È del 1838 il primo accenno alla creazione nei “reali dominii oltre il Faro” di una forza nuova, sicuramente riconducibile a quello che oggi è il Corpo di Polizia Municipale di Messina. Un decreto di re Ferdinando riporta: ".(...) sarà organizzata una Guardia urbana in ogni comune(...). Le guardie urbane in servizio porteranno il fucile con la bajonetta corrispondente, ed il distintivo della coccarda rossa al cappello.(...)
E’ accordato alle guardie urbane il permesso di detenere un fucile, ed asportarlo anche fuori servizio,(...).
Nel 1839 una direttiva sul Giornale dell’Intendenza si rivolgeva: “Ai Signori Sottintendenti, Regi Giudici, ispettori di polizia”: (...)
La guardia urbana istituita in ciascun comune (…) è una milizia civile, la quale mira a nobilissimo scopo. La sua importanza di leggieri si scorge allorché pongasi mente che essa rivolger debbe ogni sua cura al mantenimento dell’ordine interno e alla sicurezza delle persone e delle sostanze dei cittadini (…).
Successivamente, nel 1848, i più risoluti mossero da diversi punti della città sventolando il vessillo tricolore in una corale rivolta antiborbonica. Il 5 gennaio cessava di fatto ogni autorità dei Borboni.
Dal punto di vista dell’ordine pubblico le cose non andavano bene. Nella città, infatti, al patriottismo si era mescolata una forte criminalità: numerosi furti, aggressioni, omicidi, imponevano il rafforzamento del Servizio di Sicurezza interno.
L’arrivo da tutta la Sicilia di squadre di volontari antiborbonici fu un elemento di ulteriore disordine e vendette politiche.
Il 28 Marzo 1848 apparve il seguente “Avviso al Popolo”:
Tutti coloro che vogliono appartenere al Corpo della Guardia Municipale, possono da oggi in poi, rilasciare le loro domande nel posto della SS. Annunziata.
Si avverte che ogni Guardia avrà il soldo di tarì tre al giorno e il vestiario.
Messina 28 marzo 1848
Il Capitano della Guardia Municipale F. SACCA’
Quest'avviso segna l'inizio del Corpo delle Guardie Municipali come organismo unitario dell'Ente Comune; fino ad allora, infatti, le guardie urbane erano distribuite nei villaggi e casali periferici di Messina.
Scrive l’Oliva: “19 Aprile 1848 – Il servizio dell’interna sicurezza è stato oggi interamente assunto dalla Guardia Nazionale e da due Compagnie di Guardie Municipali (...).
Il 6 giugno in seguito “alle fazioni gloriose di ieri e di stanotte”, Antonio Pracanica Commissario del Potere Esecutivo con un proclama sottolineava: “(…) ogni cittadino dovette lodarsi della nobile intrepidezza ed alacrità, con cui la Guardia Nazionale, la Municipale, le squadre, i corpi del Genio e dell’artiglieria, (…) mossero colla rapidità del baleno dove più minacciava il pericolo”. (…) Un istante di riposo non concedevano alle loro membra travagliate e combattute. Né mai avrebbero curato di ingoiare un sorso d’acqua (…)
Messina era quasi alla capitolazione – Fu il capo dei Municipali Bonanno (nel frattempo subentrato al Saccà) (…), cittadino animoso, trovandosi presente alle discussioni del Consiglio levò alto la voce per proseguire la resistenza con quei pochi mezzi che si avevano, e con le poche forze che ancora rimanevano, in difesa della Patria. Ma le sue generose parole non trovarono eco in alcuno dei capi della forza: egli parlò al deserto.(...)
Così Messina cadde l’8 Settembre 1848, dopo cinque giornate di disperata difesa; ma aspettando con ansia la cacciata dei borboni e la fine dell’odiato governo di Ferdinando II.
Nel 1860 Messina insorse ancora, aspettando con impazienza l’arrivo dei garibaldini; le Guardie Urbane in quel frangente rimasero fedeli all’istituzione comunale anch’essa rivoltatasi contro i borboni, unica forza di polizia in quei giorni convulsi.
