- di Mirella Formica -
La Chiesa di Santa Maria Alemanna che si affaccia sull'omonima via è inserita nel tessuto urbano. La storia e lo sviluppo di questa chiesa sono associati alla storia e allo sviluppo degli ordini ospedalieri che in relazione alle Crociate sorgono nei punti più importanti di sosta, erigendo ospizi e chiese. Era infatti originariamente affiancata da un ospedale oggi interamente distrutto. Il Gallo, basandosi su un antico documento, collocava la data della sua costruzione nell'anno 1197.
Agli inizi del '900 Lombardo Radice avanzava l'ipotesi che la chiesa fosse più antica, tale da potersi riportare alla seconda metà del secolo XI. Attualmente, d'accordo con gli storici Buonfiglio e Samperi, la si attribuisce approssimativamente intorno al 1220. Proprio in quegli anni infatti l'imperatore Federico II fondava a Messina il Priorato dei Cavalieri Teutonici, in considerazione del fatto che la città svolgesse una importante funzione di tramite nei collegamenti con l'Oriente.
La permanenza, per circa tre secoli nella città dello stretto, di una cospicua colonia tedesca favorì il prosperare delle due istituzioni del Gran Priorato e dell'Ospedale annesso. Venuto meno l'intenso fervore religioso e commerciale che aveva accompagnato le Crociate, i Cavalieri abbandonarono la città e il loro tempio, a cui si apportarono le prime importanti riparazioni nel 1485, come risulta da a documento del nobile procurare Sollima. Affidata all'amministrazione della Magione, l'Alemanna venne prelevata nel 1605, come da contratto notarile, dai Rettori della Pia Casa di S. Angelo de' Rossi, con l'obbligo di mantenere il culto. La decadenza dell'edificio doveva essere all'epoca già vistosa, se nel 1606 Buonfiglio riferiva: "In un luogo di poco passaggio si vede la hoggi mezzo rovinata chiesa di S. Mlaria dell'Alemanna, Priorato de' Cavalieri Teutonici. Nell'anno 1612 poi fu quasi completamente distrutta da un fulmine, e tale era ancora nel 1750, allorché il rev. D. Antonio Brancati, ingegnere, la definì sconquassata.
I terremoti del 1783 conclusero lo stato di rovina: sotto le terribili scosse crollarono infatti la fac ciata col suo portale e tutte le volte interne a crociera. Per tale motivo il tempio venne dichiarato inagibile e i Rettori del S. Angelo furono costretti, nel 1808, a trasferire l'esercizio dei culto nella propria chiesa. Abbandonata a se stessa, l'Alemanna fu adibita a magazzino fino al 1874, anno in cui il Comune iniziò i lavori di consolidamento, la realizzazione di coperture ed il trasferimento in quel locale della statua di Nettuno del Montorsoli. Il progetto di ristrutturazione tuttavia non fu perseguito con molto impegno, dal momento che l'edificio tornò ben presto ad essere occupato da fabbri che con le loro fucine resero saturo l'ambiente di fumo e di nero. Inoltre fino al maggio del 1893 servì al maniscalco che vi tenne la capra.
Il terremoto del 1908, paradossalmente, rispettò i ruderi: solo il pilastro polistilo di sinistra subì danni, che furono però subito riparati in quanto la chiesa, anche se priva di pavimento, di intonaco, grondante umidità, venne adibita a deposito per le opere d'arte che si andavano estraendo dalle macerie della città. La vera alterazione dei suoi caratteri originari è imputabile piuttosto al piano regolatore successivo al sisma, che da un lato la soffocò col sollevare il livello delle vie circostanti e dall'altro la rese affatto visibile con la costruzione di nuovi edifici.
Nel 1935 il Consiglio Superiore per le Belle Arti affrontò il problema del restauro dell'Alemanna. Il progetto prevedeva una ricostruzione basata sul rifacimento del monumento distrutto: operazione invero arbitraria, e facile a degenerare in un falso, dato che l'edificio era ben lontano dall'essere un'opera chiara, ben definita, unitaria e ben costrutta in pietra di taglio. Per tali motivi si- optò per una seconda soluzione sulla base dei rilievi di Pietro Gazzola. Il tempestivo sopraggiungere del secondo conflitto mondiale non permise l'attuazione di tale progetto. In un nuovo tentativo di restauro, basato sul materiale in loco, si è proceduto negli anni '50 (con interventi anche recenti, inglobando alcuni pezzi custoditi nel Museo Regionale) all' anastilosi, cioè alla ricomposizione degli alzati con elementi originari. Pertanto il tempio, o meglio ciò che restava, venne smontato e parzialmente ricomposto con armature in cemento armato.
Negli ultimi anni si è provveduto ad un restauro conservativo eseguito con perizia, pertanto a tutt'oggi, l'edificio saltuariamente ospita iniziative, quali convegni, concerti, mostre, a cui fa da mirabile cornice. Dell'architettura di Santa Maria Alemanna si può dire in via approssimativa, poiché dell'organismo originario mancano ormai molti elementi.
La pianta di forma allungata è divisa in tre navate da una triplice serie di pilastri a fascio, composti da un nucleo di forma allungata rettangolare, da cui sporgono, per ciascuno dei quattro lati, un gruppo di tre colonne parzialmente incastrate. Ciascun fascio così composto raccoglie e unisce in un unico blocco le imposte degli archivolti disposti in senso duplice, e cioè sia in senso longitudinale che in senso trasversale. Sembra quasi che la sua struttura architettonica sia stata concepita con un elemento di base che la caratterizza spiccatamente: gli archi-diaframmi trasversali, che si ripetono ad ogni campata.
A questa complessità di sagomazione dei pilastri-sostegno corrisponde la sinuosa modulazione delle loro basi e quelle degli archivolti. In corrispondenza delle tre navate si sviluppano dal lato orientale, con moderata sopraelevazione, tre absidi semianulari, che mantengono all'esterno la stessa sagoma. La pianta della chiesa è stata soggetta ad una forte mutilazione nel senso longitudinale, infatti in seguito al terremoto del 1783, il prospetto fu arretrato di diversi metri, fino ad includere nei suo sviluppo i pilastri della prima campata. Originariamente la chiesa misurava 25 metri di lunghezza per 14 di larghezza.
Pur essendo suddivisa in settori ad angoli retti, la chiesa non avrebbe potuto essere coperta interamente a volta, anche per la scarsa resistenza alla tensione del materiale gessoso usato per tutta la chiesa, sicchè delle capriate erano disposte proprio su ciascuno dei diaframmi, in corrispondenza della navata centrale. Essa non riceveva luce diretta se non dalle finestre delle absidi e dalle aperture laterali. Le stesse falde del tetto che copriva la navata centrale si prolungavano presumibilmente dai due lati a coprire le navatelle. Era dunque una chiesa di moderato slancio in altezza, semplice, dove all'interno, ma più all'esterno, spiccavano l'effetto delle proporzioni, delle linee e dei volumi. La ricchezza dei profili infine, conferiva alla chiesa un timbro di stilizzata ricercatezza artistica.