di Carmelo Trasselli
Queste pagine(apparse per la prima volta sui Quaderni Meridionali del 1972 n.d.RR) raccolgono pochi appunti cui aveva dato occasione la lettura della Storia degli Ebrei in Italia di Attilio Milano, non stesi allora, forse ancora opportuni dopo un articolo di Lelia Cracco Ruggini. [1]
Si ha l’impressione che la più recente storiografia sugli Ebrei in Italia trascuri totalmente la ricerca documentaria e che, anche della letteratura esistente, venga trascurata quella relativa alla Sicilia. Da anni non viene offerto agli studiosi un materiale del tutto nuovo (salve le epigrafi) e quello stesso materiale documentario che è già stampato da decenni non è stato ulteriormente sfruttato.
Per fare un esempio, si discute ancora sull’usura come attività caratteristica degli Ebrei, ma non sembra che alcuno, tranne l’autore di un brevissimo ed insufficiente articolo, abbia mai messo le mani tra le migliaia di documenti dei banchieri ebrei” di Roma, già conservati dal vecchio notaio Buttaoni e che io stesso, alcuni anni prima del l’ultima guerra, trasportai ed ordinai nell’Archivio di Stato di Roma.
Quegli Ebrei non erano affatto usurai o non lo erano esclusivamente: erano piuttosto mercanti, se vogliamo mercanti-banchieri. Tale documentazione, integrata da pochi processi del Governatore di Roma, delinea la storia ultima dell’ebraismo romano, sino alla fine del XVIII secolo, quando alcuni Ebrei sembrarono assumere anche un atteggiamento politico.
E non vedo che siano state messe a profitto alcune notizie sporadiche le quali spesso illuminano sulla realtà di certi fenomeni che noi guardiamo da un solo punto di vista.
Per esempio, che a Mantova, nonostante la presenza del Monte di Pietà, gli Ebrei continuassero a prestare denaro su pegno; ed anzi che, per rinsanguare il Monte, gli si destinasse il “sovrappiù” della vendita dei pegni non richiesto dal debitore[2].
O che a Milano, espulsi gli Ebrei, i prestatori cristiani prestassero a tassi inverosimili e la gente preferisse andarsene presso gli Ebrei di Monza, perché il Monte milanese non poteva prestare più di 8 lire.
Si rilevi però che l’adozione fiduciosa delle conclusioni cui sono pervenuti taluni studiosi israeliti sarebbe imprudente; non alludo soltanto a qualche volume moderno scopertamente agiografico come quello del Polyakov sugli Ebrei di Corte in cui la cronologia subisce un trattamento alquanto disinvolto ed in cui pertanto una buona informazione desta seri dubbi, ma anche a monografie prettamente scientifiche: in quella di Nahum Slousch (un discepolo, nientemeno di Hartwig Dercubourg) sull’elegia di Mosè Rimos, martire ebreo a Palermo nel XVI secolo[3], in sette pagine scarse di introduzione al testo sono infilzati tanti errori di cronologia e di geografia e tante fantasie nella critica dei documenti, che si finisce per dubitare della stessa esattezza del testo ebraico e della sua traduzione; basti dire che il buon Rimos, che tutto indica come Maiorchino, diventa Siciliano, Palma diventa Palermo, una universitas ebraica è data come esistente a Palermo a metà del sec. XVI mentre tutti conoscono l’espulsione del 1492 e così via.
Chi non conosca l’ebraico e non possa per conseguenza controllare i testi, deve necessariamente diffidare dinanzi a tanta disinvoltura; e la diffidenza non si cancella nemmeno dinanzi alle molte affermazioni, non controllabili, di uno studioso noto come Samuel Stern, che forse solletica la mia vanità di Siciliano scrivendo Un circolo di poeti siciliani ebrei nel secolo XII[4], ma che tuttavia non dà dell’esistenza di quel circolo di poeti nemmeno un principio di prova. Si tratta di un “divano” o raccolta di poesie, proveniente dal Cairo ed oggi a Leningrado; lo Sten non dice se scritto su pergamena o su carta o su papiro;né con scrittura di quale secolo; lo Stern afferma che nessuna poesia fu scritta dal poeta Anatoli prima dell’arrivo in Sicilia e del soggiorno nell’isola che, da nessun elemento, viene però determinato in un mese e forse più; Anatoli veniva da Marsiglia ed il suo più intimo amico a Palermo fu un ebreo Tripolino, ma ben due sono i versi citati che ricordano la gazzella, animale non siciliano e non provenzale; Anatoli era ancor vivo nel 1212, quindi senz’altro può esser nato nel 1150…
E’ perdonabile chi, non conoscendo l’ebraico e non potendo leggere le poesie di Anatoli, ritiene non dimostrato che al-madina sia Palermo e che l’identificazione di Mazara, Termini, Messina e Reggio Calabria sia da controllare?