Dopo l’Unità, nel 1863 il Corpo delle Guardie Municipali veniva aggregato al corpo dei pompieri come forza ausiliare; contrariamente però a quello che successe in altre città, le Guardie Municipali di Messina non persero mai la propria autonomia.
L’assetto del Corpo venne ridisegnato sullo stile piemontese, ma bisognò attendere il 1866 per sancire la fine del decentramento delle Guardie; infatti da quel momento non vi sono state più Guardie Municipali stanziali nei villaggi e Casali di Messina.
Durante lo stesso periodo scoppiò la “questione morale” che avrebbe interessato il Corpo per più di un trentennio. Il Regolamento dell’epoca accordava la preferenza nell’assunzione ai celibi ed ai vedovi senza prole, in pratica però era diventata prassi assumere esclusivamente guardie celibi o vedove, addirittura licenziando gli ammogliati: qui di seguito qualche brano della divertente seduta consiliare del 1872.
“Il SINDACO presenta una petizione delle Guardie urbane per essere abilitate al matrimonio.
Fa osservare come in applicazione all’ultimo a linea dell’art. 3 del regolamento delle guardie che fra i maritati e i celibi o vedovi senza prole assicura a questi ultimi la preferenza, si è dalla Giunta dato licenziamento alle guardie che hanno contratto matrimonio.(...) Il MARCHESE DI CASSIBILE, appoggiato dal sig. CARNAZZA stima il divieto necessario al buon servizio e si appella alla esperienza che ha chiarito come i celibi han saputo corrispondere ai loro doveri meglio di coloro che hanno cure di famiglia.(...) In pratica, ciò obbligava le Guardie Municipali a rimanere celibi fino al pensionamento. Erano, insomma, delle Guardie-monaci!
Le Guardie fungevano anche da agenti di Polizia Sanitaria ed erano impegnate nella costituzione dei cordoni sanitari per contenere i focolai d’infezione. Proprio per questo erano anche i primi, spesso, ad esserne vittime.
Nel 1887 scoppiò un improvvisa epidemia di colera e, vista l’altissima mortalità, l’ordine pubblico cessò di esistere. In quei giorni il colera colpiva ovunque e le guardie municipali lavorarono senza tregua.
Nel mese di settembre morivano nell’esercizio delle loro funzioni il Vice Comandante delle Guardie Municipali Luigi Celona, e il Brigadiere Giuseppe Randazzo.
Con l’arrivo del nuovo secolo, gli adesso vigili urbani, risentivano del clima particolare che si respirava nel paese; le nuove leve erano di fede socialista o liberal-progressista. Vennero fondate infatti le prime associazioni di Guardie Municipali.
Era una mite serata invernale, quella del 27 dicembre 1908, era domenica e i messinesi, consumato il pranzo, si erano riversati per le strade e nei caffè sin dal primo pomeriggio; il Natale era trascorso da due giorni, e lungo la Via Garibaldi, fiancheggiata da lussuosi negozi, il passeggio fu fittissimo in quella placida sera. Le guardie municipali sorvegliavano discretamente che tutto si svolgesse serenamente, e che i ciclisti non disturbassero i passanti con le loro folli velocità.
Le strade si spopolarono lentamente, sino a farsi deserte all’ora in cui il teatro Vittorio Emanuele, dove si dava l’Aida, aprì i suoi battenti; poi nelle ore piccole ciascuno andò soddisfatto a dormire.
Tutte le Guardie municipali e Pompieri non di servizio rientrarono al Comando (nella caserma del Palazzo Municipale) e nelle due Caserme Mandamentali.
Alle 5 e 20, la prima scossa di terremoto, devastante, seguita e aggravata da un violento maremoto, distruggeva gran parte degli abitati sulle due rive dello Stretto.
Il Palazzo Municipale, dopo essere stato danneggiato dal terremoto, venne sommerso dall’acqua, uccidendo le poche guardie municipali sopravvissute. Rase al suolo pure le due caserme mandamentali, uccidendo tutti gli occupanti.
