento del Servizio di Sicurezza interno.

L’arrivo da tutta la Sicilia di squadre di volontari antiborbonici fu un elemento di ulteriore disordine e vendette politiche.

Il 28 Marzo 1848 apparve il seguente “Avviso al Popolo”:

Tutti coloro che vogliono appartenere al Corpo della Guardia Municipale, possono da oggi in poi, rilasciare le loro domande nel posto della SS. Annunziata.

Si avverte che ogni Guardia avrà il soldo di tarì tre al giorno e il vestiario.

Messina 28 marzo 1848

Il Capitano della Guardia Municipale F. SACCA’

Quest'avviso segna l'inizio del Corpo delle Guardie Municipali come organismo unitario dell'Ente Comune; fino ad allora, infatti, le guardie urbane erano distribuite nei villaggi e casali periferici di Messina.

Scrive l’Oliva: “19 Aprile 1848 – Il servizio dell’interna sicurezza è stato oggi interamente assunto dalla Guardia Nazionale e da due Compagnie di Guardie Municipali (...).

Il 6 giugno in seguito “alle fazioni gloriose di ieri e di stanotte”, Antonio Pracanica Commissario del Potere Esecutivo con un proclama sottolineava: “(…) ogni cittadino dovette lodarsi della nobile intrepidezza ed alacrità, con cui la Guardia Nazionale, la Municipale, le squadre, i corpi del Genio e dell’artiglieria, (…) mossero colla rapidità del baleno dove più minacciava il pericolo”. (…) Un istante di riposo non concedevano alle loro membra travagliate e combattute. Né mai avrebbero curato di ingoiare un sorso d’acqua (…)

Messina era quasi alla capitolazione – Fu il capo dei Municipali Bonanno (nel frattempo subentrato al Saccà) (…), cittadino animoso, trovandosi presente alle discussioni del Consiglio levò alto la voce per proseguire la resistenza con quei pochi mezzi che si avevano, e con le poche forze che ancora rimanevano, in difesa della Patria. Ma le sue generose parole non trovarono eco in alcuno dei capi della forza: egli parlò al deserto.(...)

Così Messina cadde l’8 Settembre 1848, dopo cinque giornate di disperata difesa; ma aspettando con ansia la cacciata dei borboni e la fine dell’odiato governo di Ferdinando II.

Nel 1860 Messina insorse ancora, aspettando con impazienza l’arrivo dei garibaldini; le Guardie Urbane in quel frangente rimasero fedeli all’istituzione comunale anch’essa rivoltatasi contro i borboni, unica forza di polizia in quei giorni convulsi.

Dopo l’Unità, nel 1863 il Corpo delle Guardie Municipali veniva aggregato al corpo dei pompieri come forza ausiliare; contrariamente però a quello che successe in altre città, le Guardie Municipali di Messina non persero mai la propria autonomia.

L’assetto del Corpo venne ridisegnato sullo stile piemontese, ma bisognò attendere il 1866 per sancire la fine del decentramento delle Guardie; infatti da quel momento non vi sono state più Guardie Municipali stanziali nei villaggi e Casali di Messina.

Durante lo stesso periodo scoppiò la “questione morale” che avrebbe interessato il Corpo per più di un trentennio. Il Regolamento dell’epoca accordava la preferenza nell’assunzione ai celibi ed ai vedovi senza prole, in pratica però era diventata prassi assumere esclusivamente guardie celibi o vedove, addirittura licenziando gli ammogliati: qui di seguito qualche brano della divertente seduta consiliare del 1872.

“Il SINDACO presenta una petizione delle Guardie urbane per essere abilitate al matrimonio.

Fa osservare come in applicazione all’ultimo a linea dell’art. 3 del regolamento delle guardie che fra i maritati e i celibi o vedovi senza prole assicura a questi ultimi la preferenza, si è dalla Giunta dato licenziamento alle guardie che hanno contratto matrimonio.(...) Il MARCHESE DI CASSIBILE, appoggiato dal sig. CARNAZZA stima il divieto necessario al buon servizio e si appella alla esperienza che ha chiarito come i celibi han saputo corrispondere ai loro doveri meglio di coloro che hanno cure di famiglia.(...) In pratica, ciò obbligava le Guardie Municipali a rimanere celibi fino al pensionamento. Erano, insomma, delle Guardie-monaci!

Le Guardie fungevano anche da agenti di Polizia Sanitaria ed erano impegnate nella costituzione dei cordoni sanitari per contenere i focolai d’infezione. Proprio per questo erano anche i primi, spesso, ad esserne vittime.

Nel 1887 scoppiò un improvvisa epidemia di colera e, vista l’altissima mortalità, l’ordine pubblico cessò di esistere. In quei giorni il colera colpiva ovunque e le guardie municipali lavorarono senza tregua.

Nel mese di settembre morivano nell’esercizio delle loro funzioni il Vice Comandante delle Guardie Municipali Luigi Celona, e il Brigadiere Giuseppe Randazzo.

Con l’arrivo del nuovo secolo, gli adesso vigili urbani, risentivano del clima particolare che si respirava nel paese; le nuove leve erano di fede socialista o liberal-progressista. Vennero fondate infatti le prime associazioni di Guardie Municipali.

Era una mite serata invernale, quella del 27 dicembre 1908, era domenica e i messinesi, consumato il pranzo, si erano riversati per le strade e nei caffè sin dal primo pomeriggio; il Natale era trascorso da due giorni, e lungo la Via Garibaldi, fiancheggiata da lussuosi negozi, il passeggio fu fittissimo in quella placida sera. Le guardie municipali sorvegliavano discretamente che tutto si svolgesse serenamente, e che i ciclisti non disturbassero i passanti con le loro folli velocità.

Le strade si spopolarono lentamente, sino a farsi deserte all’ora in cui il teatro Vittorio Emanuele, dove si dava l’Aida, aprì i suoi battenti; poi nelle ore piccole ciascuno andò soddisfatto a dormire.

Tutte le Guardie municipali e Pompieri non di servizio rientrarono al Comando (nella caserma del Palazzo Municipale) e nelle due Caserme Mandamentali.

