- di Giovanni ALVARO e Cosimo INFERRERA -
Qualcuno, anzi più di uno, passata la festa ha bollato l’iniziativa di Accorinti e Falcomatà (sindaci di Messina e Reggio) come una vera e propria sceneggiata. Hanno colto nel segno quanti hanno voluto prendere le distanze da ciò che è avvenuto nei giorni scorsi nelle acque dello Stretto su una nave traghetto, gentilmente messa a disposizione dalla RFI. Toh, guarda caso! Quanta smanceria proprio da parte di chi non vuol nemmeno lontanamente sentir parlare di Ponte sullo Stretto e, soprattutto, da parte di chi non ha la pur minima intenzione di portare l’AV/AC ferroviaria non diciamo in Sicilia, ma nemmeno fino a Reggio Calabria. Dove esiste un aeroporto che dovrebbe servire almeno cinquecentomila persone e non è collegato all’A/V. Qualcuno sicuramente ricorderà che il collegamento aeroporto/AV ferroviaria è stata la condizione tassativa posta dagli Amici arabi per sancire l’accordo con Alitalia: ma quel che vale per Roma e Milano – ohibò! - può mai valere per Reggio Calabria?
Di fronte a tutto questo fa venire il sangue alla testa l’impeccabile coreografia con la quale si è consumato il rito dei sindaci con fascia tricolore, canti, musica, mostre, degustazioni varie, insieme con i tradizionali suoni di sirena. Ma a conti fatti è sorta spontanea la domanda se l’eventuale riconoscimento allo Stretto di Messina d’essere luogo “Patrimonio dell’Umanità” serva a qualcosa che possa aiutare i territori circostanti a uscire dal sottosviluppo, dalle eterne difficoltà economiche e dall’isolamento che patiscono come se fossero territori di una nazione straniera e non del Paese dove vivono anche milanesi, torinesi e fiorentini, veneziani e romani? La risposta non può non essere che negativa. Quel riconoscimento non serve a questo. E allora perché tanto can can?
I motivi sono almeno due e, meglio ancora, si tenta di prendere due piccioni con una sola fava. Si vuol dare l’impressione che si stia lavorando con ambiziosi progetti per coprire il vuoto finora registrato nell’attività delle amministrazioni - in particolare delle due città capoluogo di provincia - e che si tenti con la dichiarazione di ‘Patrimonio dell’Umanità’ di bloccare, o comunque di rendere più difficoltoso l’iter per la costruzione del Ponte sullo Stretto. In sostanza un tentativo di “incaprettare” la grande infrastruttura dell’area che il mondo intero ci invidierebbe.
Lo scrittore Marco d’Eramo parlando della etichetta “Patrimonio dell’Umanità” ha sempre sostenuto che “Il tocco dell’UNESCO è letale: dove appone il suo label, letteralmente la città muore. È sottoposta a tassidermia”. E continua: “Questo vero e proprio urbanicidio (brutta parola, ma sempre meglio dell’orribile ‘femminicidio’) (…) è commesso (…) per preservare (appunto) un ‘patrimonio’ dell’umanità. Ma, come dice la parola, preservare vuol dire imbalsamare, o surgelare, risparmiare dall’usura e dalle cicatrici del tempo: vuol dire, letteralmente, fermare il tempo, fissarlo come in un’istantanea fotografica, sottrarlo quindi al cambiamento, al divenire”. Nel nostro caso si potrebbe parlare di “ponticidio”, talché dove si appiccica l’etichetta ‘Patrimonio’ si blocca tutto, perché l’Unesco non può concedere il nulla-osta paesaggistico per nessuna possibile realizzazione.
Il Ponte che serve al profondo Sud serve anche all’intero Paese, poiché con l’A/V estesa fino in Sicilia si entra nel ‘core’ del business del trasporto container che l’Europa intrattiene con l’Estremo Oriente. Con il Ponte si induce la ripresa in grande della produzione di acciaio per la megastruttura, per la nuova linea ferroviaria da Palermo fino a Salerno (TEN-T 5), per l’adeguamento delle gallerie alle dimensioni dei nuovi teu-container nel tratto tosco-emiliano e alpino, e per gli enormi introiti per il trasporto merceologico su rotaia. Mentre Sicilia e Calabria godrebbero del lavoro per la costruzione e per l’impulso a nuove produzioni da realizzare in loco, anziché importarle. A seguire tutto ciò, finalmente sarebbe immancabile il rilancio turistico verso il più grande bacino archeologico, artistico, paesaggistico del Mediterraneo che si chiama Sicilia, agevolato dall’A/V. Ma soprattutto il Ponte porrebbe le basi per la fruizione armonica delle risorse delle Regioni Sicilia e Calabria - Basilicata inclusa - in campo culturale, museale economico, socio-sanitario con la moltiplicazione degli scambi interattivi e delle sinergie.
Solo allora si potrà parlare di vero Aeroporto dello Stretto, di reale sfruttamento del patrimonio naturale, storico, paesaggistico e archeologico, dei musei e degli scambi culturali in genere e della grande Università dell’Area. Pensare che possa avvenire, attraverso ‘ponti metafisici’, ciò che nei secoli non è mai avvenuto, significa distorcere la realtà con un lampante esempio di scambio patologico degli effetti per la causa, un epifenomeno di colossale ignoranza che si aggroviglia sullo iatus tra conoscenza teorica e formazione professionale. Il che è esiziale, proprio sul punto critico che fa primeggiare le Università dei Paesi anglo-sassoni rispetto alle nostre: nel 1761 fra le prime al mondo, oggi al 150° posto o giù di lì. Insomma con un fritto misto che si illudono di presentare come Mecca nell’Area dello Stretto mentre con l’iniziativa Unesco contribuiscono ad incaprettare il Ponte, che apporterebbe un patrimonio immenso di “know how” alla grande “Università dello Stretto”, tale da farne leader mondiale nel campo dei ponti sospesi!
E se poniamo mente al fatto che l’Università degli Studi di Messina detiene nel suo parco scientifico una delle due apparecchiature a livello europeo necessarie ed utili alla costruzione di ponti sospesi ci rendiamo conto di quale orribile effetto di trascinamento all’indietro il territorio stia esercitando sulle sue Università, sulla qualità della ricerca, sull’aggiornamento dei docenti, sul livello della istruzione universitaria e della formazione professionale.
Per questo, permettetecelo almeno una volta, diciamo NO e ci batteremo sempre contro la medaglietta dell’Unesco che, per lo Stretto di Messina, è sinonimo di cristallizzazione della miseria, dell’abbandono e della fame che la parata dei giorni scorsi rivendica per affossarci sempre di più, e ad alta voce auspichiamo che le Università meridionali all’unisono si tengano lontane da questa palese eterogenesi dei fini istituzionali, almeno fin quando il Ponte per statuto non venga compreso ab initio in questo nuovo sito Unesco.