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Salvatore Grillo - Mio Nonno -

- di Giovani Tomasello -

Il nostro Totò Grillo come ama farsi chiamare, in via amichevole, ha finalmente dato alle stampe il suo primo libro ispirato alla storia vera dei suoi nonni, ambientato nell’immediato secondo dopoguerra, all’interno di una proprietà terriera che il nonno aveva ereditato dai suoceri, lui che era un maestro elementare. Quindi, apparentemente senza alcuna esperienza di come condurre una proprietà, ma con la voglia di imparare. Un affresco dei primi anni cinquanta che dimostra come due esseri come il nonno e la nonna del nostro autore di diversa estrazione sociale, lui maestro elementare, lei proveniente dal mondo rurale, trovarono un motivo di coesione tale da assurgere a punto di riferimento per tutta la Famiglia.

Sul significato e sul messaggio intrinseco alla storia raccontata, abbiamo voluto ascoltare lo stesso Totò Grillo, che così ci ha risposto: “il libro tratta della storia di una famiglia patriarcale composta dai nonni, protagonisti principali della storia, che pur essendo di estrazione sociale differente riescono a divenire un tuttuno e nel contempo essere punto di riferimento per tutta la famiglia.

Quando ho pensato di scrivere questo libro, la mia idea iniziale, che poi ho mantenuto, è stata quella di non voler scrivere una sorta di romanzo o la storia della mia vita, ma fermare gli attimi significativi di un segmento del mio vissuto. Per raccontare ciò mi sono avvalso di flashback che mi hanno permesso di tornare indietro come in un sogno, e il lettore viene avvolto in questo sogno.

Tant’è vero che i lettori sono presi per mano dal protagonista e finiscono con il sentire, assaporare, percepire, gli odori e i suoni di quel tempo passato, durante il quale la vita scorreva in maniera semplice. Certo, il periodo dei primi anni cinquanta, in cui è ambientata la storia, era un periodo particolare perché si usciva dalla guerra, ed ancora erano presenti le privazioni, gli stenti della stessa. Sebbene, questa famiglia avesse superato questo problema, con il possedimento di un appezzamento di terreno grande più di dieci ettari. Per cui il problema del mangiare era quasi secondario. Ho voluto fissare questi attimi belli della mia vita per riviverli uno, dieci, cento, mille volte attraverso il libro. L’ho scritto principalmente per me, per le persone della mia età che leggendo rivivono quel periodo storico, per la mia famiglia, e poi rivolto ai giovanissimi di oggi. I quali hanno tutto, pensano di avere poco, ma quel poco se l’avessimo avuto noi sarebbe stato tutto.

Sostanzialmente il messaggio rivolto a loro è il seguente: i giovani di oggi si devono avvicinare alla natura, alle tradizioni, alla parola data. Oggi non si mantiene mai la parola. Allora una stretta di mano significava più di un contratto. Cosa che oggi non c’è più. La vita allora era legata all’alternarsi delle stagioni, le quali puntualmente ci davano delle scadenze: la mietitura, la raccolta dell’uva, delle olive, ecc… Momenti che erano di aggregazione per tutta la famiglia. Famiglia che era al centro, e fine di tutto. La famiglia allora rivestiva un ruolo importante. Leggendo il libro si ritrova un lessico familiare, come diceva Oriana Fallaci. In tutte le famiglie esiste un lessico. Il parlare arcaico, mi porta ad affermare che ho 150 anni di esperienza. Perché 60 sono i miei anni, più quelli di mio padre che sommati a quelli di mio nonno, mi inducono a rivivere molti modi di essere, di pensare e fanno parte del mio vissuto”.

“Ho visto che nel libro vi sono diversi passaggi dialettali. Perché questa scelta?”

Siccome il libro dovrebbe introdursi anche nell’ambiente scolastico, quindi nelle mani dei ragazzi delle scuole elementari, il dialetto siciliano si connota e articola in vari modi da una provincia all’altra, da una città all’altra, e addirittura da un rione all’altro, della nostra Regione. Quindi i passaggi dialettali servono a rendere più viva ed epidermica la storia. Ecco perché prima dicevo che il lettore viene preso per mano e viene inserito in questo mondo come se entrasse in un sogno. Perché le frasi dialettali danno una connotazione al libro, che non diventa mio personale, ma di chiunque lo legge, specialmente il lettore di una certa età. Mentre il lettore giovane, ragazzo, viene coinvolto per curiosità. Curiosità di voler conoscere un mondo che non conosce. Ricordo, a questo proposito, che ogni passaggio dialettale ha il suo corrispondente in italiano. Perché dò per scontato che un messinese lo capisca subito, ma uno, ad esempio, di San Fratello o di San Piero Patti, Librizzi, non è un autoctono, per cui gli verrà difficile capire le parole. Ed è semplice anche nei confronti dei ragazzi che così con la traduzione italiana hanno la possibilità di capire subito tutto, e di riflettere sul significato”.