Alle 5 e 20, la prima scossa di terremoto, devastante, seguita e aggravata da un violento maremoto, distruggeva gran parte degli abitati sulle due rive dello Stretto.

Il Palazzo Municipale, dopo essere stato danneggiato dal terremoto, venne sommerso dall’acqua, uccidendo le poche guardie municipali sopravvissute. Rase al suolo pure le due caserme mandamentali, uccidendo tutti gli occupanti.

Una pioggia sporca cominciò a cadere sulla città che non ebbe alba, a causa della polvere delle macerie e del gas fuoriuscito dai lampioni dell’illuminazione pubblica. Messina bruciava in più punti e dovunque si guardasse si scorgevano cadaveri imprigionati fra le macerie: questa volta non c’erano più i pompieri e le guardie municipali ad intervenire.

Il Commissario Salvadori iniziò un imponente serie di deliberazioni d’urgenza con trattativa privata per il ripristino dei Corpi delle Guardie Municipali e Pompieri.

Messina era ancora un cumulo di macerie; malgrado ciò si facevano le cose in grande, se per la ricostituzione del Corpo il R. Commissario stimava per la pianta organica il fabbisogno di 100 tra graduati e guardie, così come i Pompieri; sia i nuovi nominati che i sopravvissuti entrarono in servizio il l Aprile 1910.

La guerra del 1915-18 comportò un rallentamento dei lavori di ricostruzione e solo dopo la Vittoria si ritornò a lavorare. È di questo periodo la formazione della prima “squadra mobile” di vigili in bicicletta.

La partenza della gioventù messinese verso la Grande Guerra coinvolse anche i vigili urbani; assunti tutti dopo il 1910, in base al regolamento molti di loro erano dell’età adatta per essere chiamati alle armi. Ricordiamo le guardie municipali che non tornarono: Arcidiacono Ludovico di Salvatore, D’Arrigo Gaetano di Gaetano, Inferrera Letterio di Mariano, morti in seguito a ferite riportate in combattimento tra Carso e Isonzo.

Altri due i caduti in servizio tra le due guerre: gli agenti Calogero Dulcetta (1923) e Francesco Raffa (1927)

Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra. Anche molti vigili urbani partirono per il fronte, in città rimasero i più anziani; alcuni di loro assunti subito dopo il terremoto del 1908 rimasero in servizio fino a metà degli anni ’50.

A Messina venne istituito l’oscuramento parziale lasciando la città quasi al buio, si succedevano le esercitazioni antiaeree. Il Prefetto vietò la circolazione delle macchine private.

Nonostante la sicurezza del Governo di fronte all’avventura della guerra, la realtà era ben altra; sulla cronaca cittadina apparivano articoli che la smentivano; come quello di un uomo, catturato dai vigili perché aveva sottratto alla libera vendita al minuto cinque quintali di carbone vegetale; o della signora Concetta arrestata perché introdottasi in casa della vicina per rubare del pane appena sfornato.

A Novembre del 1940 la situazione si era ormai deteriorata, i vigili urbani facevano ormai quasi esclusivamente servizio annonario per il controllo e lo smercio di alimenti.

Il 9 gennaio 1941 suonò il primo allarme aereo; Il 15 luglio l’offensiva aerea della RAF attaccò la città per un’ora e mezza; ci furono i primi due morti e la sicurezza ostentata dai messinesi scomparve.

Tra bombardamenti passò tutto il 1941. La situazione peggiorò ulteriormente nel 1942, dal 29 al 31 maggio Messina fu sottoposta a continui e massicci bombardamenti notturni, cominciò l’esodo della popolazione verso i villaggi montani. In città arrivarono i tedeschi.

Fu l’inizio di una nuova tragedia; sotto i bombardamenti fu ridistrutta totalmente la Città.

Il 12 luglio il sessantaseienne Vice Brigadiere Quinci Benedetto, uno dei “ragazzi del 1910” ancora in servizio, morì sotto le bombe.

Dopo l’ arrivo degli Alleati, il comandante dell’ epoca, Gaetano Beccaria rimase ancora al comando per altri due anni; il suo passato di antifascista ne faceva una persona affidabile, con energia strinse le redini del comando impedendo lo sfacelo del Corpo.

Nello stesso anno dell’arrivo degli alleati si mise mano al nuovo regolamento per i vigili depurato da qualsiasi riferimento al disciolto regime.

Nonostante fossero allo stremo i vigili non mollarono; in quel periodo si distinsero nella distribuzione del pane a sfollati e, impiegando i fondi provenienti dalle contravvenzioni, risolsero parecchie emergenze.

Il 1946 vide un nuovo Stato Repubblicano nato dalle macerie della guerra. Ancora una volta il Corpo percorse la strada della Storia insieme alla città per condividere, negli anni dopo la guerra, la seconda ricostruzione della città dopo gli otto mesi di terribili bombardamenti.

Nel frattempo il Corpo si ammodernava, anche con attrezzature che oggi appaiono assurde, se non ridicole. È del 1950 l’acquisto di 3 ombrelloni parasole merlettati di bianco da applicare sulle pedane, per riparare i vigili che dirigevano il traffico dalla calura estiva.

Venne anche consegnato ai vigili il gonfalone del Corpo, segno distintivo dato solo all’ “aristocrazia” dei Corpi dei Vigili italiani.

Nel 1954 venne raggiunto un altro importante traguardo: i vigili di Messina, insieme a quelli di Genova, Milano, Roma, Firenze, rappresentanti quindi dei Corpi più importanti d’Italia, vennero invitati a Parigi dagli omologhi francesi e hanno l’incarico di dirigere il traffico nella Capitale.

Era il giorno della festa del Corpo, il 28 marzo, del 1963, una splendida mattina di sole, ma non per un uomo che si aggirava sulla Circonvallazione, ad un certo punto scavalcò il parapetto e si buttò giù a capofitto.

Il fatto sarebbe rimasto ignorato se una donna, non l’avesse notato e avvertiti i vigili dell’allora vicino Comando.

