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Articoli filtrati per data: Venerdì, 11 Agosto 2023


Siamo a Sanremo, ridente cittadina in provincia di Imperia, nota al grande pubblico perché dagli
anni della TV in bianco e nero la RAI proponeva il festival della canzone italiana. E lo fa ancora.
Certo, il “format” della trasmissione si è evoluto con il tempo e con la tecnologia. E’ diventato,
soprattutto in questo ultimo decennio uno dei pochissimi “cavalli di battaglia” della rete
“ammiraglia” della RAI. Sanremo è anche la sede del Casinò municipale, una sede che ha da molto
da offrire. Lo dimostra il fatto che per ricordare il 90° anniversario del Regio Decreto di fine
dicembre 1927 (e la sua successiva conversione in legge), con il quale si sanciva l’apertura, sia
stato pubblicato il volume “Agosti-De Santis; dall’azzardo alla cultura del gioco” (De Ferrari
editore). Curato dalla Dott.ssa Marzia Taruffi, il libro ripercorre la storia a tutto tondo di questa
imponente costruzione, realizzata all’epoca dal Podestà Pietro Agosti e dall’allora gestore della
Casa da Gioco (il ficheur), il partenopeo Luigi de Santis, i quali, ciascuno per la propria parte, nei
pochi anni in cui collaborarono insieme (a fine aprile del 1930 il primo venne meno), gettarono le
basi per trasformare la Casa di Gioco in un’azienda funzionale all’immagine turistica della Città,
con la vocazione sia di leadership internazionale per gli amanti del gioco sia di volano per il
territorio. Aspetti, che racchiudono ancora oggi il concetto di ottimizzazione delle potenzialità del
Casinò come polo culturale. Il 1929 fu un anno di successi, nel campo culturale: venne inaugurata,
nel maggiore salone, la stagione dei Balletti Italiani; tanti i conferenzieri illustri invitati nei “Lunedì
culturali”, curati dal poeta Luigi Pastonchi; per portare il saluto della Casa da Gioco lo stesso Luigi
de Santis, il 27 febbraio 1933, accolse Sua Eccellenza l’ambasciatrice Alice Garret, consorte
dell’Ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, che tenne una conferenza sul tema “Pittura
contemporanea”. Nell’immaginario collettivo il Casinò spesso viene assimilato unicamente al
luogo dove si gioca d’azzardo. Poco conta se si dispone di soli 20 euro da destinare alle slot
machines oppure di una cifra con almeno cinque zero che, trasformata in lucenti fiches, passa dal
piatto della roulette a quello dello chemin de fer; il concetto è sempre lo stesso: tentare la fortuna.
In realtà, come emerge dall’analisi storica la cultura, nell’accezione più ampia della parola, è nel
“DNA” del Casinò. I Lunedì culturali sono diventati i “Martedì letterari”, di cui la Dottoressa Taruffi
è l’anima oltre che la responsabile. Lunghissima la coda di coloro i quali ambiscono alla sala per
poter parlare al pubblico. Accuratissima la selezione, condotta da un’apposita commissione del
Casinò, per decidere quali eventi culturali hanno le caratteristiche per far parte del programma
annuale.
Il destino vuole che durante l’inverno del 2021, nella Presidenza dell’ANMI (Associazione
Nazionale Marinai d’Italia), giunge, tra le altre, una copia del libro “La laguna taceva”; l’Autrice,
con il garbo che la distingue, spera in una eventuale recensione sulle pagine del “Giornale dei
Marinai d’Italia”, che rappresenta il vettore di comunicazione più concreto inviato ai nostri oltre
33.000 Soci. Spinto dalla curiosità per la particolare tematica che Graziella ha trattato, ovvero

