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Zampognaro

- di Mirella Formica -

 

Giovanni Pascoli, agli inizi del secolo, descriveva l'atmosfera creata dagli zampognari, scesi dai Peloritani a Messina, con emozione e parole cariche di suggestione: "Udii tra il sonno le ciaramelle ho udito un suono di ninne nanne".

In Sicilia in generale e particolarmente a Messina, al giunger del Natale, è possibile cogliere esempi di culto popolare e raffinato che nei secoli ha stimolato la produzione di artigiani ed artisti, arricchendo il nostro patrimonio culturale.

Nel Museo Regionale di Messina si conserva ancora un bassorilievo in marmo, l'Adorazione dei Pastori, considerato il capolavoro di Rinaldo Bonanno, anticamente chiamato il Presepio e venerato nella chiesa non più esistente di S. Agostino.


Nell'antisacrestia del Duomo di Messina si può ammirare tutt'oggi un altro interessante Presepe. In un contenitore quadrangolare si muovono oltre cento personaggi intenti alle più varie attività intorno alla Sacra Famiglia.

Del pasturaro messinese Lamberti si conservano in collezione privata quattro pezzi di un grande presepe che si allestiva in una casa privata di corso Cavour, superstiti al terremoto del 1908.

Per quanto riguarda le composizioni presepiali in teche o campane di vetro soffiato, esse avevano uso domestico e solo raramente ecclesiale. Particolare menzione merita il Bambino di cera di Padre Fabris che secondo la tradizione pianse miracolosamente il 23 febbraio del 1712.

II piccolo e prezioso Bambino poggia tra bambagia e la paglia in una culla-mangiatoia in metallo dorato, quest'ultima contenuta in una teca in metallo e vetro, opera dell'argentiere messinese Francesco Juvarra, fratello maggiore del più famoso Filippo. Dopo il terremoto del 1908 questo prezioso simulacro fu trasferito nella chiesetta di Gesù e Maria delle Trombe, ora in via S. Giovanni Bosco.

Padre Domenico Fabris dedicò la propria esistenza al culto per il Bambino Gesù e a testimonianza di quanto fosse sentito tale culto in città basta ricordare che fino al 1860, cioè fino all'Unità, il Senato di Messina si recava ogni anno, la mattina del 23 febbraio, nella chiesa di San Gioacchino a comunicarsi ed offrire a nome della città un cero votivo del peso di venti libbre.

Circa un secolo fa il barone Giuseppe Arenaprimo raccontava che a metà dicembre iniziavano i preparativi della celebrazione del Natale a Messina. Scendevano dai Peloritani gli zampognari, i ciaramiddari, e visitavano i loro clienti, che si erano prenotati l'anno precedente. Luogo di rifornimento per le cene della Vigilia era la Pescheria, alla Marina davanti alla Palazzata che, come altri negozi di alimentari, allestiva festosi apparati. Si acquistavano capretti, cacciagione, ostriche e capitoni, ma più ambite in quella circostanza erano le anguille del Faro, anghiddi du pantanu, non a caso un'antica canzoncina diceva: "Alla notti di Natali fannu festa li parriní"'.

Dopo la mezzanotte, la festa si concludeva con la processione notturna del Bambino Gesù. II corteo partiva dalla chiesetta di Nostra Signora della Luce, con grande partecipazione di popolo.

Così la descrive L'Arenaprimo:

"Si spalancano i battenti della chiesetta: i confrati col cero in mano, a due a due, insieme al clero sfilano in corteo, preceduti dai tamburi della città, nei loro elmi pinnati, nelle loro toghe di velluto rosso dai grandi sgonfi a rotella sulle spalle, e listate in oro, seguiti dalla banda e da un'onda sterminata di popolo. Il bambino di cera è portato da un Canonico del Capitolo della Cattedrale, sotto al baldacchino, le cui aste van sostenute dai dignitari e dai confrati più anziani di quella arciconfraternita, istituita nel 1626. Le musiche si alternano ai rulli dei tamburi, il calpestio e le grida festanti della popolazione si confondono allo scampanio di tutte le chiese che sono nelle vie dove passa la processione bizzarra ed originale nel suo magico effetto di una notte limpida e serena. Rientrata in chiesa la processione, i più non sanno ritornare a casa, anche per qualche ora, senza rifocillarsi lo stoma:co con una buona focaccia o col rituale packe col cicciolo".