Fu il trentasettenne Orazio Di Maio, motociclista, che si precipitò a soccorrere il poveretto.

Spinto da un impulso generoso, non esitò a smontare dalla moto, scendere lungo un pericoloso pendio per raggiungere l’uomo e caricateselo sulle spalle lo riportava su, stremato per la tensione nervosa.

Giunto sulla strada, rivolgendosi ad un suo collega, disse: “Mi sento il cuore finire!. ..non resisto più!...”.

Ma non volle ostacolare l’opera di recupero e rimase lì, fino a quando il mancato suicida fu posto nell’ autoambulanza che si diresse verso l’ospedale. Da lì a qualche minuto avveniva poi la morte avvenuta tra le braccia dei suoi colleghi.

L’emozione e l’eccessiva tensione nervosa provate durante l’opera di soccorso avevano ucciso il Di Maio: il cuore si era fermato in seguito ad un collasso.

Oggi, la nostra Caserma della Polizia Municipale di Messina, in Via Bonino, porta il nome del povero Di Maio.

Piace concludere con le parole scritte dal Comandante De Domenico nel volumetto stampato in occasione del centodecimo anniversario della Fondazione nel 1958: “mi è grato presentare questa pubblicazione che vuole essere un atto di omaggio, una manifestazione di culto verso la fulgida tradizione del Corpo, e anche, e soprattutto, un atto di fede verso la Città. (…)

In questa disadorna sintesi di un Secolo e dieci anni di storia, si voglia scorgere non altro che l’espressione di attaccamento ad un organismo alla cui efficienza e dedizione è affidata molta parte della vita cittadina. (…) Dalle sfarzose Guardie a cavallo di un secolo fa, al Vigile di oggi, attraverso il bagliore delle divise del morente romanticismo del primissimo novecento, al casco dei “motociclisti” odierni, par di vedere gli stessi uomini, come se quelli del 1848, per opera di magia, avessero ancora (…) i venti anni di allora. È il miracolo di una continuità spirituale che acquista realtà fisica. (…)

Ed è nel culto, nella coscienza retrospettiva del passato, che le molle dello spirito possono ancor più temprarsi per scattare sempre più avanti, verso nuove conquiste e nuovi traguardi, al fine supremo del bene di questa nostra Messina”.

Giuseppe Tomasello

 

 

La prima legge scritta in materia di circolazione e di Polizia Municipale di cui si ha notizia è la Lex Julia Municipalis emanata da Giulio Cesare nel 45 a.C. che regolava l’ordine nella città di Roma, all’epoca abitata da circa 1 milione di persone.

Essa vietava l’ingresso nelle ore diurne all’interno della città ai carri, eccetto quelli destinati a determinati trasporti quali materiali per la costruzione di edifici destinati al culto o comunque edifici pubblici, istituiva parcheggi per bighe, rotatorie, passaggi pedonali, occupazioni suolo ecc.

La cura sul rispetto di questa legge fu affidata ad una centuria di legionari che venne denominata Sebaciaria.

Dopo la costituzione dell’impero gli imperatori estesero l’applicazione di questa legge anche alle altre città (non dimentichiamo l’imponente rete viaria costruita dai romani che, durante il periodo augusteo, giunse alla lunghezza di ben 90.000 Km).[1]

Ottaviano, che successivamente divenne imperatore con il nome di Augusto, istituì, tra l’altro, anche i primi reparti di vigiles,(6 d.C.) il cui compito principale era la prevenzione e lo spegnimento degli incendi.

Il compito principale dei vigiles, però, era quello di vigilare sui mercati, dove si smerciavano derrate alimentari, e sull’edilizia cittadina. A capo dei vigiles veniva nominato (scelto fra coloro che facevano parte dell’ordine equestre) un praefectus vigilum o vigilibus. [2]

Le città occupate dai Romani erano costantemente presidiate e vigilate: di giorno dai pretoriani stationati e di notte dai vigiles e dai vico magistri preposti alla sorveglianza di incroci stradali nonché di quei luoghi di pubblico passaggio dove potevano convenire, recando molestia ai cittadini, vagabondi e individui che esercitavano dei mestieri riprovevoli: mendici, meretrices, lenones.[3]

Sarebbe dispersiva la trattazione degli ordinamenti giuridici positivi che hanno guidato la municipalità siciliana per un periodo alquanto lungo compresi nei codici di Giustiniano, di Costantino e, successivamente, di Vandali, Ostrogoti, Bizantini, Arabi e Musulmani che imperarono ed occuparono la Sicilia in questo lasso di tempo.

È certo che, oltre alle funzioni amministrative affidate dai Normanni ai baiuli, non esistono punti di riferimento conclamati, atti ad accertare la presenza di altro organo municipale di polizia.[4]

L’elemento che rende estremamente complesso ricostruire la genesi del concetto e della giurisdizione della polizia municipale è la frantumazione in più figure giuridiche: baiulo, acatapano, maestro di sciurta, milizia urbana; di quelle che oggi sono le funzioni attribuite a un unico corpo di polizia.

Con la dinastia normanna ebbe inizio un processo evolutivo e innovatore sull’ordinamento della municipalità; con l’avvento delle Universitas o Comuni furono statuiti e cominciarono ad avere efficacia giuridica i primi ordinamenti municipali che interessavano il settore della polizia rurale e le prammatiche di polizia urbana.

Un maggior numero di elementi viene offerto dalla legislazione aragonese, che segna l’inizio di una politica di sostegno delle autonomie comunali, con la conseguente creazione e precisazione della distribuzione dei poteri e delle funzioni all’interno della comunità locale.

Fu stabilito che l’ordine e la sicurezza interna fossero affidati a un capitano oppure a un mastro giurato, un ufficiale o sergente di quelli che chiamiamo “di polizia”, il quale si avvaleva per l’esercizio del suo ufficio di famigli, che altro non erano se non cittadini reclutati ogni qualvolta occorresse, arrestando coloro che “erano colti sulle vie erranti senza ragione e senza lume o provocavano schiamazzi”.[5]

Successivamente, e progressivamente, i famigli, i serventes, i baiuli e gli sciurta furono sostituiti da un’altra figura di agente municipale: l’acatapano.

