Da qualche tempo mi costringo a cercare notizie storiche in riferimento al periodo del Risorgimento italiano e al periodo post unitario dello stesso paese. La mia attenzione alle vicende storiche rivolte a raccontare un territorio (quello dell’Italia meridionale) e i risvolti accaduti in esso in particolari aneddoti, molte volte ha permesso di rievocare fatti e cose, passate sotto silenzio. Tante volte frutto di una propaganda politica anti borbonica e ogni tanto della propaganda revisionista dei meridionali che vogliono ricordare, ciò che gli è stato negato di rammentare in 150 anni. Recentemente mi sono imbattuto in alcuni documenti davvero particolari: le deportazioni di migliaia di sbandati, militi e semplici cittadini presso le fortezze di Fenestrelle e di Exilles.
La scoperta in realtà, ha portato alla luce aneddotiche sfuggite un po’ a tutti, ma in rapporto non alle stragi dei napoletani nel “lager dei Savoia” quanto invece, al lavoro a cui si è rivolto il Tribunale Militare nel periodo post unitario. In modo particolare sul ruolo di migliaia di meridionali che hanno abbracciato la vita militare del regio esercito, rinnegando la Real Bandiera e l’antico regno Duo Siciliano. La conta dei dispersi nelle carte che dovrebbero raccontare dei massacri di Fenestrelle e delle piazze d’armi piemontesi, stona se contrapposta alla conta degli ammutinati dell’esercito italiano, quasi tutti ex soldati borbonici, i quali, hanno scelto il certo per l’incerto. Le cifre che si ascoltano in questi anni sulla presenza di truppe napoletane nel Piemonte e in Liguria ammontano a diverse migliaia. Alcune fonti osservano che nel periodo compreso fra il 1860 e il 1865 a Fenestrelle, furono concentrati 10000 soldati: ora prigionieri di guerra, altre volte sbandati, altre ancora renitenti alla leva militare e se ciò non bastasse anche, ammutinati del vecchio esercito napoletano passati alla nuova realtà italiana. Tutti uniti allo stesso destino, tutti morti a Fenestrelle?
Un muro si innalza nella storiografia regolarista e fra quella revisionista. Un muro che diventa sempre più difficile da scalare e da abbattere nelle diverse compagnie di giro. Un muro dicevo, che si colora di tinte fosche qual’ora venisse in mente a qualcuno, di osservare quelle fonti in modo diverso; oggi diremmo con gli occhi della legge. Infatti, se ciò fosse possibile operare, ci si accorgerebbe che non tutti i napoletani condotti a Fenestrelle perirono di stenti e non tutti finirono sotto la calce viva disciolti. Troppi direi, ammutinarono dal barcone del Real Esercito. Tanti furono costretti e rivedere quella scelta subito dopo, ma nessuno di essi si pentì veramente. In atto era in scena la sopravvivenza. L’onore era afflizione di pochi soldati, tantissimi erano pronti allo spergiuro per aver salva la pelle. Fra di essi, tantissimi napoletani che dovrebbero essere sotto terra nelle fortezze come esuli, vissero, sopravvissero, soggiornarono nelle carceri suddette. L’unica accezione a questa osservazione, ovvero, essere rinchiusi nelle fortezze alpine del Piemonte, era legata alla natura del periodo di ferma militare e al relativo comportamento tenuto in camerata. Il famoso Corpo dei Cacciatori Franchi per molti il ripostiglio in cui furono accompagnati i prigionieri dell’ex Esercito Borbone, in realtà fungeva da vero e proprio reparto dell’esercito neo italiano. E per quanto si cerchi di indorare la pillola, le occorrenze e le conoscenze su quel reparto, sono ben note alla storiografia italiana. Dacché, da una piccola ricognizione che ho fatto recentemente è saltato fuori un blocco di carte veramente particolare. Talmente efficace che non lascia possibilità all’interpretazione.
Una notizia che sicuramente spariglierà il panorama storico. Molti mi osserveranno in un modo diverso rispetto a prima(questo è il costo di chi fa la storia con le carte originali) altrettanti potrebbero essere spiazzati, tant’è la sorpresa, che condivido con essi, avendo a leggere conseguenze che non conoscevo e argomenti ancora oggi “scabrosi da ricordare.”
