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MESSANENSI

MESSANENSI

 

Pietro Merrillo è nato a Spadafora il 28.08.1922,  sicuramente merita il titolo di "MAESTRO PESCATORE" o meglio di UOMO che ha dedicato anche a tutt'oggi la sua esistenza al mare.

Di piccola statura, sincero e gioviale, gambe ormai incurvate a causa della fatica e dell'età, non si è mai allontanato dal suo elemento primario '' il mare''  che ha ricambiato il suo affettuoso attaccamento permettendogli di vivere dignitosamente e di assicurare alla sua numerosa prole (6 figli , di cui 5 femmine) un avvenire altrettanto dignitoso.

 

Fin da bambino, come un sarto esperto e paziente ha (imbastito, confezionato) costruito amorevolmente i vari tipi di rete che utilizzava ciclicamente nell'arco dell'anno. dell'attività.

Quando non esistevano divieti di pesca, nella  maggior parte dell'anno utilizzava la "sciabica" , tecnica di pesca pensato per ogni tipo di pesce: palamidi, cernie, orate, acciughe, sarde, ecc...

Con la "raustina" detta anche "sciabachello" pescava da gennaio a metà aprile circa, solo "neonata" cioè i piccoli nati da sarde, acciughe e triglie.

 

Si è dedicato anche alla pesca del pescespada che catturava con reti particolari,  le "tremaglie" utilizzate per passare il tempo quando con altri sistemi il pescato era scarso. Le posizionava in mare prima del calar del sole e le ritirava di mattina presto. In questo sistema di pesca era accompagnato dal nipote che lo aiutava a remare. Ha sempre riparato personalmente le reti danneggiate dai pesci e dagli scogli del fondo marino, non solo, molti altri pescatori richiedono il suo intervento perchè riconoscono la sua competenza in questo campo.

 

Ha sempre avuto un contatto diretto con il mare, da giovane ha navigato su e giù per l'oceano con petroliere di grosse compagnie navali , ha girato il mondo , tranne l' Australia e la Russia  passando anche sotto il famoso ponte in America di brooklin da lui chiamato "broccolino".  E' stato capitano di pescherecci a Messina.

 

Oggi, all'età di 85anni non è più in grado di svolgere quest'attività lavorativa e non si rassegna all'idea di dover solo guardare il mare da qualche metro di distanza, parlando dei suoi ricordi e con la rabbia perchè nessuno gli permette di andare a pesca.

- di Rosario Fodale -

 

Giovanni Tringali è maestro d'ascia in una generazione di Maestri d'Ascia , il bisnonno, il nonno, lui Giovanni e poi i figli Giuseppe e Salvatore.

Un'arte , il "maestro d'ascia", quasi abbandonata; un nome conferito dallo strumento alla professione quale strumento insostituibile e caratteristico. L'ascia, adoperata per diversi applicativi di lavorazione quali: palelle, incastri, squadrature, livellature, sagomature a profilo variabile di legni di notevole dimensione.

 

L'ascia veniva e viene utilizzata nelle operazioni di carpenteria navale che prevedeva la lavorazione e la sagomatura di parti di imbarcazioni medio grandi. Essa permetteva di sgrossare velocemente anche i legni più duri, fa camminare il lavoro e al contempo se usata con maestria lo rifinisce. In carpenteria navale veniva utilizzata sia su parti curve come le ossature, i madieri, le ruote di prua e poppa, sia su parti rettilinee come gli alberi delle navi, per renderne la sezione da rotonda a ovale.

 

Questa professione così versatile, (dal libro "Barche,padroni e Marinai" di Rocco Sisci)  Durante gli anni venti ove risultano operanti a Paradiso i cantieri di Barca Antonino e il gruppo dei Tringali (Rocco, Antonino, Emanúele e Letterio), verosimilmente imparentati tra loro, anche se autonomi come aziende. I Tringali erano tra l'altro specializzati nella costruzione di feluche da posta per il pesce spada.

 

Pure appartenenti allo stesso ceppo ''familiare" dovevano essere Tringali Filippo, titolare di un cantiere nei pressi di Messina negli anni Quaranta, e Tringali Giovanni, operante ad Acqualadroni fra il 1916 e il 1940 e successivamente a Torre Faro. Sempre negli anni Trenta costruisce barche a Torre Faro un altro Tringali a nome Giuseppe."