Ancora oggi, dopo la messa di mezzanotte di Natale, si ripete questo rito, a cura della confraternita di Maria SS. della Luce, sempre carico di suggestione, di speranza e di fede.

'U Pagghiaru

Mag 11, 2024

 

U pagghiaru

- di Aurora Smeriglio -

 

Il 6 gennaio a Bordonaro si celebra la festa du Pagghiaru, che prende il nome dalla singolare costruzione di pali e frasche, a metà tra l'albero di Natale e quello della cuccagna, e intorno alla quale si organizza il rituale festivo.

Secondo la tradizione locale, la festa sarebbe stata introdotta da una comunità di Basiliani ivi installatisi nel 1100; in effetti l'area è interessata da tracce di insediamenti riconducibili ai monaci di San Basilio.

 

Nei giorni precedenti la festa, un comitato composto da anziani che si tramandano le complesse tecniche di costruzione, si reca a raccogliere il materiale necessario alla miglior riuscita della festa, e una volta raccolto quanto necessita, si procede all'allestimento del Pagghiaru che verrà innalzato al centro della piazza.

 

All'alba del 6 Gennaio 'u Pagghiaru viene riempito di ogni squisitezza: agrumi, ciambelle e salsicce.  Una ragazza travestita da Befana dispensa caramelle e dolci ai bambini, e dopo aver assistito alla funzione religiosa, si forma un corteo, parroco in testa, seguito dalla banda e gli zampognari, infine la massa dei fedeli che si fermeranno poi ai piedi del Pagghiaru che verrà benedetto.

 

I concorrenti si posizionano sulla linea di partenza distante circa cento metri dalla costruzione del Pagghiaru, ai cui piedi, alcuni amici dei partecipanti, attendono di aiutarli nella realizzazione dell'impresa.

  1. segnale del via, gli sfidanti  aiutati dai loro compagni, vengono scagliati verso l'albero che oscilla paurosamente, mentre la folla  grida e incita verso i concorrenti. Chi scivola  e rinucia, chi, più caparbio e allenato, afferra agrumi, ciambelle e rami.

Il più abile raggiunge la cima, e svelle la croce che mostra con grande orgoglio al pubblico delirante. Disceso al suolo sarà portato trionfante sulle spalle dei cittadini osannanti.

 

L'albero viene piano piano letteralmente spasciato e i rami benedetti saranno conservati nelle case fino all'anno successivo.

 

Questa festa, apparentemente celebrata quale momento di convivialità e fine delle festività natalizie, nasconde il rito beneaugurante di prosperità ed abbandonza per l'anno nuovo.

- di Rosario Fodale -

 Cinque ore di processione con un percorso per le vie di Messina -Ritiro - via Palermo - Torrente Trapani - di oltre 6 chilometri.

Portata a spalla, da oltre 20 portatori, con tanto amore e dedizione S.Maria di Trapani con una sosta di preghiera nella Chiesa di S.Luca.

 Tantissimi fedeli in preghiera e Rosario Fodale, trapanese, con tanta commozione segue la Processione e immortala con la sua macchina fotografica la Madonna di Trapani, di Messina.

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- di Rosario Fodale -

 

Alle ore 20.00 del 22 giugno 2008, II Carro trionfale di Sant'Antonio , contenente le reliquie del Santo di Padova, è stato portato in solenne processione da migliaia di fedeli e dai Rogazionisti, trascinato da uomini e donne scalzi, con un itinerario : via Cesare Battini - via Tommaso Cannizzaro - il Viale S.Martino e la via S.Cecilia.


Il carro trionfale si compone di un grande mappamondo , che rappresenta i Rogazionisti sparsi per tutto il mondo, sul quale si erge la statua del Santo, mentre ai suoi piedi vi sono ubicati alcuni bambini dell'Istituto Antoniano, vestiti da marinaretti e attorno tantissimi fiori e luci.