Quella dello Stern è una brillantissima ipotesi di lavoro., anche gradita, che sentimentalmente posso accettare ma dopo la quale logicamente devo porre un punto interrogativo.
Di gran lunga superiore è l’attendibilità della Storia di Attilio Milano; ma anche in questa difetta l’informazione nuova. Per la Sicilia egli cita sovente i tre volumi del Codice dei Lagumina. Ma questo fornisce un solo e limitatissimo aspetto della vita degli Ebrei siciliani, perché i documenti raccoltivi provengono essenzialmente da due serie d’archivio, la Cancelleria e il Protonotaro del Regno.
Sono quindi rapporti ufficiali tra gli Ebrei e il governo; ma altre centinaia di documenti di importanza non minore si troverebbero tra le Lettere Viceregine, nei registri della Tesoreria, della Screzia di Palermo e così via.
I fratelli Lagumina non si illusero mai di aver pubblicato un’opera completa, anzi si proponevano di estendere la ricerca agli archivi comunali ed agli archivi notarili; ed in questi esistono moltissime migliaia di documenti sugli Ebrei.
Tocchiamo così quello che è secondo me il punctum dolens nella storia degli Ebrei italiani.
Vi sono due problemi ancora aperti: l’uno riguarda l’usura, i Francescani, i Monti di Pietà; l’altro riguarda l’espulsione dai domini spagnoli.
E’ comodo vederli separatamente; ma forse è più corretto unificarli in una sola domanda: perché nel XV secolo insorge violento l’antisemitismo? (il processo per la morte di Simonino a Trento non sembra collegato né con la Spagna né coi Francescani, ma appartiene forse all’ambito di un antisemitismo non mediterraneo).
Ferdinando il Cattolico era un uomo sordido, un ipersessuale come suo padre che era stato uno dei più accaniti sporcaccioni del secolo; padre e figlio martirizzarono i Catalani non meno che gli Ebrei; occorre ricorrere a Freud per spiegare il trattamento che Ferdinando riservava alle proprie figlie naturali (due, di madre diversa, rinchiuse nel medesimo monastero). Da un tale monarca c’era da aspettarsi di tutto.
In Catalogna come in Sicilia, egli provocò la reazione popolare contro i provvedimenti antiebraici e rimane classica la difesa barcellonese del segreto bancario nel macabro processo intentato al cadavere dissepolto di un Ebreo, colpevole soltanto d’essere stato ricco in vita. Ho detto “reazione popolare” ; sarò forse più vicino al vero dicendo “reazione degli operatori economici”, dei competenti in affari e in commercio e in produzione e in finanza, reazione caduta nel vuoto come sempre la reazione dei “competenti” contro una sciocchezza decisa in sede politica.
I Francescani: I Francescani erano irrequieti fin dall’inizio del XV secolo; sentivano il bisogno di muoversi e di far muovere le folle; a Trapani un Cornelio francescano (non siciliano, come dimostra il nome), esorcista con grande seguito tra il popolo, non predicava contro li Ebrei ma contro gli Agostiniani e provocò tali disordini che fu allontanato segretamente e di lui non si seppe più nulla. L’odio francescano contro i Domenicani ebbe campo di manifestarsi a Firenze al tempo del Savonarola: a voler essere irriverenti ci si potrebbe domandare se l’antiebraismo dei Francescani fosse soltanto una gara coi Domenicani, un mezzo, cioè, escogitato soltanto per non lasciare all’Ordine rivale l’esclusivo merito nella difesa del Cristianesimo.
