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Il CAMMELLO

 

 

Non si può parlare dei giganti messinesi senza richiamare alla memoria l'ultima machina festiva della rassegna: il Cammello, o Cammiddu o Cammellaccio che delle due statue equestri costituiva una sorta di appendice.

 

La sua presenza nelle feste di mezzagosto è attestata già nel 1606 da Giuseppe Buonfiglio che scrive in una popolare celebrazione: " ...della vittoria ottenuta dal conte Ruggeri, il quale, fugati i Mori, entrò trionfalmente a Messina coi suoi soldati bagordando, e coi cammelli barbareschi carichi di spoglie". Placido Samperi, nel 1644, ne fornisce questa descrizione:

 

"Và per tutto quel dì (14 agosto), e nè seguenti ancora, per le pubbliche strade ballando, e scherzando con la plebe minuta, un finto Camelo, accompagnato da alcuni mascherati, come Saraceni; usanza, ch'à men periti sembra una inettia plebea, é una stolta melansagine, al parere però de' Savij, e degli Eruditi, una pia, e religiosa rimembranza della vittoria del Conte Ruggieri, quando scacciati con l'aiuto de' Messinesi, li Saraceni, entrò nella Città di Messina trionfante, nell'anno 1061, come alcuni vogliono, non su l'ampia schiena di smisurato Elefante, ò d'orgoglioso Leone, come i Cesari, e i Pompeí tirati da questi animali, mà sopra il dorso d'un barbaro Camelo guernito all'Arabesca. Quindi e che gli antichi Messinesi nell'anniversaria solennità della Vergine, per la memoria immortale di quella Trionfale giornata, fabricarono un finto Camelo che andasse attorno per la Città, e destasse gli animi alla ricordanza della ricevuta libertà, per opera della B. Vergine... ".

 

Nel 1888, L'Illustrazione popolare di Milano fornisce questa descrizione con dovizia di particolari:

 

"Il secondo giorno usciva il cosidetto camiddu: cammello. Era una costruttura in legno che imitava la forma dell'infatícabile quadrupede del deserto. Camminando apriva e chiudeva la bocca, e da essa l'uomo che era nell'ordegno, allungava la mano per ghermire tutto ciò.che gli veniva fatto trovare; cosicché allo spettatore ingenuo riusciva completa l'illusione che il camiddu mangiasse davvero. E mangiava voracemente. Nessuna bottega era risparmiata. La bestia rapace gironzolava qua e là rompendo con moti repentini il cerchio fitto, ondeggiante della folla che, ai tiri astutissimi, si smascellava dalla risa. Pane, bottiglie di vino, chincaglie, formaggi; tutto ciò che i bottegai mette vano in bella mostra presso l'ingresso del negozio, era trangugiato dalla bocca vorace. Il primo a ridere dei tiro era il bottegaio derubato".

 

Intuibile da queste descrizioni la reale struttura del Cammello: una leggera ossatura in legno, sulla quale si adattava una pelle completa di dromedario. Sotto l'ossatura erano i due facchini, le gambe dei quali, visibili, erano ricoperte dalla pelle predetta. Tra i due portatori era legato un sacco dove si riponeva il ricavato della visita ai rioni della città. Attorno al Cammello erano un suonatore di cornamusa ed altri fanciulli mascherati, come li presentano antiche stampe. Con grande capacità di sintesi, l'etnoantropologo siciliano Giuseppe Pitrè definì la pantomima del cammello "scena abissina" , mettendola in relazione con quella del Serpente di Butera, `u sirpintazzu, che sciama per le strade del paese in occasione della festa di San Rocco.

 

Analogo cammello rituale, anch'esso vorace ma con diverse motivazioni di nascita rispetto a quello messinese, è il camiddu di Casalvecchio Siculo che sfila accompagnato da tamburini e da un cammelliere durante la festa di S. Onofrio. Anche nel comprensorio calabrese, a S. Costantino di Briatìco, è il cammello con la sostanziale funzione di machina festiva attraverso la quale è possibile lecitamente procedere ad un esproprio di beni. La strana effige del cammello insomma si cónfigura, nelle sue modalità fruitive popolari, come machina esemplare atta a porre in essere rituali di disordine controllato, attraverso la temporanea ridistribuzione dei ruoli e dei beni che possono essere assegnati in modo differente che nella realtà ordinaria.

 

L'insaziabile fame e la irrefrenabile rapacità del cammellaccio, divennero proverbiali tanto che un tempo, a Messina, di persona arraffatrice si era soliti dire: "Fa comu `u camiddhu!".

 

Ultima modifica il Lunedì, 17 Ottobre 2016 07:40
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