 

Dal libro "La caccia del pescespada nello stretto di Messina". Da un esame dei registri della delegazione di spiaggia di Torre Faro, abbiamo appreso che la feluca ~~ matricola 10-ME-327 fu costruita proprio come feluca da posta nel 1937 nel cantiere di Giuseppe Tringali e immatricolata col nome di Peppino.

 

Il materiale adoperato era il pino, il gelso e la quercia, come di consueto. In data 22 maggio 1963 la feluca viene motorizzata con un diesel da 70 hp, evidentemente per la sua trasformazione in passerella nell'ambito di quel fenomeno, vera rivoluzione tecnica, che in pochi anni portò alla totale estinzione di un sistema di pesca vecchio di secoli. Dopo dieci anni dalla radicale modifica, la barca, con decorrenza 13 agosto 1973, fu posta in disarmo."

 

Nell'evoluzione delle costruzioni navali, delle tecnologie costruttive e dei materiali utilizzati '' l'ascia ''  questo particolare utensile estremamente duttile e versatile, non trova  quasi impiego pratico, al contempo tutta una serie di utensili elettrici ne hanno sostituito l'uso pratico.

Il Maniscalco

Nov 21, 2024

Matteo Russo, maniscalco, svolge la sua professione sin da piccolo. È uno degli l'artigiani che esercita l'arte della mascalcia, ossia del pareggio e della ferratura del cavallo, presso il ristorante Il Parco degli Ulivi, situato a Villafranca Tirrena (Me),  circondato dalle più belle località turistiche della Sicilia, ricche di storia e di splendide architetture affacciate sul Mar Tirreno.

Il centro di equitazione di cui è dotata la struttura conta due maneggi all'aperto e uno al coperto, ed è affiliato alla Federazione Italiana Sport Equestri.

 

Matteo si prende cura dei cavalli, con i tradizionali attrezzi del fabbro (fucina, incudine, mazza, coltello da zoccoli, tenaglia da maniscalco e raspe) e  collabora strettamente, nel suo lavoro, con il proprietario (che gli fornisce tutte le informazioni sull'uso abituale dei cavalli, su eventuali esigenze particolari e problemi dell'andatura) e con il veterinario (con il quale concorda gli accorgimenti opportuni in caso di patologie del piede o delle articolazioni degli arti).

 

Vi mostriamo con le foto come procede al pareggio, che consiste nell'eliminazione di tutte le parti dello zoccolo cresciute al di là dei normali limiti fisiologici.

  1. il coltello, Matteo, elimina l'eventuale eccesso di suola "morta"; elimina le parti irregolari o mal conservate del fettone; accorcia, fino ad un'altezza poco sopra il piano della suola, le barre. Con la raspa, eventualmente preceduta dalla tenaglia, accorcia adeguatamente la muraglia in tutto il suo perimetro, dalla punta ai talloni.

  2. Il pareggio, ed in particolare la cura nel determinare la migliore altezza della muraglia e dei talloni, sono critici per il bilanciamento antero-posteriore e laterale dello zoccolo, perché costituiscono le basi di un appiombo fisiologicamente corretto e di un movimento sicuro ed efficiente alle varie andature.
    Infine  applica il ferro.

  3. Complimenti Matteo!

"Lo gnuri"

Nov 21, 2024

 

Francesco Molonia, cocchiere simbolo della Messina, è una figura che riporta alla mente arti e tradizioni caduti nell'oblio, alle narici odori smarriti, alla vista vecchie carrozze storiche che ha acquistato e rigenerato per presentarle alla sua gente.

 

L'ultima richiesta - invito effettuata da Francesco MOLONIA è stato Venerdì 9 giugno 2006, alle 20.30, alla T.C.F di Messina (rete TV privata), nella trasmissione condotta da Mino Licordari, "Ieri. Oggi,domani" dove ha chiesto l'apertura di un Museo per le sue QUARANTA carrozze storiche.

Nel corso della trasmissione televisiva, diversi sono stati gli interventi dello gnuri messinese, in occasione dei quali sono emerse con cristallina chiarezza le qualità di un uomo che presenta con passione le più note carrozze storiche, mettendole a disposizione "GRATIS" , per uno spazio museo.

 

La professionalità ed il talento del signore dei cavalli, sono davvero tangibili e tali da incantare tutti coloro che ne odono le sue parole e sperano che i politici messinesi, il sindaco di Messina, possano trovare uno spazio - cultura per esporre sotto l'eloquente titolo "Le carrozze storiche" di Francesco Molonia.