Ma Francescani furono i teorici dell’interesse: francescano è il principio degli interessi corrisposti dal debitore al banchiere e dal banchiere al depositante a termine, che vedo applicato correntemente in un banco cristiano del ’400. Ed allora mi chiedo: I Francescani in Italia diventarono spontaneamente antiebraici oppure lo diventarono dopo aver sentito l’antiebraismo che si diffondeva tra le masse? E nella seconda ipotesi, che cosa fece nascere tale diffuso antiebraismo?
Poiché queste due domande possono riferirsi anche ai Domenicani spagnoli, siamo al centro del problema: che cosa, quali fatti stanno all’origine dell’antiebraismo del XV secolo o, più generalmente, quali fatti stanno all’origine delle esplosioni di antiebraismo che si verificano qua e là talvolta sotto forma di episodi isolati, talvolta sotto forma epidemica ? Uno scrittore quale l’Aretino, che certamente non si faceva scrupolo di usare termini drastici, pone in bocca ad un suo personaggio parole che fanno capire come l’opinione pubblica romana considerasse gli isdraeliti senza una speciale antipatia, ne riconoscesse anzi l’utilità, pur essendo diffusa la coscienza di una diversità di razza. E siamo a meno di mezzo secolo dall’espulsione dalla Sicilia, quando gli Ebrei siciliani rifugiatisi a Roma, se particolari difetti avevano, avrebbero dovuto già manifestarli…
Si deve aggiungere ancora che Francescani ed antiebraismo da una parte e Monti di Pietà dall’altra non sempre coincidono cronologicamente: per esempio in Sicilia l’espulsione ebbe luogo nel 1492-93 ma il Monte di Pietà, dopo le prediche di un Francescano, fu promosso molto più tardi (Palermo 1539, Trapani 1542). Forse l’intervallo di mezzo secolo può ritenersi coperto dal fatto che moltissimi Ebrei rimasero in Sicilia, convertendosi con grande abilità nella scelta dei cognomi (il che è largamente documentato) e forse proprio i più ricchi (il che è da accertare per fugare ogni dubbio) ?
Le esplosioni di antiebraismo hanno componenti psicologiche delle quali l’elenco sarebbe lungo: fanatismo religioso, razzismo, cultura sono le prime che mi vengono in mente, ma sono il contorno, la cornice; il movente vero è un altro e si può rintracciarlo costatando che quelle esplosioni si sono verificate sempre in momenti di crisi: o occorreva additare gli Ebrei come capri espiatori, o ci si illudeva di tamponare falle finanziarie con le loro supposte ricchezze, o occorreva additarli come profittatori della miseria popolare per rendere tale miseria meno insopportabile. Che poi il fanatismo abbia avuto una sua parte è innegabile: si può andare dall’estremo candore religioso fino al terrore magico per spiegare l’efficacia che hanno avuto senza dubbio le prediche dei Francescani o dei Domenicani non importa, o di pochi Ebrei convertiti prima dell’inizio della persecuzione che talvolta sono stati acerrimi nemici dei loro ex correligionari. I Viceré di Sicilia hanno dovuto intervenire più d’una volta contro i predicatori.
Ma né predicatori né governi – in genere gli Ebrei pagavano laudamente il privilegio di poter vivere indisturbati e relativamente protetti – si sarebbero posti spontaneamente e gratuitamente, o con loro danno, contro le masse popolari se queste non fossero state già mal disposte contro gli Ebrei. Ed è appunto la causa ed il momento della nascita di questa cattiva disposizione che bisogna ricercare.
E bisogna ricercare anche il come si presentavano gli Ebrei stessi di fronte alla persecuzione: in Sicilia, stando proprio ai documenti dei Lagumina, tra i giovani ebrei vi era un forte rilassamento morale e disciplinare e questo forse spiega le numerose conversioni del 1492; ma già tutto l’ebraismo siciliano era in movimento nel XV secolo, come mostrano le forti migrazioni da una giudecca all’altra e le sensibili diminuzioni numeriche di giudecche già fiorentissime e gli improvvisi accrescimenti di altre costrette,tra l’altro, ad ampliare le sinagoghe.