“Il libro sarà presentato alla città?”

“Si. Sarà presentato alla città il prossimo 15 Aprile alle 17, alla Provincia Regionale di Messina, nel Salone degli Specchi. Dove ci sarà l’illustre Prof. Domenico Venuti che alla sua nobiltà di nascita coniuga una nobiltà di animo e una cultura profonda e una grande sensibilità. Devo ringraziare lui in primis che ha scritto la prefazione al libro “Mio nonno”, e poi la Maria Francillo Nicosia, la quale ringrazio per i suoi consigli. E poi ringrazio anche l’amico Rosario Fodale che mi sta dando la possibilità di poter estrinsecare il mio pensiero. Fortunatamente avendo alle spalle queste persone, ricche di esperienza, mi hanno dato la possibilità di tramutare in realtà questo mio sogno nel cassetto”.

“Successivamente, quindi, il libro sarà introdotto nel circuito scolastico?”

A proposito di questo devo ringraziare l’architetto Salvatore Magazzù, assessore comunale alle Politiche Scolastiche, che ho contattato sempre grazie al chiarissimo Prof. Venuti. Assessore che è rimasto entusiasta del libro, e appoggerà l’iniziativa per essere introdotto nel circuito delle scuole elementari e medie”.

Aggiungiamo che il prossimo 15 Aprile, alla presentazione del libro nel Salone degli Specchi della Provincia Regionale di Messina, a partire dalle ore 17, ci sarà la presenza anche del cantore dialettale Gianni Argurio che leggerà i passaggi in dialetto siciliano, assieme allo stesso autore. Prevista, naturalmente, la presenza del Prof. Domenico Venuti che nella prefazione al libro “Mio nonno”, scrive tra l’altro: “traspaiono nel libro, stati d’animo idonei a far vibrare le corde più profonde dell’io, che coinvolge, estasia e commuove il lettore, nel ricordo dei tempi trascorsi, i profondi significati interattivi dell’uomo con le sue radici in un rapporto simbiotico con la terra.

Lo scrittore sente che i complicati meccanismi della società odierna ci allontanano dalle antiche felicità e ne soffre. Totò Grillo sembra prenderci per mano e condurci dove tutto è pulito, sereno, fresco. Questo racconto è l’immagine dell’innocenza, dell’amore, della bellezza”.

E poi non potevamo mancare noi di Messinaweb.eu a immortalare una serata che ci farà rivivere i bei tempi andati, quando tutto era semplice e ancora, come ci ha dichiarato lo stesso Grillo: “quando una stretta di mano significava più di un contratto”.

 Giovanni Tomasello

 


 

 

- di Giovanni Tomasello -

Incontrare il Professore in pensione Salvatore Grillo, già docente presso l’Istituto d’Arte, è stato per noi molto formativo, un personaggio capace di spalancare nuovi orizzonti nel variegato mondo della letteratura dialettale siciliana, di cui è un grande cultore.

Ci ha deliziato, durante la nostra non semplice conversazione con la descrizione di termini, proverbi, modi di dire siciliani. Ad esempio sapete cosa significa la parola “ammatula”? Dall’avverbio “inutile”, riferito alla parola da cui parlare “ammatula”, cioè parlare invano. Riferendosi ad una persona “longo ammatula”, cioè persona fannullona, senza spina dorsale.

Tale avverbio deriva dal greco MATEN che significa invano. Ancora sullo stesso termine: due versi siciliani, riferendosi ad una fanciulla poco bella dicono: “ammatula t’alliffi e fa cannola” che significa “invano ti agghindi”; “bedda cci vò viniri di natura” che significa “bella ci si nasce”.

E per concludere questo piccolo esempio di terminologia siciliana, non poteva mancare il proverbio in dialetto: “dà testa du cunigghiu, nènti mànciu e nnènti pigghiu”!

Il nostro Totò Grillo, come ci ha permesso di chiamarlo, così si è voluto descrivere:

“sono un messinese verace da moltissime generazioni, amo la mia città e amo soprattutto il dialetto messinese. Ma in Sicilia ogni provincia ha il suo dialetto. Mi accorgo che il dialetto messinese rispetto agli altri dialetti si è un po’ diluito rispetto al passato, però ancora in determinati ambienti persistono determinati aggettivi, attributi, modi di dire che rievocano ancora un passato fatto di tradizioni, un passato riferito ad una città che era a misura d’uomo. L’altra volta ad esempio, mi trovavo ad ascoltare la conversazione di due operai, ed uno chiedeva all’altro se il muro resisteva all’impatto del brecciolino, l’altro gli rispondeva in dialetto: “il muro non ha fatto musione”.