“l’Uomo Luigi Rizzo”, lo leggo con attenzione e, senza alcun dubbio, provvedo alla recensione1. Un
libro, che mi ha colpito per la narrazione empatica che Graziella è riuscita a creare e poi a riversare
con semplicità e naturalezza nelle pagine della sua creatura (ci sono voluti 4 anni prima che
vedesse luce). Forte, quindi, di questo mio breve scritto, la cui pubblicazione è avvenuta poi nel
numero di giugno 2021 (pag. 37), ma soprattutto della conoscenza personale tra il Delegato
Regionale ANMI per la Liguria, l’ex-Capitano di Lungo Corso Pietro Pioppo, e la dott.sa Taruffi
abbiamo avanzato richiesta al Casinò di Sanremo di presentare, insieme a Graziella Lo Vano, “La
laguna taceva”.
Di nuovo, il destino ha voluto che questo sogno si potesse avverare: martedì 15 marzo 2023, ore
16.00, la sala del Casinò municipale di Sanremo, dedicata ai “Martedì letterari”, è piena. Al tavolo
dei relatori il sottoscritto, la scrittrice e la Dottoressa Taruffi, moderatrice. Cala il silenzio. Fatte le
dovute presentazioni a beneficio del pubblico presento brevemente l’Associazione, la sinergia
realizzata con Graziella, l’importanza per noi “Marinai” di far conoscere Luigi Rizzo. Poi è la
moderatrice a “guidare” l’Autrice nella presentazione della sua opera. Mi ha colpito, in particolare,
la versatilità di Graziella e la capacità di trasmettere emozioni al pubblico in sala. Alterna la lettura
di alcuni passi del libro con delle osservazioni puntuali e foriere di riflessioni. E lo ha fatto con
indiscussa bravura perché è riuscita, modulando sapientemente il tono della voce, a impersonare,
rendendole palpabili, le figure di Luigi, di Giuseppina oltreché di quella “fuori campo”. L’esperienza
teatrale le ha lasciato il segno, mi è venuto da pensare. Tanti gli applausi che l’uditorio, durante la
1 La figura di eroe e di grande marinaio dell’Ammiraglio Luigi RIZZO è ampiamente conosciuta soprattutto
nel “mondo” della Marina Militare, ma viene ricordata anche in alcuni settori della società civile. In molti testi
sono raccontate le sue imprese, fra le quali spicca quella del 10 giugno 1918 al largo di Premuda, nella quale
attaccò e affondò la corazzata austriaca Szent István. In questo giorno, come noto, ricorre la festa della Marina
Militare. Il libro “La laguna taceva” descrive, però, soprattutto l’uomo, con le proprie emozioni , sensibilità,
preoccupazioni e sentimenti. L’Autrice, grazie ai ricordi raccolti dalla contessa Guglielmina Maria Rizzo di
Grado e di Premuda, figlia dell’Ammiraglio Rizzo, descrive con naturale semplicità e incisiva intensità alcuni
anni della vita di colui che sarebbe, poi, divenuto un eroe.
Il romanzo, ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, ha come cornice Grado, cittadina ora del Friuli
Venezia Giulia, che però in quegli anni era terra di confine, tanto contesa, divenendo teatro di momenti difficili
per le famiglie italiane. Il protagonista principale è il giovane tenente siciliano Rizzo, che, animato da un
convinto patriottismo, si fa apprezzare dai suoi Superiori per le sue indubbie elevate qualità militari. Come
personaggi di rilievo spiccano Giuseppina Marinaz, fidanzata e poi divenuta moglie, e il padre di Lei, il dottor
Angelo Marinaz. Entrambi risultano fondamentali per il ruolo che hanno nel romanzo. Alcuni flash relativi
all’infanzia di Luigi Rizzo, come il giocare con gli amichetti con le nocciole e i bottoni, che una volta finiti
venivano staccati di nascosto dal vestito, pongono le basi per raccontare l’uomo Rizzo. Riporto solo alcuni
particolari aspetti, allo scopo di rendere l’idea delle qualità umane raccontate. Il corteggiamento a Giuseppina,
condotto sempre in modo molto attento nel parlare e nell’assumere atteggiamenti e comportamenti idonei per
non rischiare di rovinare un legame appena avviato, la decisione di sposarsi prima di momenti peggiori per
assicurare un sostentamento economico alla moglie in caso di sua morte, la giovanile goliardia di utilizzare una
bicicletta per giungere in chiesa in tempo per il matrimonio, la sensibilità mostrata nei riguardi di Fifì, un cane
randagio visto in difficoltà e poi divenuto il suo fido amico e mascotte.
Giuseppina, figura femminile di grande spessore e coraggio nonostante la giovine età, che poco più che
diciassettenne (insieme ad altre “mamole”) issa il tricolore sulla sommità del campanile della chiesa di Santa
Eufemia per far sapere ai soldati italiani che gli austriaci si erano ritirati da Grado. Innamorata di Rizzo, gli è
sempre vicina. Profonda tenerezza suscita l’immagine nella quale Giuseppina, scappando in fretta da Grado
subito dopo il matrimonio, vede cadere in acqua e scomparire dalla sua vista il baule, che contiene tutta la sua
dote da sposa. Il dottore Marinaz rappresenta la fierezza dell’italianità, che essendo stato costretto dagli
Austriaci, come tutti i connazionali, a modificare il proprio cognome (quello originario era Marina), decide di
continuare a esercitare la propria professione nella profondo rispetto della deontologia professionale, per la
quale un medico interviene a prescindere dalla nazionalità del paziente. Il romanzo, la cui lettura scorre facile,
ci fa scoprire le belle qualità umane dell’Ammiraglio Rizzo, che non a molti erano note, e l’importanza di un
amore vero e così forte, che consente di superare ogni ostacolo.

