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Le produzioni industriali a Messina e le tutele doganali costruite per i suoi prodotti - di A.Fumia

Il Marchio di Qualità Certificata della Regia Dogana di Messina per le manifatture delle pelli e dei cuoi e dei prodotti filati, sono una novità da segnalare, nelle attività commerciali del Governo della Casa Reale del Regno delle Due Sicilie. Le frodi commerciali come la contraffazione non sono un problema contemporaneo, ma un danno affrontato anche nel passato dall’industria specializzata. La manipolazione dei marchi di fabbrica di merci specifiche oggi cosiddette griffate, arrecava anche nel remoto passato ingenti danni economici alle produzioni industriali delle manifatture più pregiate. Immaginare un paese ricco di inventiva come l’Italia, garante dei suoi prodotti nel mercato globale, è una caratteristica di normale tutela dei diritti del fabbricante nello stato di provenienza. Infatti, così è accaduto al tempo del governo Borbonico nella Sicilia preunitaria, ai lavori industriali realizzati dalle fabbriche della città di Messina. Già a partire dagli inizi del XIX secolo, si era incrementato oltre misura, il commercio della conceria delle pelli e delle manifatture dei cuoi. In tutta Europa come nel Nuovo Mondo, questi articoli erano molto di moda. Nelle produzioni europee continentali, eccellevano i prodotti inglesi e francesi, che presto dovettero confrontarsi con le produzioni fabbricate dalle fabbriche manifatturiere messinesi. La produzione di lusso addirittura, era un mercato limitato alle botteghe sorte in Messina; e gli artigiani più quotati inglesi, olandesi, portoghesi oppure fra gli italiani fiorentini e napoletani, si concentravano a Messina, dove esisteva incredibile a dirsi, un Marchio di Qualità Certificata sulla merce prodotta.

Nel 1822 attraverso i traffici mercantili e il porto franco, i fabbricatori di pelli di Messina, patirono un grave danno commerciale in quanto,   i timbri di garanzia della Regia Dogana messinese, venivano puntualmente contraffatti e copiati da faccendieri senza scrupoli; spacciando un prodotto scadente come ottimo, essendo marchiato, dalla rinomata sigla dei Fabbricatori Messinesi. Fu stabilito dal sovrano del Regno delle due Sicilie per Regio Decreto, che tale industria, venisse tutelata dalle speculazioni. Pertanto, fu inventato un sistema, ai tempi anticontraffazione: imprimendo sui prodotti di Messina, un contrassegno cifrato con la leggenda: Regia Dogana di Messina per la Manifattura dei cuoi, inserito in un particolare bollo. Ad ulteriore garanzia del prodotto, la bollazione doveva essere esercitata, alla presenza dell’Attendente della Dogana di Messina, precedentemente avvertito dal fabbricante; stipulando un codicillo riversato nelle registrazioni doganali, in un apposito registro numerato segreto, dove erano annotate le segnature cifrate, impresse nel prodotto finito. Per tale motivo, si doveva pagare una somma per il cuoio, una vera e propria tassa di registrazione.

Di conseguenza, le pelli e i cuoi sforniti del Marchio di Qualità Certificata e Cifrata, venivano considerati fuori legge, e i loro possessori denunciati per frode, secondo le disposizioni della legge previste nel Decreto Regio del 28 marzo 1823. Il particolare marchingegno inventato permise successivamente, di sviluppare una matrice speciale ed esclusiva per i prodotti fabbricati a Messina, unica in tutto il regno. Il conio dei bolli della Dogana di Messina sarà l’espediente necessario per individuare un procedimento anticontraffazione sui prodotti industriali prodotti nella Città dello Stretto. Ripescato quasi per caso nelle collezioni delle leggi e dei decreti del Regno delle due Sicilie, la scrittura e la relativa tavola che descriveva: la forma, la figura, l’etichetta e il fine della medesima bollatura doganale, ho potuto raccogliere un piccolo materiale d’archivio. Da queste carte è palese una precisazione non di poco conto, molto importante per comprendere il meccanismo dei valori espressi.