Un processione molto sentita dal popolo messinese.

 

Il Presepe vivente di Castanea è presentato dall'Associazione 'Giovanna d'Arco' che ha acquistato un ruolo importante e una precisa fisionomia nella vita culturale e sociale del paese.


I visitatori, catalizzati dalla straordinaria atmosfera, rimangano estasiati nell'ammirare questo 'Villaggio bethlemmiano' vivente che i componenti l'Associazione turistico culturale 'Giovanna d'Arco' allestiscono nell'antichissimo Casale di Castanea delle Furie(Me).

Dinnammare

Lo straordinario culto di cui è fatta oggetto la Madonna Santissima di Dinnammare ha fatto sì, nel corso dei secoli, che ad Ella venissero tributati tre giorni di solenni festeggiamenti che si svolgono dal 3 al 5 agosto di ogni anno fra Larderia e il Santuario sul monte.


Questa grande venerazione è ben nota alle autorità religiose, tanto che i121 novembre 1996, con il consenso dell'allora Arcivescovo di Messina Mons. Ignazio Cannavò, la PAENITENTIARIA APOSTOLICA, su mandato del compianto Papa Giovanni Paolo II, concesse il privilegio di lucrare una `Particolare Indulgenza', impartita dal parroco di Larderia e rettore del Santuario sac. Domenico Rossano, ai fedeli che si fossero recati a pregare presso il Santuario di Dinnammare nei giorni: 1° maggio, dal 3 al 5 di agosto, la prima domenica di settembre e l'8 dicembre, festa dell'Immacolata.

L'Indulgenza poteva essere lucrata in qualsiasi momento da tutti i fedeli che si fossero recati a pregare in gruppo sia al Santuario, sia presso l'altare della Madonna sito nella chiesa parrocchiale. La concessione fu valida fino al 2003. Come si può ben notare Larderia ha avuto concesso il Giubileo assai prima di quello generale proclamato dallo stesso Pontefice in occasione dell'avvento del terzo millennio.


I festeggiamenti iniziano nella notte tra il 3 ed il 4 agosto con una solenne S. Messa celebrata nella stracolma chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista. Dopo la funzione il quadro viene accompagnato, con una seguitissima processione che attraversa i due abitati di Larderia, fino alla contrada S. Biagio; da qui il quadro parte per il monte tra l'ovazione dei fedeli. Per tutta la giornata e la nottata successiva il quadro resta nel Santuario, ove vengono celebrate in continuazione delle sacre funzioni. Nelle prime ore del 5 il quadro viene riportato a valle e viene deposto nella piccola chiesa di S. Biagio, sita nella parte alta del torrente Larderia.


Sul far della sera viene posto sulla monumentale vara, addobbata di fiori bianchi, partita dalla chiesa parrocchiale e trasportata da numerosi forti portatori, che 8 alla volta si danno il cambio sotto le grosse assi di sostegno. Un componente il comitato ne comanda la partenza e la sosta con due colpi di martelletto battuti su una piastra metallica posta su un ripiano della macchina. Abbiamo chiamato macchina la `vara' in quanto essa è costituita da due parti indipendenti: il piedistallo, che costituisce la vara vera e propria, e la `macchinetta' soprastante, incernierata a quello.

In passato, una volta in chiesa, la `macchinetta' in cui è inserito il quadro veniva disancorata dalla vara e, sollevata mediante una carrucola, veniva deposta nell'apposito vano dell'altare della Madonna. In un trave del soffitto prospiciente all'altare è ancora visibile la boccola a cui veniva fissata la carrucola. Le cerniere permettevano anche la rimozione della macchinetta nei tratti in cui la processione percorreva dei bassi sottopassi, la cui altezza non consentiva il passaggio della grande macchina.