presentazione di quasi due ore, le ha tributato. Un successo confermato anche dall’immediata
vendita delle copie dei libri che l’editore (Armenio) aveva provveduto a far giungere al Casinò.
L’Autrice su ognuna non si è risparmiata di apporre dedica e firma.
Non so dire se l’ANMI tornerà, presto o tardi che sia, ai “Martedì letterari” del Casinò municipale
di Sanremo, magari con la presentazione di un’altra opera libraria appartenente alla nostra
“dimensione”. Questa bella esperienza comunicativa, svolta in una famosa Città di mare, spinge a
esaminare la possibilità di portare “la laguna taceva”, ovviamente potendo contare sempre sulla
disponibilità di Graziella, sui monti. Presso cioè quei Gruppi dell’Associazione, dove in inverno la
neve è di casa. Far conoscere questo nostro eroe, che ha indossato con orgoglio l’uniforme di
Ufficiale di Marina, e soprattutto l’uomo Rizzo con i suoi sentimenti e le sue emozioni, che ne “La
laguna taceva” vengono presentati con particolare maestria, è un impegno che l’Associazione
Nazionale Marinai d’Italia è pronta ad assumere.

IL PRESIDENTE NAZIONALE
Amm. sq. (r) Pierluigi ROSATI

Pubblicato in Comunicati stampa
Venerdì, 11 Agosto 2023 07:21

INTERVISTA (terza puntata) Giuseppe Rando

INTERVISTA (terza puntata)

- Non ci tenga col fiato sospeso Professore. La preghiamo di continuare.
- Ero come ubriaco: «Mà, Mà, Cupaiuolo torna a Napoli e mi vuole portare con sé.
Mà, ci pensi? Diventerò professore di latino nell’Università di Napoli». «E noi come
faremo?» disse subito mia madre, con le lacrime agli occhi.
Non ci avevo pensato: sono stato sempre più pronto a volare che a considerare gli
eventuali intoppi al volo: «Ma io vi mando sempre i soldi ogni mese, là prenderò lo
stipendio di assistente». «E non devi pagarti la casa, farti la spisa, comprarti i vestiti,
i libri, i giunnali? Farai ‘na mala vita tu e facciamo ‘na mala vita noi. Poi ti pigghia
‘na bedda fimmina ‘i Napuli …, e cu si vitti si vitti. Pensaci, fighhiu». E piangeva.
Mia madre, mia madre. Ah, mia madre. Ancora mi commuovo nel pensarla. Che
donna. Un affetto profondo. Un legame di quelli indissolubili che si stabiliscono, di
norma, tra madri e figghi masculi in Sicilia. Mi aveva insegnato a leggere e a
scrivere prima che andassi alla scuola elementare: al tramonto, seduti io e lei,
accanto alla sua macchina da cucire, che stava sotto la finestra della camera da letto,
illuminata dai raggi del sole calante sulla campagna: buon profumo, pulizia, nitore,
armonia, delicatezza! Avevo meno di quattro anni e non posso sbagliare perché non
era ancora nato mio fratello; lei mi comprava ogni settimana il “Correre dei Piccoli”
e me lo leggeva, illustrando i fumetti col dito; io mangiavo tutte le sue parole,
associandole alle parole scritte sul giornaletto e ai fumetti su cui passava il suo dito
lungo, affusolato, da regina. Qualche mese dopo, non so come e perché, sapevo
leggere e scrivere. Mia madre mi ha pure insegnato la prima poesia («Avevi due
anni – diceva – ma forse esagerava»): «Lunga fila di casine / Con fineste (sic) e
pollicine (sic) / Passa via con pampatore (sic) / Taspottando (sic) il viaggiatore».
Ovviamente, le «fineste» erano le finestre e le «pollicine» le porticine; così come
«pampatore» stava per «gran fragore» e «taspottando» per trasportando. Aggiungeva
lei stessa, peraltro, che, qualche giorno dopo, io, arrivando a «taspottando» mi
fermavo, come se la poesia finisse lì. Al che lei: «taspottando»? E io ridendo: «il
viaggiatore». Era forse, a ben pensarci, la prima forma di interazione, di
interlocuzione, se non di amore, tra me e la persona amata.
Come si faceva a non prendere in considerazione il pianto di questa mamma?
- E che ha fatto, Professore?
- Sono rimasto a lungo indeciso: oscillavo tra le due ipotesi: restare o partire? Poi, il
caso (il destino? il Padreterno?) mi ha dato una mano. Questa volta, il caso-destino-
Padreterno ha preso le fattezze del prof. Franco Scisca, vicepreside, come dicevo, al
“Bisazza” e – aggiungo – assistente volontario alla cattedra di Lingua e Letteratura
Italiana al Magistero.

