L’irruzione del papa Benedetto XVI nella questione sociale mondiale ha uno spessore forse poco sottolineato, sia perché di alto profilo, sia perché spiazza la cultura dominante.
L’impegno che egli chiede a tutti gli uomini si colloca nella matrice cristiana del primo comandamento, di origine biblica e fatto proprio dal Redentore: ama sempre il prossimo tuo.
Ma tale impegno deve diventare legge e modello di comportamento, in modo particolare ed elitario, presso i cattolici, che devono uscire da una fase di latitanza della loro identità, camuffata da velleitari richiami al lievito e al piccolo seme delle parabole evangeliche, per assumere responsabilmente e a viso scoperto il ruolo autonomo, che loro compete, nella realtà politica ed amministrativa, a tuttti i livelli in cui sono impegnati, compresa la responsabile partecipazione alle decisioni gerarchiche della Chiesa cattolica.
Essere un cattolico adulto non è sinonimo di essere cattolico ribelle, bensì essere un convinto credente e assertore del messaggio di Cristo, che sa uscire da un’attesa di orientamenti e suggerimenti, in dipendenza diretta dalla gerarchia, che solo possono riferirsi ad una situazione pregressa e non all’attualità di vita del cittadino nel ritmo travolgente della società, nella quale tutti viviamo e soffriamo.
In particolare la carità del cattolico è vera se smonta con tutti i mezzi a disposizione alcuni tabu derivanti da matrice marxista o libertinaria (e talora contrabbandati come cristiani o da questi irresponsabilmente difesi). Intendo riferirmi allo strapotere delle organizzazioni sindacali a difesa del lavoratore, il cui ruolo è stato ed è solo politico. Può un cattolico (anche se c’è stato notevole cedimento della morale cattolica in tal senso) sostenere la liceità dello sciopero, ad ogni piè sospinto, nelle strutture pubbliche? Si può ancora tollerare che vengano calpestati in tali manifestazioni i diritti di tanti poveri della nostra nazione? Può ancora esistere, nel settore sanitario, la distinzione preconcetta tra pubblico e privato? Non è venuta l’ora di promuovere l’eccellenza del servizio? Può un cattolico concepire la scuola, sia quella sovvenzionata dallo stato, sia quella sovvenzionata liberamente da cittadini, come una merce di scambio in cui un partito o gruppi di partiti sistematicamente boicottano ogni adeguamento alla società e alla prevenzione contro manifestazioni delittuose? La scuola d’obbligo e l’istruzione universitaria può ancora essere lasciata in monopolio o in balia di facinorosi e delinguenti, che ne danneggiano persino le strutture? Può un cattolico restare indifferente davanti al fenomeno della TV e della carta stampata, tanto di stato, che di altre proprietà, che si appropriano della funzione giudiziaria, sostituendosi al giudice legittimo e anticipando sentenze avventate e devastanti per i cittadini?
La verità della carità non può sostenere l'ambientalismo romantico e violento, schieratosi per finalità di basso profilo, contro il progresso e la civiltà, falsificando la storia e i dati della corretta ricerca scientifica.
Ed ancora, che ha a che fare con l’impegno della solidarietà, l’autolesionismo dei cattolici anticapitalisti , anticolonialisti ed antioccidentali? Che valore umano porta in sé l'ecologismo esasperato e paralizzante le istituzioni e le imprese, il terzomondismo di maniera, la rivolta distruttiva dei no global?
Il cattolico, per vocazione, deve favorire il bene comune, ponendosi a servizio dei fratelli in tutte le istituzioni. La bioetica deve contribuire allo sviluppo, e la questione antropologica deve diventare questione sociale, ove il controllo delle nascite, l'eutanasia, le manipolazioni eugenetiche, devono sensibilizzare all'accoglienza del debole, ed evitare affrettate delibere di tipo solo utilitaristico immediato.
«Senza la verità, la carità viene esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività».
- di Biagio Amata -
(già preside della Facoltà di Lettere dell’UPS)