- Di Giuseppe Messina -
“Gli uomini di cultura e i mezzi di comunicazione di massa devono essere un binomio inscindibile, un unico strumento corresponsabile, operante in sinergia con associazioni socioculturale, in un patto sentito, senza interessi di parte, senza paura di ricercare ed attestare la più scomoda verità, per riscattare la parte migliore della società ed indirizzare i giovani in un futuro di lealtà dove la criminalità, il malaffare non possano trovare umus vitale”.
Era il sabato del 4 gennaio del 1997 quando pronunciammo con convinzione e forza la suddetta frase, in occasione della manifestazione indetta per il diciassettesimo anniversario dell’istituzione del “Movimento per la Divulgazione Culturale” di Barcellona Pozzo di Gotto, consci di quale indispensabile parte può e deve avere la cultura per la crescita e la moralizzazione della società.
Naturalmente pensavamo, come vorremmo pensare ancora, che nella categoria degli uomini di cultura dovrebbero essere inseriti anche i giornalisti, tutti i giornalisti. Purtroppo stiamo vivendo una grande delusione dal momento che questi sono rarissimi ed in fase di estinzione. Nessuno si scandalizzi: sono i fatti che portano a tele convinzione. Molti giornalisti non sono degni di questo tradizionale, nobile appellativo. Personalmente non chiamo più giornalisti quelli che un tempo erano così intesi: chiamo divulgatori di verità quelli che un tempo erano indicati come veri giornalisti, mentre definisco mistificatori, storpiatori ed uccisori della verità tutti gli altri ovvero quelli senza dignità, senza rispetto neppure di se stessi, che scrivono e riportano le verità convenienti ai loro datori di lavoro infamante: Spregevoli individui che agiscono con disprezzo per le pochissime basilari regole della nobile arte giornalistica. Per quest’ultimi lo scopo del giornalismo non è quello di concorrere alla formazione della coscienza critica di ogni cittadino, perciò non interessa loro perseguire la verità, ma la deformazione dei fatti.
Scriviamo questo oggi, nella ricorrenza del 36 anniversario del barbaro assassinio di Giuseppe Fava, il giornalista fondatore del giornale i Siciliani, morto per avere rispettato quelle poche regole perseguite dai veri giornalisti. E ci piace ricordare ancora una volta proprio Pippo Fava come facciamo da anni.
Seguivamo Pippo Fava da tempo. Non avevamo mai avuto dubbi; egli rappresentava un uomo particolare, un esemplare ineccepibile di intellettuale a tutto tondo. Quasi unico nel panorama della cultura siciliana e non solo siciliana. All’inizio ci stupiva il suo coraggio di dire, di scrivere, poi abbiamo fatto l’abitudine, anzi ci saremmo meravigliati nel caso in cui, per un qualsiasi motivo avesse cambiato stile. Ma Pippo Fava non cambiò mai. Lui cercò di cambiare gli altri, con i suoi esempi di coraggio, di coerenza, d’impegno sociale e culturale, sfidando chi, un giorno o l’altro, gli avrebbe potuto dare la morte, e la morte arrivò, a tradimento, da esseri spregevoli, infami, indegni di essere catalogati nell’umana razza.
Era caduto in trappola. L’avevano fregato. Con la complicità di ciò che egli tanto amava: il suo lavoro di ricercatore di verità, il suo impegno sociale, la sua onestà, il suo essere uomo di cultura. Probabilmente, anzi sicuramente se non fosse ritornato in Sicilia, se non avesse accettato la direzione de “Il Giornale del Sud” la sua vita non sarebbe finita in quella atroce maniera. Ma la tentazione fu molto forte, e poi come si fa a non desiderare di ritornare e mettersi a servizio della propria gente? Era veramente straordinario, ma se ci fossero ancora dubbi per capire chi era e come la pensava basta leggere la risposta data ad un lettore nella “Rubrica delle lettere al Direttore” de “Il Giornale del Sud” dell’11 ottobre del 1981 con la quale, tra l’altro dice:
“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia. Impone ai politici il buon governo.