Nell’Italia Meridionale anche Ebrei erano stati colpiti economicamente da fenomeni che conosciamo male: faccio un esempio: un Ebreo maestro tessitore di sete e velluti lascia Catanzaro e se ne va ad impiantare i propri telai a Messina; siamo all’ultimo decennio del sec. XV, alla vigilia dell’espulsione: ma è contemporanea una crisi generale italiana tra i maestri setaioli cristiani che da Genova, da Lucca, da Napoli, da Venezia si trasferiscono a Messina.
Il fenomeno è evidentemente troppo ampio e non possiamo parlare di crisi circoscritta al setificio calabrese o ad un particolare artigianato ebraico.
Ho scelto a bella posta questo esempio perché esso ci mostra un Ebreo coinvolto in una cosa più grande di lui cioè in uno degli aspetti – il setificio – della più grande crisi che sotto mille modi, appariscenti o nascosti, superficiali o profondi, coinvolse tutta l’Europa nella seconda metà del sec.XV : la persecuzione spagnola o la lotta contro l’usura in Italia stanno dentro quella crisi generale, ne sono un fenomeno, increscioso e doloroso quanto si voglia, ma un fenomeno singolo di una crisi generale. Non si tratta soltanto del “rinascimento” al quale ognuno subito pone mente; si tratta anche di un’esplosione demografica mai registrata prima, della comparsa improvvisa dei “poveri vergognosi”, di un mutamento climatico con siccità e prosciugamento di sorgenti. E, per segnalare due aspetti poco noti di tale crisi nell’ambito siciliano, sono di questi anni gli acquedotti anche nelle piccole città, è di questi anni l’ostinata, pervicace, stupida lotta del governo … contro i muli.
Ho l’impressione che dalla letteratura ormai sia stato tratto quanto essa poteva dare e che ogni ulteriore revisione di quello stesso materiale sia soltanto un mezzo per aggiungere, alle già troppe componenti della storia ebraica, anche i nostri complessi, cioè per complicare invece di semplificare, per allontanarci invece di avvicinarci ad una corretta interpretazione dei fatti storici.
Noi abbiamo bisogno di rivedere i problemi dell’ebraismo italiano apprestando soprattutto nuovi materiali documentari , ed apprestandoli in modo assolutamente frigido, cioè dimenticando di essere Ebrei o Cristiani, semiti o ariani, comunisti o capitalisti: perché, in fondo, noi ignoriamo del tutto una cosa molto semplice a dirsi ma molto complessa a determinarsi: quale era la funzione degli Ebrei nella vita italiana? E per quali secoli abbiamo i documenti, senza ricorrere né a tradizioni né ad agiografie dell’una o dell’altra parte, né a fonti dottrinali o letterarie? Bisogna evitare di ricadere in errori come quello dello Slousch e di riecheggiare le prediche contro l’usura – in Sicilia ho trovato quattro processi per usura nel primo quarto del sec. XV e nessuno è contro Ebrei.
Nessuno ha dimenticato quanto hanno fatto in Italia, tra il secolo scorso e l’ultima guerra, illustri Israeliti nei più disparati campi della scienza, dalla filologia alla medicina; orbene, in Sicilia i medici ebrei erano numerosi e famosi; ebreo era l’oculista che operò Giovanni II di cataratta… Un raggio di luce sulle funzioni degli Ebrei in Sicilia prima dell’espulsione, è proiettato da questo fatto: all’inizio del XVI secolo arrivano in Sicilia medici forestieri (ricordo qualche genovese) benché vi sia nello Studio di Catania una “lettura” di medicina e benché la posizione di medico o di chirurgo assicuri vantaggi tangibili come l’esenzione dalle imposte.
Il solo documento già frigido di per se stesso e che possiamo affrontare frigidamente è quello economico. Ricerche sull’attività economica degli Ebrei ne esistono già alcune non coordinate organicamente; una non è stata mai effettuata: sulla vita degli Ebrei in Sicilia nei due secoli che precedono l’espulsione:sono diecine di migliaia di documenti nuovi, a disposizione degli studiosi, che ci mostreranno gli Ebrei in un ambiente non dichiaratamente ostile ma in cui l’antiebraismo popolare è latente e si manifesta talvolta in piccoli episodi locali.
Sono documenti che daranno il fatto nuovo di cui mi pare vi sia bisogno. Chi guardi la carta pubblicata da Milano vedrà che nessuna regione italiana aveva tanti gruppi numerosi quanti ne aveva la Sicilia.
