- di Giovanni ALVARO -
La vicenda della città di Reggio Calabria, che ha visto la propria vita democratica sospesa con lo scioglimento, per contiguità mafiosa (!??), del suo Consiglio Comunale, torna prepotentemente all’attenzione dei reggini che, in questi giorni, vengono sollecitati a firmare una petizione popolare, per chiedere che vengano risarciti i danni causati dalla terna di Commissari prefettizi, nominati per gestire il Municipio, che, infatti, ha assunto una serie di iniziative provocando gravi perdite economiche.
Danni che assommano a centinaia e centinaia di milioni per “l’annullamento di procedimenti amministrativi, quali la dismissione del patrimonio edilizio… il blocco…. di opere… con la perdita di ingenti risorse comunitarie… previste dal Piano della mobilità, dal Piano per il risparmio energetico, dal Decreto Reggio e da altri programmi strategici…” e che, in parole semplici, sono stati una vero e proprio disastro che aggiunto all’innalzamento, ai massimi livelli, dell’imposizione fiscale hanno causato colpi mortali all’economia cittadina.
Ma la vicenda patita dalla città di Reggio permette anche una riflessione su quanto avesse ragione Giovanni Giolitti quando affermava che “se per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”. Ed è quel che avviene in Italia dove una disposizione di legge, che butta nel cestino delle immondizie lo stato di diritto, viene applicata discrezionalmente contro quelle città che si considerano ‘avversarie’, mentre vengono lasciate in ‘pace’ realtà come Rende (difesa a spada tratta dalla Rosy Bindi) e la stessa Roma che appartengono alla stessa parrocchietta dei governi Monti, Letta e Renzi.
Mentre Reggio ha subìto il rigore delle disposizioni di legge che, molto ipocritamente, l’ex Ministro Cancellieri presentava come “un atto sofferto ma fatto a favore della città” (sic!) a Rende c’era chi metteva, come gli struzzi, la testa sotto la sabbia, mentre a Roma scendeva in campo, per disattendere lo sbocco naturale di quella vicenda, lo stesso Renzi con una chiarissima affermazione come “essendo di competenza del Consiglio dei Ministri è una decisione politica (lo scioglimento ndr) che prescinde dalle indagini e dagli atti previsti dalle norme”. In soldoni: il Consiglio Comunale di Reggio può essere sciolto (perché in mano alla coalizione di centrodestra), Rende e Roma non lo possono perché in mano a rappresentanti della sinistra quali Principe (ancora ai domiciliari) e Marino (ritornato attualmente su Marte).
Sarebbe ora di cambiare questa disposizione che, oltre a mandare a quel paese lo stato di diritto, penalizza soprattutto i cittadini amministrati da Consigli Comunali considerati ‘contigui’ (aggettivo che dice poco o niente), mentre è giusto sanzionare quel o quei consiglieri che abbiano potuto ricevere il sostegno della criminalità organizzata. E’ una assurdità privare i cittadini degli organi istituzionali previsti mentre è sacrosanto liberarli da presenze molto scomode.
Chiedere la modifica dell’art. 143 del T.U.E.L. significa, anche, liberarsi di una disposizione che, come l’esperienza ha dimostrato, viene usata spesso come arma per la lotta politica. Non riuscendo, infatti, a battere il proprio avversario con le regole della democrazia, si stupra la stessa e si cambia il destino di intere collettività. Così com’è, purtroppo, è avvenuto a Reggio Calabria.
(foto da internet)