A proporre in scena le carrozze storiche è il sito messinaweb.eu, che ringrazia con tanta affettuosità Francesco.

 

"Il ricordo galoppa al ritmo del cavallo con la sua carrozza e attraverso questo mezzo di locomozione si assoporano odori, sapori, luci e brezze dimenticati.

A raccontare la storia della città degli anni trascorsi è lo Gnuri che, a bordo di un calesse, ricorda la città degli anni 50, le passeggiate, Piazza Duomo, Piazza Cairoli, Viale S.Martino , la gelateria di Irrera, la libreria Ciofalo con altri antichi negozi.

 

Si riscoprono antichi mestieri. Sulla città di un tempo non è calato il sipario e lo gnuri ripercorre sentieri del passato non per versare lacrime amare, ma per favorire un riscatto di cui, in atto, si avvertono tutti i segnali"

"U custureri"

Nov 21, 2024

 

- di Rosario Fodale -

 

Domenico Costantino

Un lavoro creativo e ben remunerato che soffre, però, di un vero e proprio ricambio generazionale. I giovani che puntano su questa strada non sono molti e occorre sacrificio ed impegno per andare avanti, anche per i clienti: non ci sono orari, si lavora sempre, occorre prendere gli appuntamenti e la vita trascorre in questo laboratorio così, quasi senza accorgersene; per questo i giovani di oggi non fanno più "il sarto"!

Per fare il sarto occorrono competenze specifiche. Bisogna saper sviluppare e tagliare un modello, eseguire vari tipi di orli, tasche, colli, maniche ed asole, assemblare e confezionare le varie parti dell'abito.

Una professione complessa e lo  vedi là, sempre nella sua sartoria di Via Ospedale a Spadafora, dove il maestro sarto, Domenico Costantino,  oggi 70enne, esercita ancora la sua attività da ben 58 anni. L'intuito e le idee originali di Domenico hanno dato origine  ad una linea di abbigliamento di grande qualità.

Diplomatosi il 13 ottobre 1959 presso la "Scuola Moderna Internazionale" di Torino, condotta dal prof.Rocco Aloi, ha partecipato a defilè nazionali, ottenendo grandi successi. Socio del "Circolo Maestri Sarti" di Messina, dalla sua scuola sono usciti tanti giovani sarti.

"U Viddanu"

Nov 21, 2024

 

Oggi sono rimasti pochi, in questa nostra Italia,  ad esercitare il mestiere del ''contadino''. Il mestiere "du viddanu" incomincia la mattina all'alba e finisce la sera al calar del sole, con un breve intervallo per consumare un pasto a mezzogiorno. Nei ricordi del contadino  c'e in perticolare la coltivazione del grano. Tale coltivazione iniziava con l'aratura di maggio. Fino alla fine degli anni '40 l'aratura veniva eseguita con il tradizionale aratro di legno tirato dai buoi. L'aratura richiedeva la perizia del contadino e l'addestramento delle bestie.

L'accuratezza con la quale veniva eseguita, consisteva anche nella preparazione delle parti in legno che componevano l'aratro e che il contadino costruiva personalmente (ad eccezione del vomere in ferro), con l'esperienza trasmessa da padre in figlio,  lo rendeva abile e sicuro. L'aratura veniva esercitata sia a maggio che a settembre ed ai primi di dicembre per la semina. Prima della semina,  tracciava con l'aratro dei solchi paralleli, a distanza di 8-10 metri e scomponeva il campo in strisce aventi la stessa larghezza ; ogni striscia veniva percorsa in tutta la sua lunghezza dal seminatore che con ampi gesti "sventagliava" il grano uniformemente. In questi gesti, antichi come il mondo, il contadino affidava le sue speranze alla terra e  richiedeva la benedizione dal cielo. Lo stesso procedimento si eseguiva per la semina dei piselli e delle lenticchie. Ai primi tepori primaverili, il grano seminato germogliava e cresceva ; tra la fine di marzo e i primi di maggio, il campo si doveva "zzappuliari", che  consisteva nell'usare le mani e una zappetta leggera con la quale venivano estirpate le erbacce e rimosso il terreno in superficie, in modo da favorire l'accrescimento del grano.

Nonostante il contadino facesse il suo lavoro con cura,  non bastava : occorrevano acqua e sole. Se la pioggia tardava o non veniva , era compromesso l'intero raccolto.