Mi pare che ciò basti a porre la storia dell’ebraismo siciliano in prima linea.
Anche qualitativamente gli Ebrei siciliani non erano trascurabili: avevano una loro cultura (e sono documentate scuole e biblioteche), sapevano almeno firmare in caratteri ebraici; avevano un loro speciale notariato; esercitavano molti mestieri se non tutti; giungevano sino alle cariche pubbliche e si annovera un Secreto di Pantelleria ebreo; potevano essere ambasciatori del re e si annovera la famiglia Sala, che diede appunto ambasciatori e banchieri; erano mercanti imprenditori o piccoli industriali o finanziatori nell’industria dello zucchero; il primo che abbia eseguito una prospezione geologica della Sicilia fu un Ebreo; concorrevano al finanziamento dei comuni e dello stato con prestiti personali oltre alle imposte; esercitavano la funzione di interpreti…
La tolleranza nei loro riguardi non era assoluta e non era continua; gli episodi di intolleranza non saranno molti ma nemmeno pochissimi ed alla strage di Noto, vendicata dal Viceré in un bagno di sangue, converrà aggiungere i tumulti di Sciacca, sedati prima che giungessero all’irreparabile.
Si avrà notizia di qualche artigianato distrutto con la loro esplulsione e ripreso nel’500 chiamando a raccolta i convertiti.
E varrà la pena di accertare finalmente l’entità numerica delle conversioni nel XIV e nel XV secolo; e la mobilità estrema in Sicilia stessa, il continuo ricambio con nuclei ebraici non siciliani, la fraternità manifestata in cento modi verso Ebrei d’altri stati europei, e la tendenza verso la Palestina e, perché nò?, la passione del giuoco, la bigamia legale…
Insomma una vita ebraica vera, senza preconcetti, senza martirii, senza ostilità, che ci insegni finalmente che cosa rappresentò per due secoli la minoranza ebraica in mezzo ai Siciliani.
Perché minoranza numerica essi furono senza dubbio: ma vi sono luoghi e gruppi di anni in cui quella minoranza sembra aver avuto la funzione del lievito. Non credo sia possibile una compiuta storia economica della Sicilia se non si conosca a fondo l’ebraismo siciliano; e non credo si possa fare una storia dell’ebraismo italiano prescindendo da quello siciliano che sembra essersi presentato con una fisionomia propria.
Comunque l’ebraismo siciliano del XIV e del XV secolo non è conosciuto e questa, da qualunque punto si guardi, è una grave lacuna nei nostri studi.
Mi pare non sia stato abbastanza rilevato che Oberto Fallamonaca, funzionario di Federico II ma musulmano e che scriveva in arabo ancora durante il governo angioino, fece venire alcuni Ebrei dal Marocco per certe speciali coltivazioni.
Del resto, non è conosciuto meglio l’ebraismo dell’Italia Meridionale; e non è lecito dimenticare quanto narra il Bandello (Novella XXXII della parte I) contro un francescano spagnolo che avrebbe voluto espellere gli Ebrei dal regno di Napoli nel 1492, ma cozzò contro il buon senso del re Ferdinando di Napoli che lo sottopose a processo.
La novella, derivata da un racconto orale del Pontano, è dedicata al cardinale Ludovico d’Aragona, figlio naturale di Ferdinando il Cattolico, è un rimprovero palese al Cattolico, rappresenta l’opinione pubblica almeno moderatamente favorevole agli Ebrei, comunque avversa a certi francescani.
Per tornare alla Sicilia, niente affatto conosciute sono la sorte e le funzioni dei neofiti, dei neoconvertiti. In politica pare non si siano mescolati e, per esempio, nessun nome sospettabile di appartenere ad un neofita, si trova negli elenchi di coloro che, in un modo o nell’altro, parteciparono alla rivolta contro il Viceré Moncada.
Nomi di neofiti non si trovano nemmeno tra coloro che, nel primo ventennio del sec. XVI,lottavano accanitamente per impadronirsi delle amministrazioni comunali.
