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MANCA IL ‘PONTE DI COMANDO’ PER IL ‘PONTE DI MESSINA’

 

ponte 7

Quando il Presidente del Consiglio Matteo Renzi risponde a Vespa con il perentorio “Certo che il Ponte si farà” crea il momento magico dell’euforia, che pervade quanti si sono battuti per la sua realizzazione nel corso di questi lunghi anni. Egli riesce anche ad entusiasmare i semplici cittadini che hanno pensato al ponte come ad un’opera ideata per servire il pendolarismo tra le due regioni del profondo Sudo. Ma quando quella affermazione viene fatta seguire dall’elenco delle cose da fare prima di altre, con la medesima tiritera delle priorità talvolta arbitrarie e non provate, è sembrato sentire l’ennesimo ‘nopontista’ che si rifugia, come sempre, sul ‘c’è ben altro da fare’.

 

Quando poi il premier aggiunge che dopo aver fatto tutte le belle cose elencate (‘primum vivere’) sarà evidente che “la storia, la tecnologia e l’ingegneria andranno nella direzione del Ponte che sarà un altro bellissimo simbolo dell’Italia” si comprende che, seppur questa considerazione sia vera, difetta della motivazione che realmente spinge a fare il Ponte. Non si tratta, infatti, solo di costruire una grande opera ingegneristica per poterci pavoneggiare dinanzi al mondo, né che questa opera sia finalizzata all’interesse esclusivo delle due regioni ‘ospitanti’ e neanche che essa sia costruita solo per attrarre turismo di massa. Tutto vero, ma non solo.

 

Da anni si sostiene, nel silenzio colpevole della stampa nazionale, quasi sempre in concerto con l’ostinazione complice di quella locale, che il Ponte serva essenzialmente all’Europa, essendo l’anello mancante dell’ex corridoio 1 (Palermo-Berlino). In effetti la megastruttura serve in primis all’Italia, che così può inserirsi nel grande business del trasporto merci in container, essendo geograficamente posta di fronte al Canale di Suez è un approdo utile a trasformare il trasporto via mare in trasporto ferroviario, con grande vantaggio di tempo e di noli per i cargo, che non dovranno tutti avviarsi verso Gibilterra per circumnavigare l’Europa e approdare ai porti del Nord. La Sicilia e la Calabria, infatti, hanno una grande proiezione logistica che altre realtà non hanno e non l’avranno mai.

 

Il ‘ponte di comando’ italiano nei vari turni, di anno per anno, pare abitato da personaggi che rifiutano la storia. Dal meso-neolitico il profondo Sud ebbe rapporti stretti con l’Africa, poi nell’età del bronzo con i Micenei, nell’età del ferro con i Siculi, indi la colonizzazione fenicia, quella greca, la conquista romana, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni, gli Svevi e Angioini, gli Aragonesi Spagnoli, i Borbone, infine i Savoia. Ma c’è il decennio fatidico 1859-1869 con i lavori di scavo del Canale di Suez a dimostrare la polarità geostrategica principe della Sicilia, quando vi sopraggiunsero le diuturne visite della Royal Navy. Per i loro intensi traffici gli inglesi dovettero interagire soprattutto con il molo dei porti siciliani: allora le banche, le aziende, le imprese siciliane fiorirono… Vennero i Piemontesi che fra fucilazioni, violenze, depredazioni non capirono nulla di tutto ciò, devastando una pompa commerciale di ricchezza, che nei decenni avrebbe fatto veramente coesa, grande l’Italia. Peccato che fatti di così grande importanza siano scomparsi dalla storiografia, rimasti dietro le quinte di celebrazioni monche dell’Unità d’Italia!

 

Infatti le scelte sbagliate sulla politica delle infrastrutture continuano: oggi la polarità macroeconomica della Sicilia sarebbe enormemente potenziata nei due sensi di marcia, al cospetto dei flussi commerciali globali UE-farEast-Afrika e di quelli USA, Brasile, Messico. Su Sicilia e Calabria avevano fatto più di un pensierino i cinesi, che erano disposti a finanziare il Ponte ed anche l’alta velocità fino a Salerno per far viaggiare le loro merci in entrata e in uscita dal Mediterraneo con notevoli risparmi. Dinanzi alle scelte sbagliate e funeste fatte dal Governo Monti (‘compiti a casa’), i cinesi si sono orientati a usare il porto del Pireo in Grecia per raggiungere il resto d’Europa da quella postazione.

 

L’Italia, comunque, fa ancora in tempo a rientrare nel gioco della mobilità e della logistica integrata, perché la quantità di merci attesa ha già spinto l’Egitto a raddoppiare il Canale di Suez, a tempo di record sotto la guida di un ammiraglio della Marina Egiziana. Non è illusorio pensare che entro pochi anni possano transitarvi il doppio dei container rispetto ai 5 milioni al mese di oggi. Gli articoli di Filippo Romeo e di Alessandro Di Liberto (Istituto Alti Studi in Geopolitica) segnalano ulteriori specifici motivi di fondamentale interesse geostrategico e geoeconomico per le imprese italiane a seguito della scoperta dell’immenso giacimento energetico ad opera dell’ENI. Tutti questi elementi rendono inconsistenti le scelte decisionali di chiusura sul campo dei passati governi nazionali e l’attendismo del presente.

 

Non c’è pericolo di concorrenza senza ritegno per quanto la Sicilia, trasformata in piattaforma logistica intermodale a seguito della costruzione del Ponte toglierebbe ad altri. C’è lavoro per tutti - diconsi tutti - i porti del Mediterraneo, da quelli italiani (Augusta, Gioia Tauro, Taranto, Napoli, Genova, Venezia e Trieste) a quelli spagnoli e francesi (Barcellona, Valencia e Marsiglia). Il traffico si presenta talmente massiccio da non creare problemi neanche al sovrano dei Porti europei, qual’è Rotterdam (60 km. di banchine e 165.000 dipendenti nel sistema portuale e logistico). Il traffico via ferrovia AV/AC poi avrebbe una ricaduta formidabile sull’intera penisola a patto di vederlo come elemento trainante per l’economia nazionale, né più né meno come l’UE.

 

Finalizzare subito gli ultimi step nei cantieri del Ponte non si pone in contrasto con altri, importanti, investimenti pubblici (acqua, bonifiche, altre infrastrutture, energia). Con la penale, prevista per la rescissione del contratto dopo un regolare bando di gara, si possono far ripartire i lavori, mentre per le opere complementari a terra va usata l’idea geniale di Francesco Forte demandando i lavori alle Imprese che costruiscono il Ponte, trasformando i relativi costi in crediti d’imposta. Il governo può attrarre capitali dall’estero, previa definizione di una cornice legislativo-amministrativa che consenta a importanti investitori internazionali di scommettere sulla logistica e l’intermodalità della nostra area. Punti di forza: 1) la piena riuscita dell’intera operazione, a costo zero per il bilancio dello Stato; 2) le notevoli ricadute economico-sociali sull’intero Paese;  3) l’avvio a soluzione della storica “Questione Meridionale”.

 

Sapremo dunque trovare, finalmente, in una logica politica bipartisan ‘il ponte di comando’ necessario per innalzare al cielo l’”Iconema dello Stretto”, altro brandy di importanza nazionale?

                                               Giovanni ALVARO* - Cosimo INFERRERA** – Bruno S. SErGI***

Area dello Stretto 9.11.2015

*     Blogger e Cofondatore Comitato Ponte Subito

**   Patologo Università degli Studi di Messina

***  Economista Università di Messina e Harvard University

Ultima modifica il Lunedì, 09 Novembre 2015 12:30
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