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Pippo Donato e Paola Contessa, 29 Settembre. Romanzo

- di Giuseppe RANDO -

 

Definiva «giovane» il romanzo italiano Moravia, considerando che, da noi, il “genere” ebbe una prima codificazione stabile solo nel 1840-42 (con la seconda edizione dei Promessi sposi), laddove il romanzo europeo (francese, inglese, spagnolo) si era luminosamente affermato già nel Seicento e nel Settecento. La notazione del grande romanziere non era, però, anagrafica, bensì ideologica e programmatica, mirando a sottolineare l’ampio margine di libertà compositiva (strutturale, stilistica) ch’era ancora concessa ai nostri narratori in virtù delle inespresse, praticamente infinite, potenzialità del modello: egli stesso non si limitò mai all’adozione dello stesso modulo narrativo nei suoi numerosi romanzi. Ma non si può dire che il rilievo di Moravia sia stato colto appieno, dacché non sono molti, invero, i narratori sperimentali, innovativi in Italia.

Ora, un romanzo che non sarebbe dispiaciuto a Moravia viene alla luce, col titolo mogoliano di “29 Settembre”, per il progetto unitario di due geniali dilettanti: il messinese Pippo Donato e la romana Paola Contessa.

È un romanzo d’amore. Un amore adulto narrato dai due protagonisti: Giulio Dagnino (sessantenne in crisi, professionista deluso, marito separato, padre di Adele) e Bianca Corsini (moglie insoddisfatta, madre cinquantacinquenne di un figlio giovane, oramai indipendente). Un amore sognato, desiderato, di testa.

Ma, “29 – perché non Ventinove – Settembre” è anche un romanzo introspettivo, psicologico, mirato allo scavo interiore che ciascuno dei due protagonisti fa su di sé, magari interagendo con l’altro o specchiandosi nell’altro.

Romanzo estremamente nuovo e innovativo, originalissimo, sul piano strutturale, giacché per la prima volta – credo di potere dire – nella narrativa mondiale le sequenze narrative (non focalizzate, narrate in terza persona da un narratore onnisciente) sono separate, in capitoli distinti, dalle sequenze dialogiche, anche graficamente (in tondo le prime, in corsivo le seconde). Singolare è tuttavia il fatto che le sequenze narrative in cui si narrano separatamente le vicende (amorose) di Giulio e Bianca siano stilisticamente omologhe, come se fossero scritte, in altri termini, dalla stessa mano, mentre le sequenze dialogiche, fondate quindi sull’IO/TU, mostrano forme stilistiche dissimili. Il Donato confessa di avere dato lui stesso l’ultima mano, omologante al testo suo e della sua amica. Ma si ha ragione di ritenere che il romanzo avrebbe guadagnato non poco dal mantenimento delle due diverse emittenze.

Si tratta, ad ogni modo, della prima opera al mondo in cui coesistono, in un unico corpo, ma separatamente, un romanzo e un’opera teatrale: i codici diegetici, sovradeterminati nel romanzo, e i codici dialogici, sovradeterminati nel teatro, secondo Cesare Segre.

Moravia seguì – sia detto per inciso – un progetto similare nell’elaborare Gli indifferenti del 1929, che furono difatti concepiti come dramma e trasformati in un romanzo, per dichiarazione dello stesso autore.

Il romanzo di Pippo Donato e Paola Contessa è attraversato da una forte tensione narrativa e la conclusione giunge del tutto inaspettata. Da leggere.

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