E veniva il tempo della mietitura.... La giornata del mietitore era particolarmente lunga e pesante : dall'alba al tramonto si usava "a fauci" (falce) e si cantava per alleggerire la fatica. Il raccolto veniva depositato a terra e raggruppato in "manneddi", legati con "liami" e trasportati al mulino, che si trovava nell'attuale zona Riolo.

Ora la figura del "viddanu" va scomparendo e i metodi di coltivazione sono cambiati. L'aratro trascinato dai buoi ha ceduto il posto alle motozappe, mentre nelle campagne viene impiegato il trattore ; i sistemi d'irrigazione, di concimazione sono più moderni con l'impiego di sofisticate tecnologie.

La fatica è stata certamente ridotta ma permane l'amore della semina, della crescita delle piante, dell'attesa del frutto, della soddisfazione del raccolto... , sentimenti antichi che ormai pochi hanno ancora  dentro di sé.

"U scapparu"

Nov 21, 2024

- di Rosario Fodale -

 

Placido Amico

 

La vita degli artigiani di un tempo era fatta di sacrifici, di stenti, di privazioni, ma quella del calzolaio lo era particolarmente, in quanto  un mestiere scarsamente retribuito.

In genere l'attività del calzolaio consisteva nell'aggiustare le scarpe rotte: le risuolava, le ricuciva, rifaceva i tacchi e le punte, rattoppava suole e tomaie.

Per tutti, sfoggiare un paio di scarpe nuove era un evento che riscuoteva ammirazione, perché molti erano quelli che camminavano scalzi.

Anche se l'attività primaria del calzolaio di un tempo era la riparazione delle scarpe, quasi tutti sapevano fare scarpe nuove, dietro ordinazione. Il cliente si rivolgeva al suo calzolaio di fiducia e gli esponeva le sue esigenze : scarpe pesanti da campagna, oppure scarpe "fini" da passeggio con pellame di capretto.

Incontro dopo un po' di passi nel vialone Europa, di questa Messina, un vecchio calzolaio. Mi avvicino perché sento che ha voglia di parlare. Si lamenta che ha poco lavoro.

Osservo i suoi strumenti di lavoro : a banchitta ovvero una panca di legno a cui si siede per appoggiare i vari utensili (trincetto, lesina, raspa, strappa trincetto, brogna, rotellina, spago, chiodi di varie dimensioni, forme di ferro e di legno, lampa per riscaldare i ferri, mastice, tintura, tenaglie, pinze, tacchetti per uomo e donna, spazzola, giravite, tira-forme).

«Sono nato figlio d'arte - esordisce Placido Amico - mio padre Natale è stato il mo maestro, praticamente questo mestiere, allora, si tramandava di generazione in generazione, con tanta competenza. E sono 94 anni che faccio questo lavoro».

Si lamenta dei giovani che portano scarpe che non si possono aggiustare, non si fanno più i lavori  per le donne che usano scarpe in gomma, ed anche gli anziani gli danno poco lavoro.

Ricevuto il permesso gli faccio delle foto. Mi fa bene sentire che questo è un uomo appassionato al suo mestiere, uno che ha ancora voglia di lavorare.

Alla fine dell'interessante chiacchierata mi dice che è del ‘12, precisamente del 16 luglio, sono quasi 96 anni. Il suo parlare è una lode alle cose che ci sono anche quando è un parlare un pò sgomento o polemico.

Placido è un mastro calzolaio che in barba agli anni che inesorabilmente passano, nella sua bottega, ubicata al numero 223, lavora ancora sul cuoio.

( Foto di Giuseppe Romeo (Sig.Romeo - apprendista))

Non si tratta di spettri che lavorano presso qualche nota compagnia aerea, ma di spiriti che nel corso della loro esistenza terrena, per motivi a noi sconosciuti "persero la testa". La persero proprio, dato che furono decapitati per aver commesso chissà quale fattaccio.

Criminali, rivoluzionari, truffatori di ogni tempo, oggi ridotti a povere anime sofferenti, rimaste legate al luogo dove vissero la loro personale tragedia e con l'unico svago di apparire occasionalmente a qualche malcapitato, che non sa di essere un sensitivo, per terrorizzarlo o per avere da lui qualche parola di conforto, tipo: "Dai, non prendertela, sapessi quanta gente oggi non tiene la testa sulle spalle!".

Ma vediamo qualche caso.