Il termine “musione” è un termine bello, è un termine luminoso che ci riporta alle antiche origini del nostro dialetto. Ma ci pensate, dire “musione”, significa che il muro non si è incrinato, si è fermato. Amo scrivere in dialetto messinese sia in prosa che in poesia. Sono famelico nella ricerca di parole, vecchi modi di dire che esaltano con maggiore immediatezza il mio scrivere dialettale. Molte parole ancora me li ricordo, sentite da mio padre. Un vissuto che ritorna. Ho avuto la fortuna, comunque, di nascere in un periodo in cui mi sono agganciato storicamente al passato, perché ancora in quel periodo vivevano persone nate prima del ‘900.

Persone anziane che mi hanno insegnato a parlare, come mio nonno in particolare, in dialetto e ad amare questa “lingua”. Negli anni ’50 e ’60, ricordo che nelle famiglie non si parlava affatto il dialetto. Perché si pensava che parlare in dialetto fosse una carta d’identità per la provenienza della famiglia. Ora non è così, ora è quasi un vezzo parlare in dialetto, intercalando frasi in italiano. Ma se uno parla soltanto in dialetto, non vuol dire che non ha la possibilità di dimostrare, di esprimere un suo concetto, una sua idea. Anzi parlare in dialetto è molto più immediato”.

“Oggi, secondo te, visto l’interessamento anche delle istituzioni che da un paio d’anni a questa parte organizzano “la notte della cultura” nel mese di febbraio, c’è un maggiore fermento culturale in città, oppure no?”

“Quello che ha fregato questa cultura dialettale, sono stati i media, tipo la televisione. La televisione ci ha livellato tutti. Persone, ragazzi che ascoltano la televisione per ore e ore finiscono col dimenticare le loro origini. Voler riprendere il dialetto, e far conoscere i vecchi mestieri, dare una spolveratina a tanti oggetti che sono in casa, tipo la “cafettiera” con una sola “f” napoletana, facendola vedere alle nuove generazioni, in pochi conosceranno la caffettiera napoletana, perché ormai conoscono la “moka” e quella che fa il caffè con le cialde. La memoria storica è importantissima. Quando un oggetto supera i cinquant’anni è già considerato storico”.

“Ha in cantiere progetti letterari?”

“Ho in cantiere un libro che debbo stampare, dal titolo “Mio nonno”. Si tratta di un racconto ambientato a Messina, precisamente in località Castanea, negli anni ’50. Parla di una famiglia tipo dell’epoca, i cui personaggi principali sono il nonno di origine borghese, ormai in pensione, e la nonna proveniente dal mondo rurale.

E’ un libro scritto in italiano, però è intervallato con espressioni dialettali. Vengono riprese tradizioni antiche che si stanno perdendo, come quella di fare la salsa di pomodoro nelle bottiglie in casa. Mette a fuoco la mentalità, l’orgoglio di appartenere al mondo rurale, di appartenere alla sicilianità. Dobbiamo essere fieri delle nostri origini. Sarà presentato prima al Comune sotto l’egida dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione, e poi entrerà nel circuito scolastico (elementari e medie). Successivamente sarà presentato “in abito da sera” alla Provincia, probabilmente a Marzo”.

“Altri suoi racconti…..”

“Altri miei racconti sono stati scritti in puro dialetto siciliano dall’inizio alla fine. Ma più che racconti sono delle scenette. Poi altri racconti misti in vernacolo e in italiano. Infine ho un romanzo che si intitola “L’avaro” tutto in italiano. Quest’ultimo in un certo senso si discosta dagli altri. Nessuno di questi è stato mai pubblicato.

Oggi pubblicare un libro per quanto piccolo sia, costa soldi. Il racconto “Mio nonno” sarà il primo che esco dal cassetto, per perdere la mia paternità, e regalarlo al pubblico, facendoglielo leggere per trovare nella lettura un qualcosa che rispecchi il loro vissuto. Contiene cenni biografici e non, mi sono avvalso dell’esperienza di mio nonno che oggi ha 92 anni ed era un notaio. Rispecchia il vissuto mio e della mia famiglia”.

 

Ultima modifica il Domenica, 16 Ottobre 2016 19:28
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