La fiera di Sant’Agata Militello, quest’anno spegne le 311 candeline, ma non ne sente ancora il peso.
Il diritto a svolgerla, venne concesso infatti il 28 luglio del 1700, al principe del tempo, Don Gaetano Gallego Ventimiglia.
Costituiva allora, una delle più favorevoli occasioni di mercato per l’economia prevalentemente pastorale e agricola dei paesi nebroidei, i cui abitanti confluivano sulla marina di Sant’Agata per la vendita dei capi di bestiame (buoi, cavalli, asini, capre etc.) e l’acquisto di prodotti artigianali e di consumo (tessuti a metraggio per confezionare vestiti, cappotti o lenzuola per completare il corredo della figlia da maritare, utensili per la campagna, canestri di verghe, fusi e conocchie per filare lana, lino etc.). Occasione unica per la gente di questa parte dell’isola che viveva in singolare isolamento.
I costumi, nel tempo, si sono rinnovati in un tutt’uno con l’economia: la riconversione delle colture, la produzione della seta a metà del XVII secolo, aveva già determinato una nuova consistente fonte di guadagno e così nel tempo a venire. La fiera divenne un momento distintivo delle attività economiche di Sant’Agata i cui amministratori, poi, agli inizi del secolo scorso, in virtù di una vertiginosa crescita demografica, ne promossero una seconda edizione. Così divenendo le due fiere tra le più rappresentative del sud Italia, con i connotati rimasti intatti nel tempo. Svariata merce: magliette, vestiti, biancheria intima, “sbandierata” ai supporti delle bancarelle e esaltata da robuste voci che invitano le signore chiamate per nome ad acquistare ciascuno i propri prodotti. Merce, che secondo le urla degli ambulanti, é la migliore in qualità e prezzo. Si intersecano così, parlate e accenti “forestieri”, pugliesi, napoletani, catanesi, solo per citarne alcuni, i quali fanno a gara a farsi udire tra il frastuono degli altoparlanti e il chiacchiericcio dell’enorme folla, arrivata con pulman o in auto, dai paesi dei Nebrodi e anche oltre.
La fiera quindi che si svolge a Sant’Agata nei giorni 14 e 15 Aprile, va ad aprire tutte le altre che si terranno in Sicilia in primavera ed estate, per poi chiuderle il 14 e 15 novembre con l’ultima fiera dell’anno.
Si sa che in passato l’uomo seguiva il corso delle stagioni. L’inverno rappresentava la conclusione degli affari e compravendite da effettuare prima “dell’entrata” dei mesi di letargo.
Oggi, col mutare dell’economia, sono cambiati alcuni prodotti. Nonostante tutto, resiste la fiera del bestiame, nei pressi della contrada denominata comunemente “Giancola”, cui si accede dalla rotabile che costeggia il mare, oltrepassando il ponte del torrente Rosmarino, evitando così gli ingorghi del traffico cittadino. Per il resto tutto come prima: sono oltre 350 i posti assegnati sul lungo mare, allineati su quattro file, per oltre due chilometri, sul viale della Regione e sull’antica via Cosenz. E come dal lontano 1700, si svolge a cielo aperto, nell’incognita dell’intemperanza del degli umori del tempo.
Si troverà di tutto: dai prodotti per la casa a quelli in ferro battuto, dai generi di abbigliamento più svariati, tra i quali non è difficile avere la possibilità da parte delle signore di ammirare e provare anche delle pellicce; ai più sofisticati giocattoli per i bambini che invaderanno la fiera. Gustando la “calia” di Naso, non è difficile imbattersi ancora negli ultimi superstiti di quelli che lo scrittore Vincenzo Consolo, negli anni ’40, chiamava “induvinavintura”, i quali con organetto e pappagallo invitano ad acquistare il biglietto della sorte.