- di Marco Giuffrida -
Dopo alcuni tentativi di farmi frequentare l’asilo presso il “Collegio Sant’Anna”, lì, vicino casa, fu deciso che mi avrebbero iscritto, già in seconda elementare, presso i Salesiani.
In fondo, non ero interessato ad essere, al Sant’Anna, l’unico maschietto accolto in via sperimentale.
E fu così che, a quattro anni compiuti, cinque li avrei fatti poco dopo l’iscrizione e sei li avrei avuti “nell’anno scolastico in corso” (che era il successivo), nel pieno rispetto della Legge, fui accolto nelle Scuole Elementari del Salesiani.
Ma, grande problema, sapevo già leggere e scrivere dato che avevo imparato, praticamente, da solo. Ero un po’ andato controcorrente avendo iniziato a mettere, per prime, nero su bianco, parole come “cacca” e “pipì” e non mamma e papà, come sarebbe stato più opportuno e dignitoso.
Ero pure stato rimproverato ed uno scapaccione aveva siglato il successo della mia bravura ma, visto che a quelle parole sconvenienti ne avevo aggiunte molte altre, non potevo più andare in prima e, per questo, fui passato, direttamente alla seconda elementare.
Ogni mattina uscivo presto di casa perchè, prima delle lezioni, la giornata iniziava, obbligatoriamente, con la Messa.
Allora era in latino e parole come “ite”, “tantum”, “vobiscum” e “santificetur” mi affascinavano pur non comprendendone, assolutamente e naturalmente, il significato.
Il Maestro della seconda elementare, abbastanza giovane, era un laico che metteva soggezione solo a guardarlo.
Sembrava uscito dall’Inferno.
Quell’Inferno che, accuratamente, ci veniva descritto dai preti come deterrente a non commettere peccati.
“Dovete essere buoni e puri come il Beato Domenico Savio”, ci ripetevano.....
E “Lui”, il Maestro, Domenico Pietrone, grande e grosso, con il vestito grigio scuro e la fascia del lutto su un braccio, ci guardava dall’alto in basso e non sorrideva mai.
“E’ cattivo”, dicevamo tutti. “E, per sembrare ancora più cattivo, si è anche fatto crescere la barba”, aggiungevamo.
Nero di capelli, nero di barba.... nero di umore.
Non andavo malaccio a scuola .... solo, in disegno, dicevano, non avevo la mano felice.......
La mattinata scolastica si concludeva con un’ora al giorno di Religione.
Per questo, il rientro a casa, era appena prima delle due del pomeriggio.
Giusto il tempo di pranzare, prima che rientrasse dal lavoro il papà, verso le quattordici e trenta..
Ho tanto invidiato quegli amici che andavano alla Scuola Pubblica: dalle otto alle dodici!
Terminata la seconda elementare, venne deciso che, visto che la terza era una ripetizione della seconda, tanto valeva che restassi lì “a rafforzarmi”.
E mi rafforzai al punto che, ripetuta quella classe, sempre per accordi fra i “Salesiani” e mio padre, sostenni un esame per passare, direttamente, dalla seconda in quarta!
Le ultime due classi delle Elementari presso i Salesiani hanno poca storia..... salvo la presenza costante, obbligatoria, all’Oratorio (allora “Beato Domenico Savio) tutti i pomeriggi liberi da impegni scolastici e, naturalmente, anche la domenica che si concludeva con la visione di qualche film del tipo “arrivano i nostri”.
Dopo “l’esame di ammissione” alle medie, con mia grande gioia, maggiore libertà e “risparmio di tempo”, frequentai la Scuola Media Pubblica.
Purtroppo non ne ricordo il nome ed i documenti, come le pagelle, sono andati persi o eliminati nei traslochi.
Si, quella Scuola doveva essere, partendo dal Torrente Boccetta ed andando verso il centro”, all’incirca, in fondo a Via Oratorio della Pace.
Anche se non ricordo il nome della Scuola, ricordo, ancora, il nome dell’insegnante di lettere: Guerrisi.
Vincenzo Guerrisi.
L’ho avuto dalla prima alla terza.
Un Uomo austero, severo ma di grandi capacità e, soprattutto, di grande umanità. Appassionato del suo lavoro e ottimo comunicatore. Amava poeti inconsueti (poeti senza rime, dicevamo noi ragazzi), amava Saba, Quasimodo.
La Metrica, in latino, era la sua passione.
“Quis fuìt orrendòs primùs qui protulit enses?”
E traduceva......
“Chi fu, cosa orrenda, colui che per primo protese la spada?
Poi, riprendeva, nella “Lingua Madre”, calcando sugli accenti in modo musicale e appassionato.
Tutto quello che so e ricordo del latino lo devo al Lui ed anche a Lui devo il piacere di leggere e, a volte, di scrivere.
Era un Uomo, comunque, capace di far sorridere e che mi ha aiutato a guardare lontano.