La monumentale vara, restaurata dalla parrocchia nel 2001 sotto la direzione della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina, è stata costruita dal prof. Saccà nel 1892 per l'ammontare complessivo di Lire 750. La vara, di stile barocco, è costituita da due ripiani sorretti da quattro gambe ricurve a forma di angeli. Essa pesa circa 700 kg a vuoto, mentre sfiora gli 800 chili quando vi si installano i grossi accumulatori, necessari per l'illuminazione durante la processione.


La `macchinetta' è di costruzione più remota, probabilmente settecentesca; lo comprova il restauro effettuato nello stesso 1892; in quella occasione venne sborsata "per rinnovazione della `indoratina della macchinetta' della Madonna della Neve"', la somma di Lire 100. La macchinetta è un telaio con cornici modanate, i cui montanti sono supportati da due colonnine semiconiche lisce sormontate da capitelli scolpiti che sorreggono una cimasa trabeata; sulla sommità erano due angioletti in legno magistralmente scolpiti, reggenti una corona su un tondo scolpito in cui è raffigurante una colomba simbo¬leggiante lo Spirito Santo. Gli angioletti originali sono purtroppo stati trafugati dopo il recente restauro.


La solenne ed affollatissima processione, accompagnata da batterie di giochi d'artificio, canti liturgici e brani bandistici, si conclude a tardissima ora quando, dopo una suggestiva serie di danze sul sagrato che comporta un ulteriore sforzo dei portatori, la vara viene deposta nella chiesa parrocchiale di Larderia Inferiore.
La festa si conclude con un fantasmagorico spettacolo pirotecnico.

Filippo Occhino

Dal libro "Larderia nella memoria"  Isolana Edizioni Di Nicolò Messina

- di Mirella Formica -

 Mentre il corteo delle varette aleggiava di mestizia, sottolineata sia dal silenzio corale che dai suoni funerei delle bande o dal ritmare cadenzato dei tamburi, a festa degli spampanati era proprio una festa. La particolare denominazione derivava dal fatto che alla festa, organizzata presso la chiesetta della Mercede nel quartiere Portalegni, oggi via T. Cannizzaro, partecipassero prosperose fanciulle del contado che, per l'occasione, smessi gli abiti invernali, indossassero vesti in seta fiorita, dai colori sgargianti, da cui il termine spampanati. L'antica chiesetta era situata ove oggi sorge la nuova, lungo l'argine destro del torrente Portalegni, appena fuori l'antica cinta muraria. In origine era dedicata a S. Valentino. Qui un tempo giungevano da un'atra chiesa più a monte, nella borgata di Gravitelli, i simulacri della Madonna SS. della Mercede e di Gesù Cristo risorto.

Narra la tradizione che in occasione di una di queste processioni vi fu una sorta di nubifragio che costrinse i fedeli a riparare i due simulacri nella vicina chiesetta di S. Valentino. Il temporale durò a lungo e danneggiò gravemente la chiesa di Gravitelli da cui erano partite le statue, per cui queste rimasero nella chiesetta che le aveva ospitate.

Da allora fu cura della Confraternita di San Valentino organizzare ogni anno la festa di Resurrezione, come pure si provvide a modificare la denominazione della chiesetta in Maria SS: della Mercede e Cristo Risorto in S. Valentino. Questa piccola chiesa resistette ai crolli che distrussero nel 1908 ben più imponenti edifici e nella Pasqua del 1909, a pochi mesi dal sisma, i confrati riuscirono ad organizzare la processione che procedendo per le vie ancora ingombre di cumuli di macerie, assunse particolare significato, quasi a dimostrare la volontà di rinascita dei messinesi superstiti, fedeli alle antiche tradizioni, nella loro città distrutta.