L’origine dell’ufficio di acatapano è antichissima: se ne comincia a parlare già nel 975 ma, soltanto nel 1095 si ha menzione della presenza di un acatapano in Sicilia.

Federico II di Svevia assegnava a tale figura la determinazione delle mete e il controllo dei pesi e delle misure.

Purtroppo il disordine più assoluto imperava in Sicilia nel campo della giustizia: immunità e privilegi, concessi a chi apparteneva alla classe dei nobili, al clero e alle corporazioni di arti, impedivano l’applicazione imparziale della legge, con l’unico risultato di contribuire a ritardare di oltre due secoli il processo di evoluzione sociale e civile della Sicilia.

La ricostruzione storica è resa meno difficile a partire dai primi del secolo XVIII, quando con l’inizio della dominazione borbonica si tenta di unificare e conformare l’amministrazione locale a principi giuridici e legislativi unici e generali.

Già dal 1735 i Borboni iniziarono un vasto programma riformatore e riorganizzativo dell'amministrazione locale e periferica; si costituisce infatti un corpus di leggi e regolamenti più facilmente reperibili, grazie all’istituzione di sotto-sezioni specializzate negli archivi delle intendenze e delle prefetture.

La riforma dell’ordine pubblico ebbe un posto di preminenza: il flagello della criminalità, le evasioni nei settori annonario e commerciale, dell’edilizia e dell’igiene erano l’effetto più visibile del grave disordine sociale esistente.

Una data veramente importante è quella del 12 settembre 1816, dopo la “Restaurazione”, quando Ferdinando, re delle Due Sicilie, tornato a Napoli, emanò la Legge organica sull'amministrazione civile, n. 570, paragonabile, oggi, al Testo unico della Legge comunale e provinciale .

All’ente Comune fu conferita la facoltà di emanare norme relative alla polizia locale e, precisamente, fare e pubblicare i regolamenti di polizia amministrativa e quelli di polizia urbana e rurale (art. 17). I regolamenti non potevano sanzionare una multa maggiore di sei ducati, ed una prigionia per un tempo maggiore di tre giorni (art. 282).

Il sindaco esercitava le funzioni di capo della polizia amministrativa urbana e rurale delegando tali attribuzioni al primo eletto (l’attuale assessore anziano o vice sindaco).

Per effetto dell’art. 111 dell’ordinamento ferdinandeo, i Consigli comunali di Palermo, Catania e Messina conservavano la denominazione di Senato; negli altri Comuni della Sicilia, invece, assumevano quella di Decurionato; tutte le cariche erano di nomina reale, su proposta dell’intendente.

Con legge del 10 gennaio 1817 furono costituiti il ministero di Grazia e Giustizia e il ministero dell’Interno, dai quali gli organi di polizia citati dipendevano per la materia giudiziaria e per la funzione operativa. Nello stesso anno la Prefettura di polizia, istituita durante il dominio francese di re Giuseppe Bonaparte e mantenuta dai Borboni, fu soppressa; tornando in vita il 5 giugno 1822.

L’istituzione di tutta una serie di corpi militari e di polizia, la loro soppressione con relativa sostituzione con altri similari, mettevano in evidenza la costante preoccupazione esistente nelle alte sfere del potere borbonico di sostituire, con altri individui, i mercenari e i loro capi, nel timore che, a lungo andare, essi rivoltassero le armi contro la classe dominante.

I nomi che frequentemente ricorrevano per designare il personale appartenente a tali corpi erano “birri, baglivi, soldati di campagna, guardiani, venturieri, armigeri, serventi”: tutta gente prezzolata, male istruita nell’arte delle armi, male impiegata, che spesso faceva causa comune con i malviventi.

Per un miglior controllo del territorio il Sovrano uniformò la Sicilia con i “dominii” continentali.

È del 4 novembre 1838, infatti, il Decreto N° 4879, primo accenno alla creazione nei “reali dominii oltre il Faro” di una forza nuova, sicuramente riconducibile a quello che oggi sono i Corpi di Polizia Municipale in Sicilia.

Le Guardie Urbane erano almeno due, a turno, poiché tale servizio doveva essere espletato nell’arco delle ventiquattro ore e a rotazione (art. 3).

Il Capo Urbano e l’evantuale Sotto Capo vivevano nel territorio del borgo, verificando continuamente la situazione della sicurezza pubblica.

Tra le qualifiche che la Guardia Urbana doveva possedere vi era l’età idonea e la capacità di saper leggere e scrivere.[6]  

Il Decreto fu accolto con entusiasmo dai vari comuni, infatti circa tre mesi dopo il 28 Gennaro 1839, a firma dell’Intendente dell’epoca, appariva a Messina la direttiva “Pelle proposte delle guardie urbane e rurali”.

In adempimento dell’art. 283 della legge del 12 dicembre 1816 ogni comune può averne uno, o più guardiani addetti ad assicurare l’esecuzione de’regolamenti di polizia amministrativa, i quali prendono il nome di guardiani urbani, e rurali secondochè sono addetti alla polizia urbana, e rurale, dovendo detti impiegati essere nominati dal decurionato tra persone di probità conosciuta, dell’età almeno di anni 25 ed approvati dall’Intendente.(…)

Il 15 giugno dello stesso anno una direttiva appariva sul Giornale dell’Intendenza avente come oggetto il primo Regolamento delle Guardie Urbane diretto “Ai Signori Sottintendenti, Regi Giudici, ispettori di polizia”:     

La guardia urbana istituita in ciascun comune per regal decreto del 4 novembre 1838 è una milizia civile, la quale mira a mobilissimo scopo. La sua importanza di leggieri si scorge allorché pongasi mente che essa rivolger debbe ogni sua cura al mantenimento dell’ordine interno e alla sicurezza delle persone e delle sostanze dei cittadini (…).[7]

In merito alle Guardie Urbane che dovessero per ragioni diverse recarsi fuori dal territorio di competenza, nasceva il problema del trasporto delle armi fuori comune problema questo che, a distanza di più di 160 anni, non è stato ancora risolto.

