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Un poeta trilingue siculo-calabrese: Antonino Grillo

- di GIUSEPPE RANDO -

Ho assistito ieri, assai compiaciuto, da critico - un mio saggio di taglio monografico sull’opera poetica di Nino Grillo è uscito, qualche anno fa, su «Otto-Novecento» - e da amico, alla presentazione, nella prestigiosa sede della Villa Vaccarino, a Milazzo, del recente libro di poesie dello stesso Grillo, Effinzioni nuove (e ultime). Ho molto apprezzato e condiviso gli interventi dei due relatori ufficiali: il milazzese prof. Massimo Raffa dell’AICC e la prof.ssa Maria Concetta Sclafani di Castroreale, autrice di eccellenti manuali scolastici, che hanno egregiamente sottolineato: a) la tematica del quotidiano nell’opera di Grillo (Raffa); b) le ascendenze latine e greche della poesia di Grillo (Raffa); c) l’attaccamento al mondo degli affetti familiari, nonché l’umiltà e l’autoironia di Grillo, «poeta amico del lettore» (Sclafani); d) la «semplicità in apparenza» delle poesie latine, italiane e calabresi di Grillo (Sclafani).

In quel mio saggio sulla poesia di Grillo avevo insistito sulla «leggibilità» (la «semplicità apparente» di Sclafani) delle sue liriche, prendendo da qui l’abbrivo per inserirlo nel vasto panorama della lirica contemporanea (dai Maestri postermetici a Bellezza, a Zeichen, a Valduga, a Cucchi, a De Angelis, a Zymborka, a Bob Dylan volendo), che cerca appunto di restituire leggibilità alla poesia, riallacciando il dialogo col lettore, dopo gli sciali dell’Ermetismo e del Relativismo.

A monte, resta la divaricazione, sempre più netta, tra coloro che fanno, producono, creano la poesia e coloro che ne usufruiscono o dovrebbero usufruirne: tra poeti, insomma, e lettori di poesia. Il fenomeno è molto complesso e molte sono le cause o le concause da cui promana, a partire dalle deficienze della scuola (Università compresa) e dall’inaridimento progressivo del bello nella società dominata dalla tecnica e/o dalla penuria di lavoro. Non c’è dubbio, tuttavia, che, dopo il forte recupero di leggibilità e credibilità dei Maestri degli anni Sessanta e Settanta (Pasolini, Sereni, Caproni, Bertolucci), gran parte della poesia contemporanea, pur tenendosi ai livelli alti della stilizzazione letteraria, tende a divenire viepiù autoreferenziale, cioè avulsa dalla realtà e dal ‘commercio’ col lettore, come chiusa nella cerchia ristretta del poeta e dei critici, laddove il vasto pubblico dei giovani e delle persone variamente acculturate, praticamente escluso o ignorato dai poeti, avverte un crescente bisogno di poesia che viene parzialmente soddisfatto dai (pochi) poeti leggibili e perlopiù dai cantautori e dai campioni del rock. È una sorta di antinomia che stenta a diventare dialettica (dovrebbe, invero) e produrre una sintesi efficace: restano irrelate, da un lato, la ricercatezza – fino all’oscurità – stilistica (una sorta di neo- o tardo- barocco) sotto cui si celano l’egolatria del poeta e la fuga dalla realtà; dall’altro, la leggibilità chimerica e la realtà pressante che vuole essere espressa.

Si direbbe, in altri termini, che il poeta diventi sempre più eccentrico, laterale rispetto agli sviluppi della storia laddove il centro lasciato libero viene occupato (meno male) da Fabrizio De André, Mogol-Battisti, Paoli, Tenco, Giovanotti, Vasco. Anche Caproni e quindi presumibilmente Sereni, Bertolucci, Pasolini e tutti i loro eredi risultano estranei, stando alle reazioni suscitate dal tema dell’ultimo esame di stato, ai giovani “millennials” .

E vien fatto di chiedersi se c’è una via d’uscita da questo tunnel.

Non a caso, nel seguire avantieri, in televisione, il concerto di Vasco Rossi a Modena, mi è tornato in mente un giudizio tra amaro e divertito di Giuseppe Petronio, che tendeva a liberare la cosiddetta paraletteratura dal “para”: «Tra cinquant’anni tutti si ricorderanno delle poesie di Fabrizio De André e nessuno saprà chi è Zanzotto».

E ho pure pensato alla relatività dei giudizi sulla poesia e al canone troppo rigido prevalente non solo nelle Università e nelle Scuole, ma anche nella Società, dove si afferma sempre l’idea che il poeta sia tanto più grande quanto più è oscuro e illeggibile. Ne so qualcosa, per esperienza diretta, dacché, come presidente di provinciali giurie “poetiche”, devo subirmi astruserie di ogni genere spacciate per poesie.

Nino Grillo è miracolosamente estraneo a ogni ermetismo, a ogni vuoto barocchismo, a ogni mistificazione-adulterazione della realtà: del tutto immune da ogni forma di idolatria del poeta egocentrico (quello che «si guarda l’ombelico», per dirla con Petronio, «e non vede altro che il suo ombelico»). Nella sua poesia, difatti, il rapporto io/tu prevale nettamente sull’io.

Si è che gli affetti reali e la dura realtà della vita sono al centro del suo mondo poetico (la moglie, i figli, il padre …), ma non c’è dubbio, altresì, ch’egli sappia trovare le vie della poesia, senza scadere mai nel patetico, rifuggendo dalla retorica, usando un lessico quotidiano, mai scontato ma come rigenerato dal contatto col latino e il greco, fidando molto sulla collocazione della parola nel verso e sul ritmo interno di ciascuna lirica. Egli possiede soprattutto il dono dell’ironia e dell’autoironia, che libera, da sempre, gli uomini da ogni boria e rende l’uomo-poeta un amico fraterno, solidale col lettore, come rileva, giustamente, la Sclafani.

Epperò Grillo restituisce alla poesia la sua funzione fondamentale e primigenia: trasmettere, comunicare, in versi (con ritmo metrico appropriato, con sintesi fulminee, con simboli, metafore ecc.), al lettore, messaggi chiari, leggibili. Egli invia difatti ai giovani, ai figli, ai colleghi, agli amici, messaggi limpidi, redatti nelle tre lingue che padroneggia (latino, italiano, calabrese [di Mileto]), che sono frutto delle sue esperienze realissime di figlio, uomo, padre, marito, studioso.

La realtà per Grillo non è dunque opinabile né solo interpretazione soggettiva (come vorrebbero l’Ermeneutica e il Relativismo del Postmoderno): è, esiste con le sue gioie e i suoi dolori, ma esiste. Quanto dire che Grillo non è un poeta provinciale: è degno erede dei Maestri degli anni Sessanta, ma è anche un poeta sintonico alla stagione culturale del New Realism (la corrente filosofico-letteraria propugnata in Italia da Maurizio Ferraris e Umberto Eco), che pare debba soppiantare la lunga stagione dell’Ermeneutica, del Relativismo-Nichilismo e del Postmoderno. Vivaddio.

Ultima modifica il Giovedì, 06 Luglio 2017 09:53
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