Una interpretazione storica degli effetti degenerativi nella società moderna nel meridione è senza onta di offesa, la presenza della malavita organizzata. Si è detto e ridetto che la principale conseguenza degenerativa dell’annessione, è stata la deliberata azione anti repressiva del neo stato italiano contro il vecchio regno meridionale in Italia, favorendo l’azione di bande malavitose aiutate a spargere il terrore fra i paesi e le valli del Regno Napoletano. Condivido questo affaccio alla storia. Altri hanno storpiato questa segnalazione ingerendo nel significato accessorio del fenomeno, la conseguenza di politiche repressive della corona Duo Siciliana nel regno attraverso l’utilizzo della polizia nemica della gente. Osservazione che condivido ma in parte. Pochissimi hanno osservato eccetto il Lombroso e i suoi addendi, che il male è una conseguenza genetica. Anche se nel regno appena formato, imperversava la Legge Pica che addossava ai meridionali il bollo omicida. Legge estromessa in breve lasso temporale il 31 dicembre 1865. Un tempo bastevole per colmare all’invero simile i campi dei cimiteri e le fosse comuni nel meridione d’Italia. Detto ciò, esiste una realtà che non si capisce perché non si è trovato il modo di raccontare. Io posso soltanto ragionare sulla fastidiosa coincidenza. Le risultanze mi portano da una parte in cui non vorrei andare a ficcarmi. Devo però dare voce a queste carte per onore di giustizia, aggiungerebbe qualcuno.
Dal vaglio del materiale che ho potuto studiare, mi sono accorto di avere a che fare con notizie quasi inedite. Semmai, l’interpretazione potrebbe essere inedita in questo momento storico. Il momento è propizio oggi, quando da tutto l’ex regno del meridione italiano, il grido di verità si alza alto e potente in cielo. Soltanto in questo momento credo sia possibile mettere su carta e limitatamente in un articolo queste risultanze. Quello che sembra sfuggire a tanti, rimane nella interpretazione degli accadimenti, una volta compiuto l’atto politico di annientamento del Regno di Sua Maestà Francesco II di Borbone, re di Napoli e di Sicilia (ometto tutti gli altri titoli annessi). Dal giorno seguente, chi si trovava dall’altra parte dello steccato, la truppa, il popolo borbonico, si ritrova costretto alla nuova realtà. Accade un fatto veramente singolare. Migliaia e migliaia di forza lavoro, in divisa e sotto ferma militare al soldo del Re di Napoli, vengono deportati in campi di accoglienza e sorvegliati a vista, da reparti del neo esercito italiano armati di tutto punto.
Un tale spiegamento di forze e di mezzi era dovuto, perché gli italiani del nord, conoscevano molto bene il valore de Real Esercito. Conoscevano altrettanto lo spirito di corpo di buona parte dei suoi ufficiali e dei loro subalterni. Sapevano cosa seppero fare questi uomini qualche decennio prima, nella campagna di Russia e come si ricordavano di loro le popolazioni che l’ebbero alla loro difesa, come rispettivamente alla loro offesa i nemici degli stessi. Quindi, giustamente, ne temevano il valore. Al punto da sguarnire le loro valli, mettendo in corpo alla rispettiva popolazione il vero terrore.
Ecco cosa segnalavano i giornali piemontesi nell’agosto del 1861. In un articolo del foglio di Armonia numero 200 si estrapola una riflessione aggiornata dalla raccolta di pensieri espressi in altre testate del medesimo periodo:
“In complesso, le condizioni del nostro esercito, è pur forza confessarlo, sono meno liete di quello ch’esser dovrebbero. La Gazzetta del Popolo del 26(agosto 1861) s’accorge che queste rivelazioni mettono lo spavento addosso alla popolazione, la quale teme che un bel mattino si svegli sotto la dominazione dei borbonici. Quindi s’arrabbatta per attenuare le gravità del pericolo. <<Non abbiamo ragguagli, essa scrive, sul tentativo d’impadronirsi di Fenestrelle fatto dai refrattari napoletani, e di cui parla l’Eco delle Alpi Cozie.”
Un sussulto si incominciò ad avvertire nella popolazione che vedeva i propri territori invasi da truppe nemiche, provenienti da terre lontane adesso ammassate come mandria al pascolo. Il numero era elevato e questo faceva venire in animo strani presagi al popolo.
Sempre dalla stessa testata, estrapolo un altro passaggio veramente interessante, esemplificando uno dei trafiletti del numero 199:
“Quei soldati sono ora due mila, e quasi tutti delle provincie meridionali. Altri quattro mila se ne aspettano, che saranno pur diretti alla volta di S. Maurizio. Essi sono ammaestrati con molta solerzia. Per ora non hanno armi, le quali verranno loro distribuite soltanto quando abbiano progredito nell’istruzione, e mostrino di aver acquistate le qualità che si richiedono a formare de buoni soldati. Se riescono, saranno tosto incorporati nei reggimenti, se no, si manderanno a Fenestrelle per esservi tenuti sotto più rigida disciplina, finché si correggano e diventino idonei al servizio. A tutela della sicurezza pubblica, sia dei dintorni, sia dal campo, furono inviati a San Maurizio due battaglioni di fanteria.”