Non dimentichiamo che la Guardia Urbana per caratteristica peculiare del servizio era purtroppo destinata a crearsi dei “nemici”; e non era ipotizzabile che la stessa, pur con le limitate capacità di spostamento dell’epoca, riuscisse per tutta la vita a non muoversi da quell’ambito territoriale spesso angusto dove operava.

Dopo il colera del 1837 i moti insurrezionali, già scoppiati da parecchi anni, ripresero con più vigore; il 1° Settembre 1847, verso le sei del pomeriggio, i più risoluti mossero da diversi punti di Messina al grido di “Viva l'Italia”.

Ma non resistettero. Verso le otto, le squadre, sopraffatte dal numero esorbitante di soldati borboni, furono costrette a ritirarsi.

Il generoso tentativo dava a Messina la gloria ed il merito di aver iniziato per prima quel movimento insurrezionale che portò all'Unità d’Italia.

Il 12 gennaio 1848 Palermo insorse e, dopo accaniti combattimenti che durarono parecchi giorni, cacciò dalla città i soldati borbonici costituendo un governo provvisorio.

Le Guardie Urbane borboniche si erano fino ad allora occupate dei sobborghi e dei casali; la nuova forza delle Guardie Municipali, invece, si occupava del cuore delle città.

I compiti affidati ai neonati corpi non differivano sostanzialmente da quelle di oggi e comprendevano inoltre la repressione della delinquenza e del brigantaggio.

Tale servizio fu affidato interamente alla Guardia Nazionale e alle Guardie Municipali che, come si legge nei documenti dell’epoca “prestarono utile servizio al ristabilimento dell’ordine”.

L’Unione Italiana giornale che veniva pubblicato in quel periodo in Catania, così scriveva il 27 luglio 1848: Dobbiamo rendere alla Guardia Municipale il dovuto elogio per la sua continua vigilanza ed attività per cui non si è sperimentata quella serie di furti che si commettevano sotto il passato regime ove la “sbirraglia” facea a comune coi ladri.

La legge istitutiva del 1848 - Legge sulla Sicurezza Pubblica -, tra l’altro, così recitava:

Il mantenimento dell'ordine e della pubblica sicurezza sotto la sorveglianza superiore del Ministero dell’Interno e della Sicurezza Pubblica è affidato in Sicilia alle Compagnie d'Armi, al Magistrato dei Municipi (Giunta comunale), ai Capitani Giustizieri, ed agli agenti della forza municipale secondo le rispettive attribuzioni (art. 1), il Capitano Giustiziere sarà eletto dal Ministro della Sicurezza Pubblica (art. 3). In ogni comune del regno vi sarà una « Guardia Municipale » addetta principalmente all'esecuzione degli ordini del Capitano Giustiziere (art. 8).

Il Capitano Giustiziere potrà ben organizzarla (la guardia municipale) in compagnie regolari come la truppa di linea (art. II).

Le guardie municipali indosseranno una divisa militare da stabilirsi dal Potere Esecutivo. Saranno istruite negli esercizi militari (art. 12).

Fatto e deliberato in Palermo li 7 agosto 1848.

Col ritorno dei Borboni in Sicilia, il patrizio funzionante da intendente della Valle di Catania, cav. Antonino Alessi, il giorno 11 aprile 1849, emanò l'ordinanza che segue:

In ogni Comune di questa Provincia sarà immediatamente organizzata per le cure degli antichi Sindaci e Capi Urbani, una “guardia urbana” provvisoria per tutelare i paesi dall'aggressione di malviventi che infestano le campagne, e per difendere la vita ce la proprietà dei cittadini.

L 'organizzazione si stabilirà sulle antiche basi e sulle norme anteriori dei rivolgimenti del ’48.[8]

Le Guardie Urbane ritornate alla loro attività consueta, avevano acquisito maggior potere; l’essere abitanti del territorio dove operavano, se da un lato li rendeva meno controllabili in caso di rivolte, come si era già visto negli anni precedenti; dall’altro ne faceva degli strumenti utilissimi per la loro vicinanza con il popolo e dunque meno compromessi agli occhi degli stessi rispetto ai militari o ai gendarmi, spesso giunti da fuori zona e quindi, agli occhi dei diffidenti popolani, espressione più netta di quello Stato che ormai odiavano.[9]

Tra il 1850 e il 1854 le Guardie Urbane si trasformarono ulteriormente fino ad assumere un certo aspetto paramilitare che li caratterizzò fino agli anni ’10 del XX° secolo.

Questo servizio era nato come una sorta di “coscrizione obbligatoria” da attuarsi a rotazione da parte degli appartenenti alle classi più elevate dei comuni o dei borghi e villaggi della Sicilia.

In questo periodo, invece, la Guardia Urbana acquisì delle funzioni che non l’abbandoneranno più. Concorsero a questo cambiamento diversi fattori tra cui alcune interpretazioni legislative che ne tracciavano meglio i contorni.

Le guardie urbane venivano scelte da sindaci e decurionati e facevano parte dei salariati dal Comune e l’Intendente della Provincia, carica equivalente al Prefetto, poteva mettere il veto su tali scelte se queste non garantissero la integerrimità dell’individuo.[10]

Il giuramento di fedeltà al Re venne istituito dopo circa un anno.[11]

Ulteriore passo verso la “militarizzazione” delle Guardie Urbane, il contingentamento dei congedi dei capi e dei sotto capi urbani.

Altro compito ancora oggi peculiare della Polizia Municipale era quella di “solennizzare con la dovuta pompa” le varie occasioni di cerimonie pubbliche di grande rilevanza.

Le guardie urbane come agenti locali di polizia erano delegate al rispetto delle ordinanze sia del Sindaco che delle varie altre Autorità territoriali.

Nel 1850 la Guardia Urbana acquistò la qualifica di polizia sanitaria, questa venne attribuita alle Guardie Urbane più per la loro capillarità sul territorio che per loro specifica preparazione, ma tornò molto utile successivamente sia all’Autorità che alle altre forze di polizia.

