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I Manifesti

- di Marco Giuffrida -

Ancora nel ’48 potevo vedere, affissi all’interno degli androni delle scuole, i manifesti che ricordavano le “miserie” che la guerra, da poco finita, aveva seminato.

Grandi e coloratissimi, invitavano a non toccare e raccogliere nulla da terra ed ad usare la massima prudenza nel camminare in zone dove vi erano macerie non ancora rimosse.

Potevo osservare, non senza un pizzico di raccapriccio ed orrore, le immagini di un ragazzino senza una gamba e con le sue brave stampelle di legno e di un altro senza una mano con in bell’evidenza il moncherino fasciato.

“Loro” avevano preso e, poi, giocato con qualcosa di assolutamente pericoloso.

Ed ancora, scritte minacciose che intimavano, a ragione, di non toccare “oggetti come questi” e, sotto, vi erano sciorinate le immagini di bombe piccole e grandi, a mano, proiettili ed ordigni di ogni tipo.

L’impatto, entrando ed uscendo dalla scuola, era sempre piuttosto forte nel vedere le immagini di quei bambini e, a dire la verità, l’attenzione dei grandi era sempre massima.

Del resto (se la memoria non mi inganna o fuorvia), esisteva un “Istituto”, quello dei “Mutilatini” (forse di Don Gnocchi) che ospitava quei bambini che, a causa dell’esplosione di ordigni rinvenuti e con cui avevano giocato, o perché coinvolti in qualche bombardamento o mitragliamento, avevano perso un arto o erano restati gravemente menomati.

Anni duri ed allo stesso tempo pieni di speranza quelli dopo il 1945.

C’era, innanzi tutto da superare l’angoscia della guerra.

E  quei manifesti macabri, che spiccavano su tutti muri, dentro gli edifici pubblici, non davano una mano.....

Fuori, sui muri delle case, c’era dell’altro e di tutt’altro tono:

Vi erano i manifesti politici.

Lotte feroci fra Partiti che volevano, a seconda del colore, porre l’Italia sotto il Blocco comunista dell’Unione Sovietica o sotto quello occidentale degli Stati Uniti.

Ma, questo, apparteneva ai discorsi dei grandi.

Io, (e questo lo ricordo bene) oltre ai simboli dei Partiti con i loro motti ed i “faccioni” dei loro candidati, potevo osservare feroci vignette satiriche dove, ad esempio, una specie di “Uomodrago” mangiava bambini.....

Messina, come penso tutte le altre città italiane, era tappezzata di manifesti che coprivano, del tutto o in parte, le scritte nere sui muri che inneggiavano al Duce o raccomandavano, imperiosamente:

“Zitto, il nemico ti ascolta”.

Manifesti, striscioni di ogni tipo, comunque, non riuscivano a nascondere, neppure in parte, le brutture dei muri danneggiati degli edifici.

Per me, bambino, comunque, poco o nulla significava quel “clamore” dato che, niente di utile, in modo diretto o indiretto, me ne veniva.

Salvo che in un’occasione, a dire il vero!

Da questa propaganda, infatti, ci fu anche qualcosa che giunse fino a me!

Non so come e da dove, un giorno arrivò a casa uno striscione di tela blu con scritto in bianco “Vota Democrazia Cristiana” e, a lato, il simbolo del Partito....

La nonna e la mamma si ingegnarono a tagliare e cucire, per noi ragazzi, dei pantaloni corti. Evitarono, accuratamente, di utilizzare la parte con il  grande simbolo.

“Troppo vivi i colori per la tintura”, sentenziò la nonna che se ne intendeva.

Infatti, fu acquistata della polvere (Inferno) che, sciolta in acqua bollente, sarebbe servita per colorare il tessuto.

Fu scelto un blu scuro capace di coprire le grandi lettere bianche della propaganda e rendere il tessuto omogeneo nel colore.

Tutto, all’inizio, andò bene, poi, dopo i primi lavaggi, pian piano, il colorante cominciò a sbiadire e, lentamente, cominciarono a comparire, in blu sempre più chiaro e fino al bianco originale, le lettere della propaganda.

A me toccò buona parte della lettera “S” ed un pezzetto di “T”!

A quel punto: “I vostri pantaloncini li userete solo per casa”, fu il commento laconico di mamma.

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