- di Rosario Fodale -
Ci facciamo onore anche fuori casa. Che non sia l’inizio di una rinascita messinese? Non mi riferisco al calcio, che mi sta comunque a cuore e che spero possa presto tornare a dare soddisfazioni ai miei concittadini e a me stesso. Mi riferisco all’ennesima performance del chiarissimo e carissimo professore Giuseppe Rando, che tutti stimiamo per la sua vasta cultura letteraria e per la sua capacità di trasmetterla, con passione, chiarezza e intelligenza, senza spocchia accademica, a quelli che hanno la fortuna di frequentarlo.
Egli ha partecipato, l’altr’ieri, con alcuni suoi colleghi dell’Università “Sant’Orsola Benincasa” di Napoli e dell’Università di Catania, a una stupenda serata di poesia, organizzata a Catania dalla “Società Dante Alighieri”, in occasione dell’uscita dell’ultima raccolta di poesie (“Mare di luna”) del grande poeta reggino Corrado Calabrò e di un pregevole saggio critico di Carlo Di Lieto, intitolato “La donna e il mare. Gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò”. Il poeta e il suo critico, professore dell’Università “Sant’Orsola Benincasa” di Napoli, erano presenti.
Mia moglie ed io, a Catania per altri motivi, eravamo agli ultimi posti della sala del “Palazzo della Cultura”, mescolati tra gli altri spettatori e abbiamo seguito attentamente, sempre più ammirati, la manifestazione. Prima, la presentazione sintetica del poeta Calabrò da parte di Giuseppe Manitta, che ha scritto la prefazione a “Mare di luna”, poi una succosa relazione del prof. Dario Stazzone dell’Università di Catania, presidente della “Dante Alighieri” locale, sulla novità della poesia di Calabrò, quindi una prima lettura di poesie da parte dello stesso poeta, che ci ha saputo mettere a contatto diretto con la malia del mare racchiusa nei suoi versi. A questo punto, ha preso la parola il professore Rando, il quale ha tracciato, con la consueta perizia e schiettezza comunicativa, un quadro nitido della vasta produzione poetica di Calabrò, catturando letteralmente l’attenzione dell’uditorio. Devo dire che io, (quasi) vecchio maresciallo dei carabinieri che ha sempre amato il bello in tutte le sue manifestazioni ma che non ha mai avuto modo di coltivare, come avrebbe voluto, la poesia, ho capito tutto: che il mare e l’amore sono, per Calabrò, metafore dell’esistenza, della vita, della natura, colta nella sua bellezza e nella sua mutevolezza, ma anche nella sua perennità immutabile; che il Reggino ama il mare con lo stesso, identico, profondo trasporto sensuale di un innamorato verso la sua donna; che alla base di tutta la poesia di Calabrò c’è la carica antimetafisica e antiideologica della filosofia di Nietzsche e Heidegger nonché le scoperte di Einstein, di Hawking e degli astrofisici, che hanno definitivamente dimostrato la relatività del tempo (e dei nostri concetti di passato, presente, futuro). Non finivamo più di applaudire a conclusione della bella, chiarificatrice relazione di Rando.
Altrettanto interessante (e applaudito) è stato l’intervento del professore Di Lieto, il quale ha documentato la componente psicanalitica della poesia di Calabrò e ha parlato della «bi-logica matteblanchiana» per spiegare le apparenti contraddizioni della natura e dell’amore, registrate nell’opera del poeta reggino. Il quale ha concluso, con impareggiabile eleganza, leggendo altre sue, splendide poesie d’amore.
Ma bisogna dire che si percepiva nell’aria una tensione benevola, quasi amorosa del pubblico verso il poeta e i relatori, del tutto insolita, invero, in situazioni come questa: era stato forse un miracolo della poesia.
Ci siamo dovuti fare largo, alla fine, con pazienza, tra il pubblico che si stringeva attorno al professore Rando, il quale non si era accorto della nostra presenza e distribuiva sorrisi e ringraziamenti a tutti dando il suo numero di telefono alle signore che glielo chiedevano e ricevendo in dono da alcune di esse (chiaramente poetesse) i loro libri di poesie, quasi fosse diventato un cantante o un attore famoso.
E meno male che non eravamo a Messina, dove, forse, qualcuno sarebbe morto d’invidia (lasciatelo dire a me che, da quasi vecchio maresciallo, conosco gli uomini e le cose del mondo, forse meglio di qualche professore troppo buono e troppo signore).