Durante le periodiche epidemie di colera o vaiolo che colpivano la regione dava parecchio sollievo sapere che al piantonamento e al controllo dei malati vi doveva essere una Guardia Urbana e, successivamente una Guardia Municipale.

Infatti in queste periodiche epidemie saranno molte le Guardie a contrarre il morbo e a morirne. Di tutti questi oscuri tutori dell’ordine di cui non rimarrà traccia e, spesso se ne conoscerà la sorte solo indirettamente.

Si compì così la parabola di trasformazione, in una dozzina di anni un gruppo di civili chiamati a una specie di “servizio militare” obbligatorio erano diventati dei salariati comunali con una struttura gerarchica e militare ben precisa.

La crisi sanitaria del 1850, e ancor di più quella del 1854, fece perdere completamente alle Guardie Urbane quella “facies” di esercito improvvisato che ancora in alcuni comuni avevano. Il 4 Aprile 1860, Palermo insorse, quattro giorni dopo Messina, come nel 1848, rispondeva con pari audacia all'appello.

Il Generale Garibaldi, intanto, vinta dopo lo sbarco dei Mille la battaglia di Calatafimi era entrato vittorioso a Palermo.

All’alba del 27 luglio il generale Medici si recava al quartier generale delle forze garibaldine di Gesso per entrare a Messina con Garibaldi.

Le Guardie Urbane in quel frangente rimasero fedeli alle istituzioni, unica forza di polizia in quei giorni convulsi; anche perché alcune di esse erano le stesse che avevano fatto parte delle Guardie Municipali già dal 1848 ed erano rimaste nel Corpo dopo il passaggio di consegne al rientro dei Borboni.

Le condizioni della sicurezza pubblica erano allarmanti e ponevano problemi di assai difficile soluzione.

In questo non facile quadro, Giuseppe Garibaldi, dittatore e comandante in capo delle forze nazionali in Sicilia, aveva istituito e nominato con suo decreto del 17 maggio 1860 un governatore in ogni capoluogo di distretto (provincia), col compito di ristabilire in ogni città il Consiglio civico e il Magistrato municipale. Erano stati, inoltre, istituiti i questori dei distretti nonché i delegati comunali e gli aggiunti o assessori di pubblica sicurezza, giurisdizionalmente competenti nei territori dei quartieri cittadini.[12]

Continuando nell'opera di riorganizzazione della cosa pubblica, il 14 luglio 1860 Garibaldi aveva decretato la costituzione del Corpo dei reali carabinieri di Sicilia, istituito già con legge del 1814 nel Regno sardo-piemontese.

L’istituzione della Guardia Nazionale del 1861 con il compito di mantenere la sicurezza pubblica interna, e quella, contemporanea, dei militi a cavallo per la sicurezza nelle campagne cercava di supplire al generale stato di demotivazione che serpeggiava all’interno delle forze di polizia, comprese le Guardie Urbane; anche per la presenza al proprio interno di individui fedeli al vecchio regime.

La Gran Corte Criminale aveva contribuito alla demoralizzazione con il gran numero di assoluzioni per qualsiasi reato comminate in quel periodo.

L’inettitudine del Corpo delle Guardie di P.S., non si sa fino a quanto casuale, faceva il resto.

La situazione era talmente delicata che la Guardia Nazionale arrivò a contare migliaia di uomini, tutti a carico del Comune come peraltro tutte le altre forze di polizia (tranne i R.R.C.C.); inoltre gran parte delle attività che oggi sono a carico dello Stato ma in regime liberale erano a carico degli Enti locali.

Il luogotenente inviato dal re in Sicilia annotava “tristissime cose io dovea qui trovare nella Amministrazione alla quale è commessa la cura di vigilare alla sicurezza pubblica; i Delegati, gli Ispettori, quasi tutti inetti parecchi di onestà per lo meno assai dubbia. Gli agenti subalterni infedeli, rotti ad ogni vizio, vuolesi anche in parte affratellati coi ladri della camorra o coi bravacci del coltello. Un difetto assoluto di disciplina…”[13]

A coronamento di tanta ristrutturazione, il 21 ottobre 1860 il popolo votò plebiscitariamente l’annessione della Sicilia all’Italia con Vittorio Emanuele II suo re.

La storia della Sicilia, dopo l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia, si identificò con quella italiana. Per dare unità di indirizzo ed azione agli organi preposti, il 20 marzo 1865 Vittorio Emanuele promulgò la legge n. 2248, pochi giorni prima approvata dal Parlamento, sull’unificazione amministrativa del regno d’Italia.

Essa conteneva, fra l’altro: la legge comunale e provinciale (allegato A) e la legge sulla sicurezza pubblica (allegato B); nonchè la legge sulla sanità pubblica (allegato C).

Fra le spese obbligatorie di ogni Comune, l’art. 116 della legge comunale e provinciale comprendeva quelle relative al mantenimento di un servizio di polizia locale.

Gli articoli 146, 147, 148 e 149 dettavano le norme amministrative in materia contravvenzionale e con gli articoli 67 e 69 le amministrazioni comunali furono autorizzate a emanare regolamenti di Polizia urbana.

Con il Regio Decreto n. 2336, del 18 maggio 1865, nei capoluoghi di provincia furono istituiti uffici di questura. La qualità di agenti di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 6 era riconosciuta ai Carabinieri reali, alle Guardie di Pubblica Sicurezza, alle Guardie doganali, alle Guardie forestali, a quelle municipali, daziarie, telegrafiche, di strade ferrate e cantonieri.

Nel 1863 i Corpi delle Guardie Municipali vennero aggregati a quelli dei pompieri come forza ausiliaria. Ovviamente le Guardie Urbane seguitavano ad espletare la loro funzione come prima pur perdendo, in alcune città, la propria autonomia.

L’assetto dei Corpi venne ridisegnato sullo stile piemontese ma i servizi che le Guardie Municipali espletavano erano sostanzialmente uguali a quelli svolti fino ad allora:

Il Corpo delle Guardie Municipali è specialmente incaricato:

  1. Di vegliare alla conservazione delle strade, allo spurgo dei canali immondi, alla spazzatura delle vie, alla illuminazione, ed in generale all’esatta osservanza de’regolamenti di Polizia locale.