Una sera di alcuni anni fa ricevetti una telefonata da un amico, Pippo, che fa il poliziotto, il quale mi disse con voce seria: "Sai, nella caserma dove attualmente presto servizio accadono cose strane, in special modo la notte..."

In breve mi mise a conoscenza di ogni particolare...tenebroso.

Lo scopo della sua chiamata era quello di convincermi a "visitare"  il luogo in questione nel tentativo di ravvisare eventuali "presenze invisibili", così da svelare l'arcano. Gli spiegai che non ero un sensitivo e quindi non avrei potuto captare vibrazioni provenienti da altre dimensioni. Doveva accontentarsi dell'intervento di uno studioso dell'occulto, quale io sono, e nulla più. Accettò lo stesso, convinto che avrei comunque risolto il suo problema.

Cosa dunque accadeva in quella caserma?

Secondo il racconto di Pippo e dei suoi colleghi, che conobbi quando mi recai sul posto, capitava che a tarda sera, all'improvviso, tutti i vetri delle finestre venissero bombardati da sassate paurose, ma, cosa strana, nonostante la violenza del fenomeno, mai uno di questi andò in frantumi.

Altre volte le pietrate infuriavano addirittura nei corridoi del locale. Però mai si individuò il responsabile di tali azioni, nessun estraneo fu visto aggirarsi nei dintorni della caserma.

Poi, un giorno, qualcuno notò un particolare curioso: i sassi che piombavano dall'invisibile erano di forma e colore diversi da quelli che solitamente si trovavano per strada, erano infatti triangolari e di tinta sulfurea, un genere di pietra mai vista prima dai poliziotti.

Un altro fatto insolito che capitava la sera, quando gli agenti si riunivano per vedere la tivù, era che proprio quest'ultima diventava come pazza e da sola, senza che nessuno dei presenti azionasse il telecomando, cominciava a cambiare ripetutamente canale, tanto che per fermare la sua folle corsa tra le varie reti bisognava spegnerla direttamente dall'interruttore generale.

Di notte, il meritato riposo dei poliziotti veniva disturbato da rumori e fischi che non si capiva bene da dove provenissero. Ormai i poveretti avevano le scatole piene di quest'assurda storia ed erano arrivati al punto di sospettarsi a vicenda. Magari era tutta opera di qualche collega buontempone...

Però, una sera, accadde un episodio che chiarì la natura di quelle inspiegabili manifestazioni. Un agente palermitano, che stava di turno al centralino telefonico, vide con la coda dell'occhio, attraverso uno specchio, uno sconosciuto che scendeva le scale che davano al basso.

Fulmineo, andò per acchiapparlo, quando la scena che gli si presentò davanti lo lasciò di ghiaccio: l'intruso vestiva abiti antichi, procedeva con passo solenne tenendo con disinvoltura la propria testa sanguinante sotto il braccio e per fortuna non degnò neanche di uno sguardo il povero poliziotto, che altrimenti ci sarebbe rimasto secco.

Dopo essersi ripreso, l'uomo raccontò ogni cosa ai colleghi, che, conoscendo la sua provata serietà e considerando i fatti precedenti, non tardarono a credergli.

È a questo punto che entro in scena io.

Recatomi sul posto, per prima cosa notai che la caserma sorgeva nella zona di San Raineri, luogo dove secondo la tradizione popolare venivano giustiziati i criminali tramite decapitazione, particolare questo totalmente sconosciuto agli agenti, pertanto non si può certamente parlar di autosuggestione.

Poi, con ansia, mi fu chiesto cosa fosse necessario fare per porre fine a quei fenomeni. Risposi che sicuramente sarebbe bastato celebrare uan Via Crucis all'interno del locale, senza tralasciare delle particolari invocazioni a San Michele Arcangelo, protettore dell'Arma.

Pippo mi disse che si sarebbe rivolto al loro cappellano affinché si attuasse ogni cosa da me consigliata.

Alla fine salutai i poliziotti e mi congedai da loro.

Seppi in seguito che proprio grazie alle mie raccomandazioni ogni fenomeno ebbe fine, ma di certo non si era spenta l'immane sofferenza di quell'anima in pena, che forse cercava solo di comunicare, nell'unico modo che conosceva, la sua orribile tragedia a chi aveva la fortuna di vivere ancora.

Dal libro "Fatti spiritici e diabolici nel messinese" di Giandomenico Ruta edito da Armando Siciliano Editore
"Si ringrazia Giandomenico Ruta e l’editore per l’autorizzazione"

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