Una di quelle mattine, in cui, prima del suono della campanella, parlavamo, in
Presidenza, di film, di poeti e di romanzieri, il vicepreside mi disse: «Professore, lei,
ancora così giovane, è già arrivato al Liceo; potrebbe intraprendere la carriera
accademica; perché non viene al Magistero dove c’è un giovane professore che
vuole fondare una scuola? La presenterò io stesso al prof. Colicchi».
E io, con la mia solita ingenuità: «Ma sono stato ternato nel concorso per assistente
di Latino alla Facoltà di Lettere e sto aspettando che arrivi il posto. Anzi, proprio
ieri, il prof. Cupaiuolo che torna a Napoli, mi ha proposto di andare con lui a
Napoli».
A questo punto, Scisca mi si rivolse come un padre al figlio: «Professore, uno come
lei, a Lettere, se lo mangiano»! Una frase, questa – come l’altra di Anthos Ardizzoni
– che non si dimentica e che infine orienta, se non determina del tutto, la vita di un
giovane: evidentemente, il vicepreside aveva colto un aspetto fondamentale – forse,
l’ingenuità mista alla genuina, ma sprotetta, volontà di sapere – della mia personalità
e, da uomo scafato, consapevole dei modi di vita altoborghesi – il fratello era
peraltro un alto magistrato della città –, certamente esperto delle logiche clientelari,
non meritocratiche né trasparenti, perlopiù operative nell’Università, volle mettermi,
paternamente, in guardia. E non c’era mattina che non mi invitasse a seguirlo alla
Facoltà di Magistero.
Alla fine, comunicai a Cupaiuolo e a mia madre la mia decisione di restare a
Messina e mi recai al Magistero col mio mentore, che mi presentò al Prof. Calogero
Colicchi, il quale sorridendo mi accolse «nella famiglia», affidandomi subito il
compito di correggere un tema svolto da una studentessa (che corressi con
particolare scrupolo!) e, dopo qualche giorno, mi nominò assistente volontario alla
Cattedra di Lingua e Letteratura Italiana della Facoltà di Magistero dell’Università
degli Studi di Messina: percepivo lo stipendio intero di professore del “Bisazza” e il
25% , mi pare, dello stipendio di assistente. Qualche mese dopo, fu bandito il
concorso nazionale per assistente ordinario in quella Facoltà; vinsi (insieme con altri
due) e fui chiamato immediatamente da Colicchi, dimettendomi ovviamente da
professore della Scuola Superiore.
Oggi, non posso non considerare la mia fortuna: all’epoca, entravano facilmente
all’Università i «figli di papà» o coloro che si acconciavano a «servire» un politico o
un «maestro» reale o presunto; laddove io ero stato accompagnato per mano, nel
mio insolito percorso, da figure veramente paterne che mi avviavano generosamente
– bontà loro – nel mondo accademico.
Qui comincia, dunque, la storia della mia attività universitaria, che riflette, come
cartina al tornasole. le vicende dell’italianistica, in Italia, tra prima e seconda
repubblica, e che merita un più lungo discorso. Ma fermiamoci qua. Sarà per la
prossima puntata.

Pubblicato in Comunicati stampa

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