II corteo, che si partiva dalla chiesetta dopo la solenne celebrazione della santa messa era accompagnata dai tammuririddara che annunciavano il passaggio del Simulacro del Cristo Risorto che issava lo stendardo rosso crociato svolazzante, assieme alla statua della Madonna incoronata ed avvolta in un candido manto ricamato in oro. Alla processione prendevano parte numerose confraternite nei costumi tipici. Giunti in piazza Duomo, si aveva il momento più emozionante della giornata e forse il più toccante dell'intero ciclo pasquale. A1 suono delle campane, all'intonare delle bande, all'esplodere degli spari, Maria apriva le braccia rivolta al Figlio risorto e dal suo manto si liberavano in cielo festosamente stormi di passeri con un generale ed atteso significato liberatorio. Non a caso era tradizione che in tale circostanza si ponesse fine a liti, rancori o incomprensioni tra parenti, per celebrare una ritrovata unità d' affetti, la pace sollecitata dalla presenza del Cristo risorto.

Era pure uso ricevere, in cambio di un'offerta, la stampa devozionale dei due simulacri uniti dalla significativa invocazione didascalica: unum in passionem, unum in resuretionem. La si portava a casa quasi a testimonianza della partecipazione alla celebrazione della festa.

Finita la precessione e le funzioni religiose, dopo pranzo, si dava sfogo alla fase profana della festa. Intanto, la piccola chiesa era circondata da bancarelle variopinte di venditori ambulanti di calia cioè fave, ceci, semenza, atturrati, abbrustoliti misti a sabbia marina su fiammeggianti e fumose fornacelle, entro una sorta di grande padella a due manici. Tipici ed invitanti i richiami dei venditori di calia, di biscotti calabresi, di giocattoli e di giaurrina longa mezza canna, pubblicizzata dallo stesso produttore come "sapurita e ianca comu a cira". Era una specie di caramella morbida costituita da un impasto di farina, miele ed essenze aromatiche che, dopo la lavorazione a caldo, veniva stirata manualmente sino a farne una specie di cordone tagliato poi a tocchetti su di un piano di marmo all'uopo oleato.

Vi erano pure venditori di vino gerasuolo che trasportavano le loro botti sui lunghi e tipici carri trainati da buoi dalle arcuate, enormi corna. Il vino e la particolare atmosfera di festa non di rado esaltavano troppo gli animi con conseguenti ma incruenti liti.

Nel pomeriggio si procedeva alla scalata del cosiddetto albero della cuccagna o antinna. Era questo un lungo e robusto palo che veniva issato di fronte alla chiesa. A circa sei, otto metri, vi era un grande cerchio da cui penzolavano dei premi: a cuddura cu l'ova, zuccarati, agneddi pascali, salsiccia, salame, provola, frutta, ma anche una borsa con monete (un tempo) d'argento, un pollo ruspante vivo, destinato questo, però, al Cappellano della chiesa. Nella parte alta dell'antenna era sistemata con perizia dai castiddara la macchina pirotecnica i cui spari concludevano a notte la festa.

 

- di Giuseppe Cavarra -

 

Ci sono santi che i miracoli li fanno nel giusto verso e ci sono santi che i miracoli li fanno al contrario. Uno di questi è Santo Sano.
Un muratore che a lui si rivolse quando un giorno si vide in pericolo precipitò giù con tutta l’impalcatura; un operaio che lo invocò per un dito che gli si era anchilosato si trovò rattrappita tutta la mano. Un povero venditore ambulante di broccoli lo pregò che gli rimettesse in piedi l’asino acciaccato col quale portava in giro per il paese la sua povera mercanzia; avvenne che di lì a qualche giorno prima tirò le cuoia il povero animale e subito dopo il povero broccolaro.


Santo Sano, insomma, era un santo che non rifiutava il suo aiuto a quanti a lui si rivolgevano per ottenere una grazia, ma gli mancava la forza di volgere a buon fine le preghiere degli uomini. Proprio come certi politici del nostro tempo che dicono di governare per il bene del popolo e poi nulla fanno per tirare i cittadini fuori dai guai.


Che non sia dalla “storia” di Santo Sano il detto liminese Carrìa rassura e-nnam-prijari santi [Trasporta concime e non pregare santi]. C’è proprio da crederlo.

Un testo di “Peppino Cavarra” dedicato  a San Sano, che è un santo che non esiste. La particolarità di San Sano è che tutti quelli che gli si rivolgono per chiedergli una grazia, ottengono come effetto che gli va a finire peggio. 

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