- di Giuseppe Rando -
Nel suo ultimo libro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana, Tullio De Mauro evidenziava come, nel secondo Novecento, contrariamente alle previsioni, i dialetti non siano affatto scomparsi nel Belpaese e che anzi si siano evoluti, secondo la prassi abituale delle lingue (perennemente in movimento sotto l’urgenza delle novità politiche, sociali e culturali), tanto che si è addirittura intensificata nello Stivale la diglossia dei parlanti (la parlata simultanea di una lingua e di una variante dialettale), tipica delle italiche contrade.
Il dialetto conserva, insomma, o incrementa addirittura, la sua funzione espressivo-comunicativa. E se non riuscirà mai a diventare la lingua della scienza e della filosofia, come sottolineava Sciascia, poco manca (e poco importa).
Il dialetto non è, comunque, una sotto-lingua, né una lingua degradata e corrotta (rispetto all'Italiano), né la lingua degli ignoranti, dei paesani e dei morti di fame, ma funziona come una lingua, è una lingua locale (con la sua fonetica, la sua morfologia, la sua sintassi e la sua semantica), parlata in Sicilia e non solo, viva nonché codificata in numerose opere di scrittori e poeti siciliani nel corso lungo dei secoli.
Se ne è avuta la conferma – ove ce ne fosse bisogno – ieri era al “Monte di Pietà”, dove è stata presentata al pubblico la raccolta di poesie in dialetto messinese, Nostra terra, nostru cantu, nostru cori, di undici poeti afferenti al “Cenacolo Culturale Hortus Animae”.
Mentre i poeti leggevano le loro poesie, il selezionato pubblico ha avuto la gioia e il privilegio di riassaporare – una tantum! – il suono del limpido lessico messinese, con le sue locuzioni pregne di vita, di colori, di odori, di sapori, di sfumature ironiche, allusive, di similitudini ardite, di metafore inusitate, di originali curvature cromatiche e timbriche, orchestrato, per giunta, dentro metri tradizionali e liberi (novecenteschi) o modulato nelle forme della musica popolare.
I poeti dell’ “Hortus Animae” hanno anche catturato l’attenzione dei presenti con la novità dei contenuti: non più la retorica degli affetti familiari (magari condita dal solito dolore per la partenza dal loco natio o dall’amara dipartita della cara mamma), né le eterne lodi della donna amata, né i lai dell’amante infelice (per la durezza di cuore di lei), ma il fuoco della passione (anche femminile), esaltata da un lessico disinibito, corposo, carnale, o il dramma rivissuto dell’amore sacro e dell’amore profano, o la polemica sociale tramata di accenti creaturali senza alcuna concessione alla vulgata populistica, o l’indagine pensosa dei moti dell’anima tra sogno e realtà con rapide incursioni nei territori del simbolismo.
Il reading dei poeti è stato felicemente inframmezzato dal concerto di due autentici fuoriclasse della musica: i maestri Gabriele Maria Mazzeo, al violino, e Denis Bergua, al pianoforte, che hanno saputo toccare il cuore dei fortunati spettatori con musiche di Vitali, Lalo e Brahms .
Nella stessa occasione, il transetto del Monte di Pietà ha ospitato la retrospettiva del pittore Giovanni Mazzeo, che ha peraltro illustrato la copertina dell’antologia poetica.
L’evento è stato organizzato, gestito e presentato, con grande eleganza, dalla commossa dottoressa Maria Grazia Genovese, presidente e anima dell’ “Hortus Animae”, poetessa di suo e madre di Gabriele Mazzeo, con l’aiuto dei poeti Gaetano Nania e Antonio Cattino. Il sottoscritto ha evidenziato, in apertura, l’eccezionalità dell’evento, perorando la causa del dialetto e della … democrazia!.