Malgrado la Regia Dogana avesse preso seri provvedimenti, in materia di falsificazioni e di frodi, il Pubblico Archivio della Dogana di Messina, era costantemente impegnato a scovare le ripetute truffe ai danni dei suoi prodotti, riconosciuti dagli speculatori come “Fabbricazioni di Alta Qualità”.

Un esempio lo troviamo nella cedola del 11 settembre 1835, segnata nel quaderno numero 123, nel numero di ordine 3028 a pagina 102 dove si leggeva: Decreto numero 3028 che accorda la facoltà per la collocazione per le pelli e per i cuoi della fabbrica di Giuseppe Morganti e compagni di Messina. Il bollo di cui si farà uso, avrà nel mezzo, l’emblema della Trinacria con la leggenda in giro – Regia Dogana di Messina – Fabbrica di pelli e cuoio di Giuseppe Morganti e compagni. La sua forma era ellittico ovoidale.                  

Un altro esemplare della Regia Dogana di Messina, questa volta segnalato nel registro numero 127, alla segnatura dell’ordine numero 3110, alla pagina 189, relegato allo stesso modo presso le collezioni delle leggi e dei Decreti Reali del Regno delle due Sicilie, dove si fa la medesima descrizione fatta per il bollo della fabbrica di Giuseppe Morganti e compagni, così come segue: Decreto numero 3110 del 6 novembre 1835, che concede la bollatura sui cuoi e le pelli manifatturate, della fabbrica di Giovanni Caminiti di Messina. Questo bollo avrà nel mezzo l’emblema della Trinacria con la leggenda in giro: Regia Dogana di Missina – fabbrica di cuoio di Giovanni Caminiti. La sua forma sarà ellittico ovoidale. Con lo sviluppo di nuove procedure daziali anticontraffazione, a Messina si pensò bene di adottare un criterio simile anche per le produzioni manifatturiere tessili.

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Così accadde che per Decreto Regio il 2 luglio 1838, di imporre un nuovo criterio di bollatura di garanzia, sulle manifatture tessili messinesi. Questa bollatura, serviva a tutelare la merce, quando veniva inserita nel mercato internazionale, visto che era stata fatta oggetto di imitazione fraudolenta come nel passato per altre tipologie di prodotti di fabbricazione messinese. L’alta qualità dei tessuti di Messina, favoriti rispetto a numerose produzioni, induceva anche in questo caso molti falsari a manipolare i registri di imbarco e le bolle di accompagnamento, per confondere con dolo, coloro che si accingevano a comprare tessuto scadente, scambiato per un filato messinese indice di alta qualità. Allo scopo, fu creato un particolare marchio cromatico di riconoscimento: una sorta di etichettatura speciale a garanzia dei prodotti.

Ecco cosa affermava si fatto decreto sulla questione, ordinando: “Alle manifatture di Messina, le quali possono confondersi con i lavori esteri, pria di ricevere la ultima mano d’opera, si apporrà un marchio a ruggine di ferro.”

La scelta cromatica non era casuale e allora neppure facilmente imitabile. Ancora in quel tempo, non si era riusciti a ricreare la tonalità color ruggine, utilizzando prodotti chimici fabbricati anche questi a Messina adatti allo scopo. L’industria chimica e calorifica era un’altra perla da esibire nel mercato industriale dell’epoca. Infatti, quella unità cromatica era costosa da realizzarsi, visto che i colori di base convenzionalmente prodotti nel mercato internazionale, non prevedevano quella tonalità color ruggine fra quelle prodotte e utilizzate in campo commerciale. La trovata del colore di ruggine per qualche tempo, sortì gli effetti sperati, ridando slancio allo smercio dei tessuti in questione.

L’utilizzo dello strumento della bollazione, soprattutto per le merci manifatturiere di Messina, era divenuta uno strumento indice di alta qualità e raffinatezza a garanzia degli acquirenti che acquistavano volentieri merce proveniente dagli stabilimenti siciliani. Ottennero per Decreto Regio questo ufficio, sulle produzioni industriali per i tessuti, gli stabilimenti industriali: dei fratelli Ruggiero, di Guglielmo Leaf and Hall, di Giuseppe Morgante e Flavia Vadalà tutti di Messina. L’Impegno del governo a trovare le strade giuste a tutela delle merci prodotte nel bacino industriale messinese ben presto provocò, una forte richiesta sul mercato interno e specialmente su quello estero. Per tale motivo gli approdi per accogliere i vapori e le imbarcazioni che si apprestavano a comprare grosse e significative quantità di prodotti finiti, ebbe indotto l’amministrazione locale a chiedere ed ottenere nuovi spazi costieri.