Da questo stralcio, prodotto da giornalisti, quindi da osservatori terzi, ben lontani dalle grinfie fameliche dell’esercito regio, si apprende l’osservazione in rapporto al Campo di San Maurizio: sono 2000 e ne porteranno altri 4000. Se non si abitueranno al regime comportamentale e organizzativo del nuovo esercito saranno condotti a Fenestrelle. Ciò detto, in questo recinto, ci andavano gli uomini che in qualche modo non avevano dato segni di insubordinazione.
Dalle pagine di un altro giornale, lo stesso giorno 25 agosto 1861, si segnalano le precauzioni prese dal comando subordinato alla sorveglianza del campo suddetto. Estrapoliamo una segnalazione fatta nell’Opinione in rapporto a quella emergenza:
“Sappiamo che furono dati ordini severi di mantenere la disciplina, e vietare ai soldati di uscire dal campo. Queste ultime parole accennano alle gravi apprensioni non solo dei possidenti nelle vicinanze di San Maurizio, ma in generale di tutti i Piemontesi, i quali vedono non senza tremare formarsi qui vicino alla capitale un campo di giovani che, per confessione istessa dei giornali del ministero, sono irritati, indisciplinati e ricalcitranti agli ordini del Governo.”
Una folla di arditi, in rapporto all’età non vi è dubbio, imprigionati e trattati come feccia, su questo non ci piove, venne a concentrarsi in un solo campo. Il recinto doveva essere sorvegliato e lo era, con molti uomini di diversi reparti, compreso l’utilizzazione di due compagnie di artiglieria. Il Campo per eccellenza dunque era proprio quello di San Maurizio. La fortezza, da quello che trapela, era un salto successivo, dove ufficialmente, i regolamenti erano molto diversi e le condizioni di dimora altrettanto gravi.
Recuperiamo come prima, la pista generata dalla raccolta delle impressioni dei giornali dell’epoca per segnalare ancora una considerazione:
“Sentiamo l’Opinione di ieri, la quale dopo le parole or ora riferite sulle prescrizioni per tutelare l’ordine pubblico contro i soldati di San Maurizio, prosiegue dicendo: <<Prescrizioni non meno rigorose furono stabilite per Fenestrelle, dove pure i proprietari avevano paura che i soldati sbandati o renitenti, che vi furono raccolti, non fossero abbastanza sorvegliati, ciò che non è. Anzi si ebbe occasione, son pochi giorni, di riconoscere come la vigilanza fosse attenta ed instancabile colla scoperta di una cospirazione ordita da soldati borbonici. I promotori ed istigatori furono arrestati; venne sequestrata una bandiera bianca; gli altri mostrarono pentimento della loro colpa>>. Ora se i borbonici di Fenestrelle che sono un migliaio, sono già tanto arditi, che non faranno i sei mila di S. Maurizio?”
La segnalazione non è peregrina in rapporto alle incertezze, soprattutto in rapporto a un tentativo di fuga dal forte raccontato, ma fino a che punto? Il mormorio delle piazze limitrofe ai campi di raccolta, era ingenerato alla scarsa sorveglianza del circondario rimpetto ai siti in oggetto, fortezze alpine comprese. La notizia dove sta? In realtà si è inoculato nell’immaginario collettivo, che i prigionieri napoletani finiti a Fenestrelle, fecero la fine dei carcerati. Soprattutto si è affermato in questi ultimi tempi che da quella fortezza era impossibile la fuga. Niente di più falso. Il tentativo di sommossa ad esempio, rivelato alla stampa qualche tempo dopo simile atto, ingenera curiosità e timore, dalle notizie che giungevano dal comprensorio, in rapporto a un vero e proprio piano di fuga, organizzato dall’esterno della fortezza e portato in porto con successo. La famosa sommossa sventata dai piemontesi in realtà, fu la più grande presa in giro perpetrata da alcuni ragazzi, alle guardie di Fenestrelle.