  2. Che abbiano piena e puntuale esecuzione i provvedimenti dati dall’Autorità Municipale a tenore della legge sui Comuni, pubblicati per mezzo di ordini e manifesti.

  3. Che siano adempiti gli ordini emanati dal Sindaco quale Uffiziale del Governo.

  4. Di eseguire tutti gli ordini e di prestare quei servizi che nell’interesse della civica Amministrazione verranno dal Sindaco prescritti.

  5. Di concorrere coi RR. Carabinieri e Guardie di Pubblica Sicurezza alla esecuzione della legge e regolamenti sulla Pubblica Sicurezza, arrestando e traducendo davanti all’Ispettore della Sezione, qualunque individuo che avranno sorpreso in flagrante reato o che sarà denunciato tale per clamor pubblico.[14]

  6. Nell’esercizio delle loro funzioni le Guardie debbono associare alla fermezza la urbanità dei modi verso tutte le persone indistintamente. Esse non debbono mai impiegare la forza coattiva, salvo quando sia indispensabile per la osservanza delle leggi e dell’ordine pubblico.

    È loro dovere di prestarsi cortesemente a tutte quelle indicazioni di cui vengono richiesti dagli abitanti, e massimamente dai forestieri.

    Nei casi di qualche pubblico od individuale sinistro, è loro dovere di porgere sollecitamente quei soccorsi che possono occorrere.

    Art. 16 Appartiene inoltre al Corpo delle Guardie, l’accompagnamento la gran tenuta della Rappresentanza Comunale nelle pubbliche funzioni.

    Art. 17 Le Guardie occorrendo il bisogno, sono autorizzate a richiedere l’assistenza degli altri agenti della forza pubblica.

    Art. 18 Le Guardie hanno libero accesso nelle officine, botteghe e stabilimenti tutti sottoposti alla vigilanza dell’Autorità Municipale.(…)

Era vietatissimo alle Guardie “di accettare per qualsiasi titolo, doni, mance e ricompense qualunque dai privati. Di fumare mentre sono in servizio, di entrare e soffermarsi nelle bettole, salvochè vi siano chiamati per l’esercizio delle loro funzioni”.

Il formarsi di una numerosa classe di imprenditori, di commercianti, diminuiva il prestigio della nobiltà, anche i ceti inferiori, che arrivavano dalle campagne in numero sempre maggiore, cominciavano a far sentire il loro peso nella vita cittadina facendo ingrandire le città e moltiplicandone i bisogni.[15]

Con la legge n. 5865 del 30 dicembre 1888, i comuni ottenevano una relativamente accentuata autonomia, utilizzata però dai maggiorenti dell’epoca per vessare ulteriormente il popolino.[16]

La fine del secolo portava con se un movimento generalizzato in tutte le fasce della società e le Guardie Municipali non fecero eccezione.

Le guardie di Pubblica Sicurezza, intanto, furono definite e denominate dalla legge esecutiva 21 agosto 1901, n. 409, Guardie di città.

Ai sensi dell’articolo 15 di tale legge: “Sono pure agenti di pubblica sicurezza le guardie di finanza e forestali, le guardie carcerarie nonché le guardie campestri, daziarie, boschive ed altre dei comuni, costituite in forza dei regolamenti, deliberati ed approvati nelle forme di legge e riconosciuti dal prefetto”.

L’articolo 16 recitava che “Qualora per gravi motivi d’ordine pubblico il Ministero dell’Interno creda di sopprimere o di non permettere l’istituzione di guardie municipali in uno o più comuni, la polizia municipale sarà pure affidata alle guardie di città con quelle norme che saranno stabilite in un decreto reale.

I sindaci, previa deliberazione del consiglio comunale, potranno chiedere che la polizia municipale  sia affidata alle guardie di città. In questo caso sarà provveduto con decreto reale”.

Le guardie di città in base all’articolo 44, faceva ricadere “(…) a carico dei comuni la metà della spesa per la retribuzione delle guardie di città. (…)”

Con l’arrivo del nuovo secolo le guardie municipali risentivano del clima particolare che si respirava nel paese, le nuove leve erano di fede socialista o liberal-progressista. Vennero fondate infatti le prime associazioni di Guardie Municipali; con le assocazione nascevano anche le rivendicazioni, e per le Guardie Municipali i problemi furono più gravi che per gli altri salariati comunali.

In tutta Italia la struttura “militare” delle stesse portava a situazioni molto gravi: minacce dei superiori ai subordinati associati, note di biasimo ad interi corpi (come avvenne a Roma), qualche guardia dovette ritirare l’iscrizione all’Associazione.

“ Pervengono continuamente lettere di protesta da molte guardie municipali, in specie degli allievi, nelle quali è manifestato il desiderio di voler far parte della Associazione testè costituita tra le guardie stesse, ma che se ne astengono per tema di rappresaglie da parte dei superiori; anzi molti sono diffidati ad entrarvi (…)”.[17]

Nonostante queste resistenze i Corpi delle Guardie Municipali si “democratizzarono”; molto meno facile fu la successiva trasformazione avvenuta all’inizio degli anni ’20.

La notte del 28 dicembre 1908 alle 5 e 20, scosse di terremoto investirono le città di Messina e Reggio e i paesi vicini distruggendole totalmente.

Un orda di gente anche proveniente dalle campagne circostanti dilagò nei magazzini e nei negozi per saccheggiarli invano respinti dai pochi tutori dell’ordine rimasti.

In città arrivarono squadre di volontari muniti di lunghe scale e picconi. Tra questi, Vigili Urbani provenienti da tutta la Sicilia e dal resto d’Italia. [18]

La guerra del 1915-18 segnò anche l'inizio della nostra epoca. Sono di questo periodo la formazione delle prime “squadre mobili” di vigili in bicicletta.

La partenza della gioventù siciliana coinvolse anche i vigili urbani che erano dell’età adatta per essere chiamati alle armi e qualcuno non tornò più.