Dunque, il potenziamento del litorale doganale di Messina, fu la conseguenza di questa richiesta di prodotti tipicamente costruiti a Messina. In un arco di tempo ristretto, le esigenze doganali rapportate agli scambi, furono adeguate alle necessità del giro di affari prodotto dalla merce   fabbricata sulla piazza di Messina. Man mano che l’industria marittima a Messina (ovvero delle società di armatori che mettevano i loro mezzi e gli equipaggi, a disposizione di vere e proprie tratte marittime operativi sulle rotte dei cinque continenti) ampliava i suoi scambi commerciali, e più forte si faceva la domanda per usufruire di servizi di sbarco, resi limitati ed angusti dai doveri doganali fu necessario ampliare gli spazi adibiti per l’ormeggio dei vapori. Con il mutare dei traffici e il moltiplicarsi delle occasioni, si avvertì la necessita di ampliare il litorale doganale per meglio accogliere e in quantità maggiore, più navigli che prima.

Con il Decreto Regio del 13 marzo 1833, si modificarono le classi di alcune dogane in Sicilia, che avrebbero acconsentito di introitare, un maggiore scambio giornaliero di materiale, adesso regolamentato in modo ufficiale. In quanto a Messina, la maggiore delle città marittime siciliane nella intensità di scambio e di smercio di merci, il Senato della Città dello Stretto (una sorta di Comitato degli Industriali), aveva favorito l’ampliamento, del litorale di Dogana Regia. Adesso costituendovi, nuovi posti di guardia doganale dalla Porta del Real Basso, fino ai quartieri di Terranova; avendo ottenuto il riconoscimento di “Piazza di Soprannumero” poteva adesso, allocare nuovi e più ufficiali per migliorare il funzionamento di questo ente.

Le nuove realtà industriali di produzione di designer floreale e vegetale costituitesi a Messina, sulla falsa riga delle produzioni di accessori dei prodotti finiti delle pellami e dei filati, fu talmente redditizia, da entrare quasi immediatamente in competizione con gli stabilimenti di Parigi e di Londra che in questa tipologia industriale, avevano in Europa un vero monopolio. Antonino De Angelis da Messina dal nulla, sfruttando le condizioni industriali create dal mondo della chimica messinese, da quello del tessile e da quello dei pellami, si inventò in Sicilia, la fabbrica di decorazione floreale di arredamento per interni. Con la nascita dei floricoltori di merce artificiale, Messina potenziava il suo reticolo industriale. Infatti, così come la sorella, già dal 1842, Antonino De Angelis era divenuto un forte imprenditore nel settore, la cui impresa contava decine di operai.

Produceva non solo la materia prima sotto forma di frutta, fiori, piante di alto fogliame, ma anche gli inchiostri e i colori naturali in diverse tonalità. Gli empori, le vetrine delle botteghe, gli androni dei palazzi, gli edifici pubblici, privati e religiosi, tutti esponevano i suoi prodotti. Questa commercializzazione prese largo consumo a Palermo, Napoli, Bari e in altri grossi centri del regno. La frastagliata produzione di prodotti sempre più diversificati, permetteva un salto di qualità nelle rifiniture dei prodotti costruiti diremmo oggi, in catena di montaggio. Nacquero così, gli stabilimenti di prodotti specializzati. Le tecniche di produzione, pur rimanendo in comparti industriali primitivi incominciavano a mostrare i segni dell’evoluzione tipologica di singoli prodotti, ricercando sempre la migliore qualità possibile delle merci prodotte. Un particolare riguardo fra le molteplici categorie industriali, si deve associare a una tecnica di tramazione proveniente dal mondo delle filande di seta e impiantata nel tessile che produceva filati di cotone, lino e lana. La fabbrica di torcitura di Antonino Ziniti da Messina venne impiantata intorno al 1835. Nel 1837 lo stabilimento si era talmente specializzato, da svincolare intere procedure di confezionamento accessorio previste nelle filande seriche adesso reimpiantate in fabbrica. Il procedimento che avrebbe portato dal baco al prodotto serico finale, era molto complesso e laborioso. Per tanto, a differenza del passato, dovendo competere con il mondo che progrediva velocemente e con un mercato sempre in evoluzione, si doveva recuperare i costi di fabbricazione, sveltendo le dinamiche della stessa   fabbricazione: per arrivare a una veloce produzione, si suddivisero in comparti industriali separati, le modalità di lavorazione del baco e del filato della seta. Quindi per pubblici Decreti Regi, il governo della Casa Regnante di Napoli, aveva favorito lo scorporo di parti di lavorazione della seta, favorendo l’apertura di nuovi impianti, la dove l’economia ne garantiva i rendimenti e i costi di produzione. Il Senato di Messina (ovvero, una sorta di associazione di grandi industriali che fungevano da azionisti di maggioranza di quasi tutti gli impianti industriali, coprendo cariche riconducibili all’antico ente amministrativo), si adoperava in tal modo, creando una Cassa di Deposito a vantaggio del credito e di tutti coloro che volevano tentare la strada dell’industria.