Da un altro libercolo, trovato per caso nello spulciare di carte e di libri in tema, salta fuori una interessante segnalazione. In una cronaca di fatti di guerra, stampata e pubblicata a Rieti nel 1863, alle pp. 142 e 143 si segnalava:
“Né questo in verità era un piccolo lavoro, effettuare nei corpi regolari la fusione di 20000 prigionieri borbonici riuniti a Fenestrelle o disseminati nelle diverse fortezze del regno. Sarebbe stato un grave errore, il supporre che questi uomini andrebbero facilmente a piegarsi sotto il giogo d’una severa disciplina. E di ciò fa testimonianza, il fatto che si produsse in uno dei depositi, vogliam dire il complotto dei prigionieri di Fenestrelle che fortunatamente fu sconcertato e mandato a vuoto.
Condotta con molt’arte e simulazione poteva riuscire se un caso non ne porgeva il primo indizio ad uno del presidio, o quindi al comandante del forte. Quei prigionieri facevano l’ammirazione di tutti per la docilità, l’obbedienza ed il rispetto apparente che aveano dei superiori, sicchè nissuno era stato da parecchi giorni punito. A questo modo erano riusciti ad ispirare confidenza ed a render meno attiva la sorveglianza.
Dovevano ad un dato segno. armati di bastoni, avventarsi tutti ottocento contro le guardie dell’arsenale e là dentro provvedersi di armi e quindi impadronirsi del forte ed assicurarsi la diserzione. Pare che avessero qualche rara ma attiva relazione esterna e nessuna all’interno.”
La notizia qui riversata non avrebbe un gran peso, se non contenesse nella parte finale una constatazione, in parte giustificata dalla fonte. Il complotto fu sventato, ma se questo ebbe modo di nascere fu per la capacità di dissimulare un comportamento di docilità al giogo. Essi hanno certamente un aiuto esterno e nessuna possibilità (complicità) interna. Come si può giustificare questa asserzione? Dalla costruzione che ho qui riversato, metto in un certo subordine non tanto la dinamica delle fonti poste in essere, che confermano la deportazione dei soldati in Piemonte nei luoghi segnalati prima, quanto invece osservo, la condizione verso la quale, quei soldati sembrano osteggiare con ragione veduta, forti di situazioni che nulla hanno a che vedere con prigioni, da cui chi vi entra, ne esce solo se morto. I vari giornali di quei giorni, andarono a pubblicare delle considerazioni in rapporto a delle veline, venute fuori dal Ministero della Guerra, andate in pasto ad alcuni giornali piemontesi. Cioè, qualcuno fece in modo che la notizia della scommossa, si spargesse fra il popolo chiedendo una collaborazione. Ma, se i prigionieri furono scoperti, perché questo comportamento?
Un vecchio adagio dice: non dire gatto se non l’hai nel sacco. E di vero saccheggio delle informazioni venne perpetrato, spingendo a ricevere risposte. La guardiania di Fenestrelle fu fatta becca e la sommossa o dirla tale, fu consumata che che ne dicano alcuni storici. Una piccola chiosa ci viene fornita, dei fatti accaduti a Fenestrelle in quella occasione, dalle memorie di un giovanotto repubblicano che segnalava gli avvenimenti accaduti a Fenestrelle, consumati da un gruppo di gagliardi e arditi giovani in fuga dalla medesima fortezza. La notizia nota in taluni ambienti e sconosciuta pressoché a tanti altri, racconta dell’impresa di un gruppo di disertori (i cosiddetti renitenti alla leva) che alimentavano il nuovo esercito italiano. L’estrapolazione effettuata dalle memorie di Giuseppe Beghelli, edite a Torino nel 1871 ci fornisce uno spaccato di quell’accadimento, nascosto dal ministero della guerra:
“La parola spettava a Franzini. Egli era uno dei ventisette bassi ufficiali della brigata Modena rinchiusi nel forte di Fenestrelle per sospetti di congiura repubblicana, e tutti quanti disertati appena il sole della libertà sorse dopo il tramonto del sole imperiale ecclissato da punti neri. Essi si procurarono una carta topografica delle montagne che dovevano valicare. Si procurarono pure una fune e del vischio. Ricevettero ancora una lettera d’un amico che li aveva preceduti e che dava loro tutti i ragguagli necessari per superare gli ostacoli. Stabilita la sera della partenza, si portarono dal comandante del forte e lo invitarono alla rappresentazione di una commedia. Il comandante accettava di buon grado, ea sua volta invitava al trattenimento i notabili del paese. Giunge la notte: Sotto pretesto di prepararsi alla recita gli amici si eclissano. Alle sette di sera incomincia la rappresentazione. Nel primo atto prendevano parte soltanto dei soldati che non erano a parte del complotto. Appena cominciò ad annotare, due dei sergenti si avvicinarono a una sentinella che stava presso un cannone. Lo prendono di sorpresa pel collo, e prima ancora che avesse potuto emettere una voce, aveva già la bocca ripiena di vischio e le gambe avvinte all’affusto del cannone. Colla medesima destrezza fu assicurata la fune attorno al cannone presso la bocca che si avanzava oltre i bastioni, augurarono buon appetito alla sentinella che masticava e sbuffava come un toro, e uno dopo l’altro calarono fuori della fortezza, Camminarono, camminarono, e quando il comandante del forte coi notabili di Fenestrelle s’impazientavano pel ritardo all’alzata del sipario pel secondo atto della commedia, la farsa era già giuocata da quattro ore circa agli spettatori.