Un effetto immediato dell’espulsione fu sentito nei comuni minori: era d’uso infatti che l’ospitalità, la “posata” ai commissari governativi ed ai sindacatori venisse fornita dalle comunità ebraiche; sciolte queste, il carico ricadde sui comuni dai bilanci disastrati che invano cercavano di scrollarselo. Monte San Giuliano se ne lamentava sino in Parlamento.
Saranno stati usurai? Non credo. In occasione del Parlamento del 1518 riunito dal Duca di Monteleone, la città di Marsala presentò vari capitoli, uno dei quali era contro uomini e donne che prestavano ad usura; cristiani senza dubbio, perché in caso diverso i neofiti sarebbero stati espressamente menzionati.
Ferdinando il Cattolico, che aveva espulso gli Ebrei, fu costretto a tollerare che come convertiti rimanessero in Sicilia o vi ritornassero; in qualche luogo essi lamentavano di essere trattati peggio di quando erano giudei; ma in molti altri erano autorizzati a riscuotere crediti anteriori al 1492, il che appare tanto più strano in quanto l’espulsione era stata accompagnata dalla confisca. Si può citare un caso del 1508, sedici anni dopo l’espulsione: nel piccolo centro di Paternò erano giunti alcuni neofiti ed avevano riscosso vecchi crediti senza dare il 45% dovuto alla regia tesoreria; furono sottoposti a processo fiscale ma il Viceré, allora Remon Cardona, spagnolo, ordinò di soprassedere indottovi dalle richieste del nobile Giovanni Ferdinando Moncada medico fisico, di Laura sua moglie, dei suoi figli e di molti altri neofiti di Paternò[5].
Insomma, a Paternò la universitas ebraica era stata sostituita da una comunità di neofiti. Tra parentesi, il medico ebreo aveva assunto nome e cognome del potentissimo padrino, aggiungendo come secondo nome quello del re Cattolico.
I neofiti siciliani proseguivano i vecchi mestieri: maestro Pietro Monteverde produceva salnitro e lo vendeva al governo[6].
Ma chi lo riconoscerebbe per neofita se il documento non lo dichiarasse tale? A Palermo una Angela de Perrone risulta figlia di Salomone e di Perna Benassay; ma come lo sapremmo se essa non si dichiarasse tale in una questione ereditaria?[7]
E come li accolse la popolazione cristiana? Finchè cercarono di riscuotere crediti – e ciò sino al 1515 circa – ricorsero alla protezione del governo con la formula della regia salvaguardia; ma codesta non era una condizione speciale perché alla medesima formula ricorrevano tutti i mercanti, siciliani e forestieri, quando avevano paura di debitori violenti; vi ricorrevano persino le amministrazioni vescovili di Catania e di Agrigento, gli ecclesiastici di Sciacca, gli esattori della Crociata. Alcuni di Palermo che tuttavia portavano il prestigioso cognome di Leofante furono bastonati[8]; a Naro venivano trattati peggio che se fossero stati giudei[9]; ma a Giuliana un Ebreo era ritornato dopo l’espulsione e si era convertito[10];e a Naro stessa nel 1503 un neofita forestiero fu fatto cittadino vale a dire, stando al meccanismo delle cittadinanze acquisite in quell’epoca, venne riconosciuto utile al paese[11].
Ho l’impressione che sotto Carlo V scompaia la qualifica di neofita.
Ma quale fu in Sicilia la posizione degli Ebrei che come tali vi capitavano ? e, prima di tutto, ve ne arrivarono quali mercanti dopo il 1516?
E quelle diecine di donne, bambini, vecchi portati da Tripoli nel 1510 e venduti come bottino di guerra – un mercato di carne umana che commuove ancora oggi – erano già schiavi a Tripoli o lo divennero in seguito a quella che Ferdinando il Cattolico sognò come l’ultima Crociata ma che fu, per la cattiveria degli uomini, come altre Crociate, un ladroneccio?[12]
Frattanto, per mostrare quanto il nostro problema sia ampio anche dal punto di vista geografico, segnalo una nuova fonte che sarà da prendere in considerazione.