Lo stabilimento di Antonino Ziniti a Messina, fin dal 1837 si era specializzato, nella torcitura dei filati di seta. Allo stesso tempo, vi erano altri stabilimenti che avrebbero ricevuto i filati intrecciati e già attorcigliati lavorandoli in trama ed in ordito da associare ad altri tessuti per la creazione di abbigliamento, coperte, tende, imbottiture e tipologie tessili per indirizzo simili. Questa organizzazione del lavoro, favoriva una più rapida produzione di prodotto serico, che ne abbassava fortemente i costi e apportava grandi rendite finanziarie; guadagno formato non solo sullo smercio dei prodotti finiti ma soprattutto, dallo sgravio dogale che incideva sui costi di produzione, sullo stoccaggio della materia prima immessa nel suo bacino portuale e sulle gabelle municipali   il transito delle stesse materie prime circolanti sul territorio isolano. In questa fabbrica di Antonino Ziniti, all’avanguardia per i tempi, ci lavoravano 50 operai e 30 operaie. Se l’industria manifatturiera si era diversificata per contrastare le grandi produzioni industriale in campo internazionale, ben presto anche gli stabilimenti industriali del pellame e del cuoio incominciarono a soffrire la concorrenza sleale degli imprenditori francesi e inglesi. Il credito per i messinesi non fu più un problema e con il moltiplicarsi delle tipologie industriali prodotte, nacquero di pari passo altre banche e istituti di credito addirittura giunte a 6 fino al 1859. I messinesi da molto tempo si erano specializzati nella lavorazione di grossi cuoi e le loro concerie, erano molto stimate.

Nel 1852 esistevano a Messina 8 stabilimenti industriali di conceria, dove si lavoravano questi grossi cuoi, delle grandi e piccole pelli di vitello. La più considerevole di queste fabbriche, realizzava annualmente la lavorazione di 25600 pelli di ogni specie ed occupava 143 operai. Gli stabilimenti tutti di Messina riuniti, producevano: 35660 grossi cuoi, 14400 piccoli cuoi, 4800 pelli di vitelli, 10700 pelli di vitellino.

In totale producevano 65500 pelli di ogni genere. Il guadagno si otteneva calcolando il peso e la manifattura che veniva stimata come segue: 5 grossi cuoi corrispondevano a 79,3 kg; 11 piccoli cuoi corrispondevano a 79,3 kg. La paga era di 12,75 once giornaliere per 302 operai impiegati in questo settore, che produceva ogni anno, circa 1.000.000 di kg di prodotto lavorato nella sola Messina. A fronte della produzione annua, di 1.112.000 kg di tutto il Piemonte e della produzione annua, di 2.200.000 kg di tutta la Lombardia. Una quantità presso che identica, veniva prodotta a quella della sola Messina, nel restante parte insulare del regno di Napoli, quando in tutta la Sicilia, Messina compresa, se ne producevano 2.000.000 kg all’anno.

                                                                                                                                            Alessandro Fumia

Ultima modifica il Giovedì, 06 Ottobre 2016 08:41
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