In esecuzione del Regio Decreto 18 maggio n.668, furono approvati con apposito Decreto le dispense alla chiamata alle armi degli Ufficiali di Milizia Territoriale in congedo provvisorio e di Riserva e dei militari di truppa ascritti alla Milizia Territoriale che coprivano determinati impieghi o si trovavano in posizioni speciali. Lo specchio E del regio Decreto comprendeva tra gli altri al punto 6 la dispensa per: Guardie municipali, daziarie, campestri, pompieri (compresi i graduati) nei limiti indispensabili alle necessità dei servizi, da attestarsi dai Sindaci e confermarsi dai prefetti e Sottoprefetti.

Uno degli incarichi svolti dai Vigili Urbani dell’epoca era il controllo delle coste e del cielo durante l’oscuramento, grande impressione aveva destato nell’opinione pubblica l’invenzione degli U-Boat sottomarini e l’uso dei dirigibili per i bombardamenti delle città.

Vennero elevate dai vigili e dalle altre forze di polizia molti verbali di contravvenzione e vi furono altrettante chiusure di esercizi per violazione delle norme antioscuramento.

Il cibo scarseggiava, i prezzi venivano calmierati dai vigili, era il momento più difficile della Grande Guerra, la demotivazione era alta e la gente era stanca, i viveri cominciarono a mancare seriamente. Il ritorno alla normalità fu molto lungo e travagliato.

L’avvento del fascismo pesò non poco sull’assetto dei Corpi; accanto alle vecchie Guardie di sicura fede liberale o socialista si aggiunsero, così come in altre parti d’Italia, ex marcisti, immessi nei ranghi dei vigili dallo stesso Mussolini per sbarazzarsi di questi alleati scomodi. Naturalmente visto che questi “nuovi acquisti” erano fascisti della prima ora, ne approfittarono per occupare le gerarchie ed i posti di potere, amministrando questo potere in maniera “disinvolta”.

Spinti dalla sfrenata ambizione scalarono quella piramide gerarchica che non avevano potuto ascendere con i mezzi leciti dal pubblico concorso, iniziarono un lento lavoro di sopraffazione nei confronti dei “vecchi vigili”. Quest’opera di denigrazione portò in alcuni casi, come quello di Catania, allo scioglimento dei Corpi.

Cominciava inoltre in questo periodo la “specializzazione” dei vigili urbani nel rispetto delle regole del codice della strada. Si tratta di regole poiché il primo regolamento di circolazione urbana veniva attuato a livello locale in base ad una legge quadro voluta da Mussolini.

La prima legge di circolazione urbana fu emanata nel lontano 1865, ma era limitata ad alcune fattispecie di reati commessi durante la conduzione di cavalli o carri.

L’attività dei Vigili andò perdendo la caratteristica che li contraddistingueva: quella del controllo sul territorio. Andava invece assumendo quella che purtroppo oggi è predominante: il solo controllo viabile; perdendo quindi quella profonda radicazione del territorio che era servita per fare della guardia municipale il lato “umano” dell’ Amministrazione. Alla motorizzazione delle città corrispondeva la motorizzazione dei Corpi: ai vigili ciclisti si sostituirono i vigili motociclisti.

In seguito alla “politica autarchica” il pane diventò nero, le macellerie rimanevano chiuse due giorni alla settimana, nei ristoranti andava di moda il piatto unico.

La Germania attaccò la Polonia e Mussolini ordinò il richiamo alle armi delle classi dal 1902 al 1913; il ministero della guerra dispose che tutte le lampade stradali venissero schermate con apposite coperture in zinco.

Venne istituito l’oscuramento parziale lasciando le città quasi al buio, si succedevano le esercitazioni antiaeree, i Prefetti vietarono la circolazione delle macchine private.

Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra e molti vigili urbani partirono per il fronte, in città rimasero i più anziani.

Alla fine del 1940 la situazione si era già deteriorata, i vigili urbani facevano ormai quasi esclusivamente servizio annonario per il controllo e lo smercio di alimenti.

Le Questure crearono delle Squadre Annonarie che affiancarono quelle dei vigili per contrastare il fenomeno della borsa nera e dell’accaparramento.

Dal 1941 cominciarono i primi allarmi aerei. La situazione peggiorò ulteriormente nel 1942, negli orti di guerra cominciava a germogliare il grano, mentre sul mercato venivano immessi gli zoccoli di legno per uomo e per donna.

Le città siciliane furono sottoposte a innumerevoli bombardamenti. Fu l’inizio di una nuova tragedia.

Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le forze Alleate britanniche, americane e canadesi sbarcarono sulle spiagge della Sicilia che venne liberata in soli 39 giorni quando, il 17 agosto, le truppe Alleate entrarono a Messina dopo aver conquistato tutte le altre importanti città (Palermo il 22 luglio, Catania il 5 agosto) e costringendo i tedeschi alla fuga verso la Calabria.

Nel 1943 i cittadini potevano scrivere nei nuovi giornali liberi protestando, anche questa è libertà, e chiedendo una sorveglianza più accurata da parte dei vigili.

I vigili non mollarono; in quel periodo si distinsero nella distribuzione del pane a sfollati; e impiegando i fondi provenienti dalle contravvenzioni risolsero parecchie emergenze.

Nel frattempo rientrarono gradatamente nel Corpo i vigili tornati dalla guerra, ricevendo vari encomi al valor militare.

Il 1946 vide un nuovo Stato Repubblicano nato dalle macerie di una guerra che nel Paese lasciava segni profondi difficili da cancellare e sanare.

Con l’arrivo dell’Italia repubblicana i vigili urbani, oggi agenti di Polizia Municipale assunsero la connotazione che ormai li caratterizza da più di mezzo secolo.

Le spinte innovative che in questi ultimi anni caratterizzano il divenire politico - sociale dell’Italia contemporanea ripropongono, a sorpresa, il ritorno della cara, vecchia Guardia Municipale.

Ag. Giuseppe TOMASELLO

Sezione Studi

Corpo di Polizia Municipale di Messina

1964

Nov 29, 2024

- Uniforme invernale di cordellino.

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