L’alba sorgeva, ei bassi ufficiali camminavano ancora. Spiegarono la lettera appena giunti a un punto indicato. Là diceva lo scritto, troverete un monte alto e due altri più bassi, passarete fra i due piccoli, e in due ore sarete sul territorio francese. I disertori si guardarono attorno. Da un lato v’era un erta scabrosa, ea fianco due piccole prominenze. Dall’altro lato idem. Potete immaginare l’imbarazzo di quei giovani. Se fossero stati sorpresi non v’era da scherzare. Spiegarono la carta topografica sopra un sasso, e siccome non era ancor giorno fatto, accesero un zolfanello. Doveva essere un quadro pittoresco quello che raffiguravano allora fra i monti, quei giovani ansiosi curvi sulla carta in traccia d’una strada che non trovavano. Finalmente un napolitano, il sergente Croce, propose lui un mezzo di trovar le strade; mezzo che raccomanderei caldamente allo stato maggiore lamarmoresco, qualora dovesse fare una seconda edizione delle sue gesta del 1866. Buttò in aria il suo berretto da soldato di corpo franco. Dal lato cui fosse stata rivolta l’ala visiera si sarebbero avviati. Una buona stella li protesse. La fronte del berretto si rivolse verso i monticelli che conducevano in Francia. Se si fossero diretti dal lato opposto, sarebbero capitati a Susa. L’avrebbero imbroccata bella. Giunsero a Briançon.”
Da questa strepitosa fonte, incassiamo gli estremi di quella evasione che le fonti piemontesi dissero sventata. I giovani arditi che fuoriuscirono, dovevano essere almeno 300. Sappiamo dai registri del Ministero della Guerra che a Fenestrelle fino all’estate del 1861, vi erano concentrati 1100 soldati di diversi reparti e provenienza. E sempre dai giornali piemontesi come sopra, abbiamo appreso che alla rivolta dissimulata, parteciparono in 800. La rivolta materialmente non avvenne, ma indirettamente i giornali segnalavano che, i proscritti alla congiura furono 800. E che parte di essi furono condannati, altri si ravvedranno. Sempre dalla medesima fonte apprendiamo che, avevano dei contatti esterni alla fortezza e che tanti di questi soldati evasi, si concentreranno in Francia. Contestualmente, leggendo il contenuto della fonte, si nota una azione precedente che aveva messo altri soldati nella condizione di tracciare una via di fuga, attraverso una carta topografica giunta dall’esterno all’interno della fortezza di Fenestrelle. Insomma, queste fortezze imprendibili ed ermetiche, erano più praticate di un albergo e più disponibili agli svaghi oltre confine di quanto dovevano essere immaginate.
Questo dissacrante esercizio di cronaca, vuole gettare uno sguardo sopra un luogo di detenzione, ben diverso da come c’è stato raccontato. Soprattutto forti della cronaca su edotta, e di altro materiale che ci segnalerà la vita e le opere di altri soldati, domiciliati nell’albergo di Fenestrelle e in quello di Exilles. Un reticolo di documenti sopravvissuti ai revisionisti e ai dipartimentisti, raccontano di una realtà, fatta di soprusi fra prigionieri, di processi per direttissima, di linciaggi e di camorra. Infatti, furono conservate delle lettere che intercorrevano fra gli inquilini delle due fortezze, dove si scambiavano: informazioni, ordini, e comportamenti da tenersi nei confronti di chi si ribellava, alla realtà, che prendeva largo fra le maglie larghe della guardiania piemontese. Che ci raccontano situazioni molto lontane dai luoghi di pena tremendi. Reali furono le morti di tisi fra i soldati concentrati in quei campi, come allo stesso tempo, reali sono state le azioni e le punizioni inflitte ai sepolti vivi. Ma, non ve dubbio su questa nuova posizione, in rapporto alla capacità dei renitenti asserviti al nuovo esercito italiano reclusi fra quelle mura, che la storia di detenzione, in questi plessi, non è stata ancora raccontata.
(immagina da elalm.org)