“Se un giornale non è capace di questo si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali; ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!
“Ecco lo spirito del Giornale del Sud è questo! La verità! Dove c’è la verità si può realizzare giustizia e difendere la libertà! Se l’Europa anni trenta – quaranta non avesse avuto paura di affrontare Hitler fin dalla prima sfida di violenza, non ci sarebbe stata la strage della seconda guerra mondiale, decine di milioni di uomini non sarebbero caduti per riconquistare una libertà che altri, prima di loro, avevano
ceduto per vigliaccheria”. Etc…
Il giorno dopo la proprietà della testata giornalistica lo licenziò!
Da quel momento in poi Pippo Fava diventava un uomo “toccabile”. Ciononostante egli poteva ancora salvarsi, ma certamente avrebbe dovuto rinunciare a ciò in cui credeva, a ciò per cui agiva a ciò per cui, tra l’altro, viveva. Rinunciare dunque, ma rinunciare sarebbe stato un atto di vigliaccheria. No, il suo impegno socio-culturale, il suo credo, il suo essere escludeva un simile atteggiamento. Pippo Fava era deciso, e adesso sappiamo a quale costo, a continuare ad andare avanti seguendo la sua scrupolosa regola dettata dalla rettitudine morale, dal suo coraggio, un bisogno irrinunciabile dell’anima, per il suo vivere e per il suo morire.
A questo punto, l’uomo irriducibile, a qualunque costo, decise di fare da sé un giornale. Un giornale a sua immagine e somiglianza.
Nel 1980, Pippo Fava aveva pubblicato “I siciliani” per l’editore Cappelli di Bologna, un volume sanguigno; una vera e propria inchiesta sulla Sicilia realizzata dalla sete di conoscenza e di far conoscere; un lavoro certosino: la sua penna diventa un bisturi che affonda con coraggio e senza reticenze per raccontare meraviglie, vizi, virtù, difetti, malignità, splendore, bellezza, violenza, buffoneria, crudeltà, imbecillità, generosità di gente, buona, cattiva, presuntuosa arrogante, prepotente, amabile, intelligente, ottusa, testarda, orgogliosa, che non ha mai voluto intendere di essere un popolo e come tale comportarsi negli interessi di tutti e non nella meschinità del singolo. Sì, Pippo Fava in quel libro bellissimo racconta ed evidenzia anche questo: l’egoismo, a volte meschino, dei siciliani ciascuno dei quali ha la presunzione di poter fare tutto da solo e anche di poter lottare senza l’aiuto dell’altro e pertanto accade che spesso “più egli ha talento più egli diventa un uomo solo” anche perché, quasi sempre, è lasciato solo. Sicuramente lo spunto gli venne da questo libro quando cercò come chiamare il suo giornale. Così nacque “I Siciliani” che personalmente non abbiamo considerato come tale né come rivista mensile: per noi del “Movimento per la Divulgazione Culturale” di Barcellona Pozzo di Gotto quello era un organo di stampa particolare, formato A4; era un volume d’inchiesta, di verità al servizio di chi voleva la rinascita prima di tutto della Sicilia, ma non solo della Sicilia. Quel formato, quel taglio, quell’impostazione erano quelli di un libro destinato a non essere considerato come il “vecchio giornale del mese scorso”. Era chiaro: quell’organo di stampa, ancora per noi tanto caro, era concepito, fatto per essere consultato ancora oggi da chi ama la ricerca, la dietrologia. Pertanto non finiremo mai di ringraziare Pippo Fava, quell’uomo multiforme che certamente volava tanto più alto di chi già alto volava. Come lui, per certi versi, c’era stato soltanto colui che abbiamo più volte definito “Il profeta del XX secolo” Pier Paolo Pasolini.