Una pioggia sporca cominciò a cadere sulla città che non ebbe alba, a causa della polvere delle macerie e del gas fuoriuscito dai lampioni dell’illuminazione pubblica. Messina bruciava in più punti e dovunque si guardasse si scorgevano cadaveri imprigionati fra le macerie: questa volta non c’erano più i pompieri e le guardie municipali ad intervenire.
Il Commissario Salvadori iniziò un imponente serie di deliberazioni d’urgenza con trattativa privata per il ripristino dei Corpi delle Guardie Municipali e Pompieri.
Messina era ancora un cumulo di macerie; malgrado ciò si facevano le cose in grande, se per la ricostituzione del Corpo il R. Commissario stimava per la pianta organica il fabbisogno di 100 tra graduati e guardie, così come i Pompieri; sia i nuovi nominati che i sopravvissuti entrarono in servizio il l Aprile 1910.
La guerra del 1915-18 comportò un rallentamento dei lavori di ricostruzione e solo dopo la Vittoria si ritornò a lavorare. È di questo periodo la formazione della prima “squadra mobile” di vigili in bicicletta.
La partenza della gioventù messinese verso la Grande Guerra coinvolse anche i vigili urbani; assunti tutti dopo il 1910, in base al regolamento molti di loro erano dell’età adatta per essere chiamati alle armi. Ricordiamo le guardie municipali che non tornarono: Arcidiacono Ludovico di Salvatore, D’Arrigo Gaetano di Gaetano, Inferrera Letterio di Mariano, morti in seguito a ferite riportate in combattimento tra Carso e Isonzo.
Altri due i caduti in servizio tra le due guerre: gli agenti Calogero Dulcetta (1923) e Francesco Raffa (1927)
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra. Anche molti vigili urbani partirono per il fronte, in città rimasero i più anziani; alcuni di loro assunti subito dopo il terremoto del 1908 rimasero in servizio fino a metà degli anni ’50.
A Messina venne istituito l’oscuramento parziale lasciando la città quasi al buio, si succedevano le esercitazioni antiaeree. Il Prefetto vietò la circolazione delle macchine private.
Nonostante la sicurezza del Governo di fronte all’avventura della guerra, la realtà era ben altra; sulla cronaca cittadina apparivano articoli che la smentivano; come quello di un uomo, catturato dai vigili perché aveva sottratto alla libera vendita al minuto cinque quintali di carbone vegetale; o della signora Concetta arrestata perché introdottasi in casa della vicina per rubare del pane appena sfornato.
A Novembre del 1940 la situazione si era ormai deteriorata, i vigili urbani facevano ormai quasi esclusivamente servizio annonario per il controllo e lo smercio di alimenti.
Il 9 gennaio 1941 suonò il primo allarme aereo; Il 15 luglio l’offensiva aerea della RAF attaccò la città per un’ora e mezza; ci furono i primi due morti e la sicurezza ostentata dai messinesi scomparve.
Tra bombardamenti passò tutto il 1941. La situazione peggiorò ulteriormente nel 1942, dal 29 al 31 maggio Messina fu sottoposta a continui e massicci bombardamenti notturni, cominciò l’esodo della popolazione verso i villaggi montani. In città arrivarono i tedeschi.
Fu l’inizio di una nuova tragedia; sotto i bombardamenti fu ridistrutta totalmente la Città.
Il 12 luglio il sessantaseienne Vice Brigadiere Quinci Benedetto, uno dei “ragazzi del 1910” ancora in servizio, morì sotto le bombe.
Dopo l’ arrivo degli Alleati, il comandante dell’ epoca, Gaetano Beccaria rimase ancora al comando per altri due anni; il suo passato di antifascista ne faceva una persona affidabile, con energia strinse le redini del comando impedendo lo sfacelo del Corpo.
Nello stesso anno dell’arrivo degli alleati si mise mano al nuovo regolamento per i vigili depurato da qualsiasi riferimento al disciolto regime.
