Che dice, professore, riprendiamo?
- Se vuole. Seguivo, invero, al liceo, con immutato interesse, le lezioni di Greco del prof. Guzzetta e quelle di Matematica del prof. Amato: da ambedue mi sentivo
apprezzato, benvoluto e difatti nelle rispettive materie continuavo a prendere i bei voti del ginnasio. Non seguivo le “non lezioni” di Filosofia del prof. Trassari
(studiavo la filosofia, con piacere, sul manuale di Abbagnano) e le pseudo lezioni di Chimica di una professoressa di cui non ricordo nemmeno il nome. Della Bartoccelli
ricordo solo che una volta – eravamo nell’ultimo anno – accennò al Breviario diestetica di Croce, che andai a comprare e che lessi con piacere, ringraziandola
mentalmente per la notizia. Preso l’abbrivo, lessi la Critica del gusto di Galvano della Volpe, che era uscita nel 1960, e di cui si parlava nelle terze pagine dei quotidiani: da lì, il mio interesse per l’estetica e per la critica letteraria.
- Frequentai, per tre anni, il liceo, ma con la mente e l’anima ero – devo dire –
altrove: i miei maestri, ma anche i miei interlocutori ideali (modestia a parte), erano
Calvino, Moravia, Rossellini, Sciascia, Pasolini, Fellini, Ricciardetto (un giornalista
di “Epoca” che scriveva di politica estera e citava spesso Tucidide, insegnandomi ad
attualizzare la classicità). Fu così che mi salvai, forse, dal conformismo,
dall’ipocrisia e dalla banalità dell’universo piccoloborghese della città dello Stretto.
- Meglio, deve essere contento.
- Sì, andavo avanti, nonostante ovvie difficoltà. Dopo il Liceo, scelsi – stavolta scelsi
io con piena convinzione – la Facoltà di Lettere (indirizzo classico). Intanto, mio
padre aveva avuto l’incidente a bordo, di cui ho detto, e io, da figlio maggiore,
divenni sostegno di famiglia. Per far quadrare il bilancio, facevo il doposcuola a
numerosi ragazzi e ragazze del paese, frequentando, sia pure con qualche difficoltà
logistica, le lezioni delle discipline più importanti: scherzavo con gli amici dicendo
di sentirmi dentro il romanzo di un giovane povero. All’Università, tornai però a
respirare e a socializzare, dopo la fallimentare, asfittica esperienza del liceo. Superai
tutti gli esami con bei voti, trovai persino il tempo di partecipare a qualche iniziativa
politica di contestatori pre-sessantottini e di fare flanella con una bionda compagna
calabrese. Ricordo in particolare i trenta del latino e del greco. L’esame di greco fu
davvero esaltante, indimenticabile. È acqua passata, ma forse vale la pena di
ricordarlo.
- Certo, ci dica.
- Il professor Anthos Ardizzoni, alla fine, nel segnarmi il trenta nel libretto, mi chiese
se avessi già chiesto la tesi. Risposi che ne avevo parlato col professor Cupaiuolo:
«Aspettami qui – mi disse –sul pianerottolo (gli esami si facevano, allora, in
Istituto), quando finiranno gli esami di stamattina, andremo insieme da Fabio
Cupaiuolo».
Uscì dopo un’ora, che trascorsi stordito e gratificato dai complimenti dei colleghi
per l’insolito trenta: in quella materia, molti venivano bocciati e la maggior parte dei
promossi non ondava oltre il ventitré. Mi prese, quindi, Ardizzoni, paternamente,
per mano ed entrò con me nella stanza accanto: «Fabio, questo ragazzo dobbiamo
portarlo avanti. O lo porti avanti tu o lo porto avanti io». E il latinista: «Ma sta
discutendo la tesi con me!».
Il gesto e le parole del famoso grecista diedero invero ali alla mia autostima che
vacillava. Ho avvertito – e avverto – come provvidenziale quell’episodio; al pari di
un altro che mi sarebbe capitato qualche anno dopo e di cui, se vuole, le parlerò
dopo.
- Se vuole, faremo un libro.
- Forse non basterebbe, ma lei mi ha chiesto di togliere il freno. Mi laureai l’anno
dopo, in latino, con «centodieci su centodieci, lode et auspicia publicationis»,
discutendo con Cupaiuolo la tesi sul “Fatum nell’Eneide di Virgilio”. Allegria.
Qualche mese dopo, partecipai a due concorsi a cattedra: uno per l’insegnamento di
latino e greco nei licei classici e uno per l’insegnamento di italiano e latino nei licei
scientifici. Li superai e nel settembre (mi pare) successivo fui convocato al
Provveditorato per la scelta della cattedra. Scelsi – in realtà, mi fu offerto: non
capivo nulla di quei meccanismi burocratici – quella di Lettere dell’Istituto
Magistrale “Bisazza” di Messina. Toccai quasi il cielo con un dito: l’insegnamento
nella mia città e … il primo stipendio. Pressoché contemporaneamente – non mi
chieda le date, perché non me le ricordo – Cupaioulo ottenne che fosse bandito il
concorso per un posto di assistente di ruolo alla cattedra di Letteratura Latina
dell’Università di Messina. Vi partecipai e fui ternato con Nino Grillo, che era già
assistente volontario e che mi aveva seguito della compilazione della tesi, e con
Franco Casaceli, che si era laureato qualche tempo prima di me. Il posto fu
giustamente assegnato a Nino Grillo, ma si attendevano i posti per gli altri due
ternati. Intanto insegnavo, beato, al primo anno del Magistrale Bisazza: prendevo
ogni mattina due autobus e arrivavo a scuola alle 7,50; c’era solo il vicepreside,
prof. Francesco Scisca, l’altra figura paterna che il destino (o il Padreterno) ha posto
sulla mia via. Intrecciavo con lui, ogni mattina, lunghe discussioni sul film che
avevo visto, al cinema, la sera prima (ero diventato, senza accorgermene, un
competentissimo ed entusiasta critico cinematografico), o sulla letteratura
contemporanea: divoravo, all’epoca, i romanzi di Calvino, di Pasolini, di Morava, di
Sciascia e scoprivo contestualmente i grandi poeti della «Quarta generazione», della
«Linea lombarda» e oltre. Continuavo, ovviamente, a frequentare l’Istituto di latino,
nel tempo che mi restava ogni mattina dopo le lezioni e, all’occorrenza, nel
pomeriggio: nella mia ingenuità, ero del tutto avulso dalle logiche da seguire per
conformarsi alla prassi universitaria. Una di quelle mattine il prof. Cupaiuolo mi
comunicò che finalmente era stato trasferito a Napoli e che tornava «a casa»,
aggiungendo: «Tu, caro Rando, naturalmente, vieni con me, a Napoli». Confesso
che ne fui lusingato: sognavo, da molto tempo, di andarmene, di cambiare vita, di
fare altro, lontano dalle strettoie culturali – sempre più asfittiche per uno che
dialogava quotidianamente con Calvino, Pasolini, Sciascia, Bertolucci, Caproni,
Sereni – della città dello Stretto. E poi, da sagittario tosto, sono stato sempre eccitato
dai viaggi, reali o immaginari. Ma qui la storia si fa davvero romanzesca.
Fermiamoci qui: consideri, questa, la seconda puntata.