Un nucleo di ebrei siciliani dopo l’espulsione del 1492 fu ospitato dal governo turco a Costantinopoli, dove costituì una comunità. Infatti nell’inventario dell’eredità lasciata da Mehmed Beg, sellaio del sultano, nel 1656, sono elencati moltissimi crediti su ebrei e sono citate le comunità israelite d’Aragona, di Portogallo, di Germania, di Toledo, di Catalogna, d’Italia; della comunità di Sicilia sono ricordati nove individui: Avram Kapic, Abramo Capizzi; Muse Sami; Simitci Samoel e un altro Muse; Avram Firenc e Salamoi Salna; Salamoi Metlon;
Bakkal Aser e Basro[13].
Se gli ebrei siano partiti direttamente dalla Sicilia per Costantinopoli o vi siano pervenuti dopo un passaggio attraverso Roma o Napoli, città verso le quali la loro migrazione era già documentata, non sappiamo; sta di fatto che un secolo e mezzo dopo l’espulsione costoro ricordavano ancora il luogo d’origine; ed oggi ci indicano una nuova direzione delle ricerche da condurre anche negli Archivi turchi, poiché una comunità ancora fiorente nel 1656 deve aver avuto una sua storia e non può aver mancato di intrattenere rapporti, almeno nei primi decenni, con i Siciliani rinnegati o schiavi o che, liberi, frequentavano Costantinopoli[14].
Si apre così, attraverso la diaspora, un nuovo capitolo di storia siciliana.
[1] ATTILIO MILANO, Storia degli Ebrei in Italia, Torino, 1963: LELIA CRACCO RUGGINI, Note sugli ebrei in Italia dal IV al XVI secolo, in Rivista Storica Italiana”, anno LXXVI fasc. IV, Napoli, 1964 pp. 926-956.
[2] E. Castelli, I banchi feneratizi ebraici nel Mantovano, 1386-1808, Mantova, 1959.
[3] Pubbl. in Centenario di Michele Amari, vol. II, Palermo, 1910, p. 186 e sgg.
[4] “Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici siciliani”, vol.4, Palermo, 1956 p.39 e sgg.
[5] Archivio di Stato di Palermo, Conservatoria, vol. 94, f. 662.
[6] Ibid., vol.93, f. 406, anno 1507.
[7] Ibid., vol. 98, f. 102, anno 1511.
[8] Ibid., vol. 85, f. 271, anno 1501.
[9] Ibid., vol. 83, f. 424, anno 1499.
[10] Ibid., vol. 83, f. 438, anno 1499
[11] Ibid., vol. 87, f. 274
[12] Ibid., vol. 99, ff.47 e sgg.
[13] OMER BARKAN, Edirne Askeri Kassami’na Ait Tereke Defterleri, 1545, Ankara, 1968, pp. 384-386
[14] Fin dal 1489 era noto che Siciliani frequentavano anche il palazzo del Gran Turco (C. TRASSELLI, Note per la Storia dei Banchi in Sicilia nel XV sec., Plermo, 1968, Parte II,. P.295).
Pare che i neofiti di Messina abbiano continuato i rapporti commerciali con gli Ebrei di Calabria: il neofita Jacobello Compagna comprava 12, ff. 238-239, 7 aprile 1509). Un solo neofita venne accusato di aver partecipato all’incendio della casa di Pietro Montaperto in Agrigento, ma l’incendio ebbe luogo nel 1516 nell’ambito di una lotta di consorterie locali, mentre l’accusa e del 1519 (Archivio di Stato Palermo, Segretari del Regno, Ramo Protonotaro, vol. 16, al 19 luglio). Fino al 1525 si occuparono dei neofiti, in termini blandi e generici, i Capitoli del Regno.
L’Inquisizione in Sicilia si occupò pure di loro, ma senza accanimento particolare, ed il governo li difese come potè. A Santa Lucia (già sede di una giudecca numerosa) Paolo Staiti e la moglie, neofiti, si videro sequestrare i beni dall’Inquisizione; il Viceré ordinò che i creditori non li molestassero (Ramo Protonotaro cit., vol. 19, 11 novembre 1520). Il caso più clamoroso resta quello di Tripoli, dove l’Inquisizione mandò un Leone da Guerda a processare i falsi convertiti fuggiti colà, nel 1525 (G. La Mantia, La Sicilia e il suo dominio nell’Africa Settentrionale, Archivio Stor. Sicil., N.S., vol. XLIV, Palermo, 1922, p. 225).