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FACCIAMO IL PONTE SENZA IMPEGNO ERARIALE

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- di Giovanni ALVARO, Cosimo INFERRERA, Bruno SERGI -

Mai come oggi si è passati dall’euforia per la notizia del rifinanziamento della ‘Stretto di Messina’ che apriva l’iter della ripresa del progetto cassato dal bocconiano professor Mario Monti, alla doccia fredda per il comunicato del Ministero dei Trasporti che dichiarava essere non veritiera la notizia diffusa dal quotidiano ‘la Repubblica’ e ripresa da decine e decine di giornali on-line. Contemporaneamente c’era chi passava dallo scoramento più nero alla gioia indicibile come è avvenuto tra i sostenitori del ‘No al Ponte’.

Non sappiamo se quello di Repubblica sia stato un errore o, al contrario, si è tentato di verificare le reazioni dell’opinione pubblica e degli stessi governanti. Di certo c’è che una notizia pubblicata su una testata giornalistica come quella in questione, abbia tratto in inganno parecchia gente, e non solo al Sud. In realtà è stata considerata normale e sensata la ipotetica ripresa del progetto Ponte perché avrebbe fatto risparmiare una penale salatissima e, soprattutto, avrebbe sanato la ferita sulla credibilità del nostro Paese per la scelta, dei passati governanti, di lacerare una gara d’appalto regolarmente espletata e vinta da una cordata internazionale di imprese attive nel settore.

Ma la notizia del rifinanziamento è penetrata senza intoppo, nell’opinione pubblica, soprattutto, perché la differenza tra i salvatori della patria (sic!) - che hanno aggravato la crisi del Paese - e la voglia anticonformista del fare dei renziani, col sostegno dell’opposizione forzista sulle riforme, è oggi abbastanza marcata. Da una parte i governanti sotto dettatura che godevano a definirsi i ‘più tedeschi d’Italia’, dall’altra una squadra che vuole sembrare – e speriamo anche essere – autonoma dalle interferenze teutoniche. Si è quindi facilmente creduto che finalmente la gallina dalle uova d’oro, qual è il Ponte sullo Stretto, avesse conquistato l’attuale governo, dato anche che l’infrastruttura tanto contrastata, da sola, vale 2 punti di Pil ed è in condizione di contribuire alla fuoruscita dalla crisi economica che attanaglia il Paese.

Non sembra così, peccato, anche se qualche voce positiva, come quella del Vice Ministro alle Infrastrutture, on. Riccardo Nencini, si è fatta sentire. Peccato veramente, che si continui a ignorare la ricchezza delle merci che transitano nel Mediterraneo rappresentate da ben 5 milioni di container al mese. Non c’è un solo porto italiano capace di smistare tale volume di merci destinato a raddoppiarsi nel giro di due lustri con la conseguenza dell’utilizzazione di ogni porto del Paese. I ciechi non sono né calabresi, né siciliani. I monoculi stanno ad altra latitudine! Peccato, soprattutto, che il mancato abbattimento dei tempi di percorrenza costringerà i grossi armatori dei cargo container a trovare altre soluzioni. Del resto è stata proprio questa la motivazione dei famosi corridoi TEN per l’Alta Velocità e l’Alta Capacità: escludere, per i tempi lunghi di percorrenza, la vecchia rotta di comunicazione lungo le coste atlantiche dell’Europa. Il FerrMed spagnolo-francese è uno dei percorsi destinati a sostituire i corridoi italiani.  

Si possono capire le cautele su come si muove il Governo per la difficile situazione finanziaria del Paese, ma le penali si dovranno pagare perché l’Impregilo ha dichiarato che vi rinuncia solo se il progetto, vanto per l’Italia, riprende quota. Addirittura crediamo sia un’ipotesi praticabile quella di garantire soltanto, da parte del Governo, una cornice politico amministrativa al progetto senza impegnare alcun finanziamento, ma solo la piena operatività allo stesso con un convinto via libera alla cordata dei finanziatori internazionali. In questo modo si eviterebbero i continui benaltrismi dei no-ponte e di quanti si arrampicano capziosamente sugli specchi per poterlo bloccare. In pratica un project financing che arrivi a finanziare il 100% dell’intero costo del progetto.

Serve solo coraggio e determinazione per realizzare finalmente quella unità d’Italia mai realmente compiuta. Non c’è, infatti, unità vera se i servizi tra Nord e Sud sono totalmente diversi, se le occasioni di lavoro e di sviluppo sono abbastanza disuguali, se dopo 150 anni dal Risorgimento le differenze sono così fortemente marcate. I primi veri tentativi per una unità reale del Paese sono stati la ferrovia Nord-Sud e l’Autosole degli anni ’60 che ha determinato una forte riduzione dei prezzi al consumo per l’abbattimento dei tempi di percorrenza passati dai due giorni precedenti alle successive 8-10 ore. Oggi con l’Alta Velocità il tragitto Roma-Milano è stato ridotto ad alcune ore mentre per il Sud parliamo ancora di 7 ore per il continente e per 10 ore per la Sicilia.

Senza i trafori italiani* - mirabili opere costate enormemente di più di altrettanti Ponti sullo Stretto – che assicurano la perfetta osmosi con i paesi confinanti, non si sarebbe potuto consentire al Paese scambi commerciali, lavoro e sviluppo. Esattamente come capiterà alla Sicilia, alla Calabria, all’intero Meridione, e di rimbalzo alla stessa Italia se a Sud si realizzeranno solo fallimentari porti transhipment e non una filiera di porti gateway a cominciare dal trinomio Augusta.Pozzallo-Gioia Tauro!

Unificare realmente il Paese come fu fatto per le due Germanie (quella ad Est era peggio del nostro Sud) significa consegnarsi alla storia. Certo non bastano gli annunci perché c’è bisogno di scelte e di realizzazioni: il Ponte può essere il grimaldello per questi compiti. Renzi è interessato?

                                          

 

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