- di Giovanni Cammareri -
Le "cene" di Salemi sono superbe sinfonie di simboli disparati.
I secoli hanno inoltre imposto ai pani le forme più varie. Dalle scale alle forbici, dalle chiavi ai grappoli d'uva e poi ancora soli, lune, stelle, orologi, pavoni, angeli, croci, campane e altro ancora.
In mezzo alle foglie di mirto e di alloro, ai limoni, alle brocche di vino sulle tavole imbandite, a testimonianza di un simbolo finalmente cristiano c'è l'immancabile pesciolino rosso dentro la vaschetta. Per individuare i luoghi segreti dove si davano convegno, i cristiani vi disegnavano infatti proprio un pesce.
Gli altari di S. Giuseppe, o "cene", vengono allestiti in abitazioni private, qualcuno in spazi pubblici, altri presso sedi di associazioni. Uguali nei contenuti e nella collocazione degli elementi principali, composizioni e dimensioni, variano. Ciò sollecita visite e raffronti in un via vai continuo soprattutto nei giorni festivi, visto che le esposizioni si protraggono per diversi giorni.
La preparazione di questi apparati, una vera stratificazione di segni e culture, è lunga e complessa.
Erette le strutture portanti, talvolta imponenti, si provvede a rivestirle con i pani preparati dalle donne del luogo, generalmente da quelle presso la cui abitazione, per motivi di voto e per tradizione, verrà completata e ritualizzata la "cena".
La sacralizzazione dell'equinozio trova quindi il suo apogeo attraverso 'u mmito, l'invito cioè a tre bambini (un tempo poveri) che impersonano la Sacra Famiglia. A volte l'invito viene esteso ai nonni, sant'Anna e san Gioacchino, per cui personaggi e invitati diventano cinque, segno di maggiore sacrificio conferito al voto.
Momento topico della festa è la mattina del 19, sebbene vi sia una tendenza a spostare 'u mmito alla domenica successiva, con la conseguente disgregazione temporale del rito vero e proprio.
I bimbi che impersonano la Sacra Famiglia, sempre più raramente in costume, vengono dunque presi direttamente in casa loro, talvolta con la banda musicale.
I cortei sono preceduti dal tamburo in festa, alcuni vengono avviati in chiesa per la messa, altri direttamente al banchetto. Una volta arrivati, i santi prendono finalmente posto a tavola dove sono "costretti" ad assaggiare di tutto un po’di quanto preparato dalle famiglie ospitanti, i cui componenti servono le numerosissime portate. Ma non sono centouno come si crede, è solo un modo di dire per evidenziare che sono tante. Possono infatti arrivare anche fino a quaranta. Il pranzo, tra "viva Gesu, Maria e Giueppe" a ogni portata, fra paesani e turisti, si svolge al contrario.
Si comincia dalla frutta, generalmente arance, concludendosi con 'a pasta c'a muddica e i finocchi.
Gli stessi santi rimpinzati all'inverosimile offrono spesso alle persone più vicine a loro un assaggino delle pietanze.
Terminato il banchetto i bimbi vengono riaccompagnati a casa. Ciascuno di essi porterà con sé un pane appositamente preparato e che fino a quel momento era rimasto nel grande apparato scenico e devozionale, esattamente nel posto che avevano occupato.
San Giuseppe, la Madonna e Gesù vanno via con un pane rispettivamente a forma di bastone, di palma, di croce.
Quanto rimane di quell'enorme abbondanza cibaria viene invece offerta ai turisti, ai curiosi, ai poveri veri. O sarà consumato, almeno in parte, dalla stessa famiglia che ha fatto 'u mmito.