Nonostante fossero allo stremo i vigili non mollarono; in quel periodo si distinsero nella distribuzione del pane a sfollati e, impiegando i fondi provenienti dalle contravvenzioni, risolsero parecchie emergenze.
Il 1946 vide un nuovo Stato Repubblicano nato dalle macerie della guerra. Ancora una volta il Corpo percorse la strada della Storia insieme alla città per condividere, negli anni dopo la guerra, la seconda ricostruzione della città dopo gli otto mesi di terribili bombardamenti.
Nel frattempo il Corpo si ammodernava, anche con attrezzature che oggi appaiono assurde, se non ridicole. È del 1950 l’acquisto di 3 ombrelloni parasole merlettati di bianco da applicare sulle pedane, per riparare i vigili che dirigevano il traffico dalla calura estiva.
Venne anche consegnato ai vigili il gonfalone del Corpo, segno distintivo dato solo all’ “aristocrazia” dei Corpi dei Vigili italiani.
Nel 1954 venne raggiunto un altro importante traguardo: i vigili di Messina, insieme a quelli di Genova, Milano, Roma, Firenze, rappresentanti quindi dei Corpi più importanti d’Italia, vennero invitati a Parigi dagli omologhi francesi e hanno l’incarico di dirigere il traffico nella Capitale.
Era il giorno della festa del Corpo, il 28 marzo, del 1963, una splendida mattina di sole, ma non per un uomo che si aggirava sulla Circonvallazione, ad un certo punto scavalcò il parapetto e si buttò giù a capofitto.
Il fatto sarebbe rimasto ignorato se una donna, non l’avesse notato e avvertiti i vigili dell’allora vicino Comando.
Fu il trentasettenne Orazio Di Maio, motociclista, che si precipitò a soccorrere il poveretto.
Spinto da un impulso generoso, non esitò a smontare dalla moto, scendere lungo un pericoloso pendio per raggiungere l’uomo e caricateselo sulle spalle lo riportava su, stremato per la tensione nervosa.
Giunto sulla strada, rivolgendosi ad un suo collega, disse: “Mi sento il cuore finire!. ..non resisto più!...”.
Ma non volle ostacolare l’opera di recupero e rimase lì, fino a quando il mancato suicida fu posto nell’ autoambulanza che si diresse verso l’ospedale. Da lì a qualche minuto avveniva poi la morte avvenuta tra le braccia dei suoi colleghi.
L’emozione e l’eccessiva tensione nervosa provate durante l’opera di soccorso avevano ucciso il Di Maio: il cuore si era fermato in seguito ad un collasso.
Oggi, la nostra Caserma della Polizia Municipale di Messina, in Via Bonino, porta il nome del povero Di Maio.
Piace concludere con le parole scritte dal Comandante De Domenico nel volumetto stampato in occasione del centodecimo anniversario della Fondazione nel 1958: “mi è grato presentare questa pubblicazione che vuole essere un atto di omaggio, una manifestazione di culto verso la fulgida tradizione del Corpo, e anche, e soprattutto, un atto di fede verso la Città. (…)
In questa disadorna sintesi di un Secolo e dieci anni di storia, si voglia scorgere non altro che l’espressione di attaccamento ad un organismo alla cui efficienza e dedizione è affidata molta parte della vita cittadina. (…) Dalle sfarzose Guardie a cavallo di un secolo fa, al Vigile di oggi, attraverso il bagliore delle divise del morente romanticismo del primissimo novecento, al casco dei “motociclisti” odierni, par di vedere gli stessi uomini, come se quelli del 1848, per opera di magia, avessero ancora (…) i venti anni di allora. È il miracolo di una continuità spirituale che acquista realtà fisica. (…)
Ed è nel culto, nella coscienza retrospettiva del passato, che le molle dello spirito possono ancor più temprarsi per scattare sempre più avanti, verso nuove conquiste e nuovi traguardi, al fine supremo del bene di questa nostra Messina”.
Giuseppe Tomasello