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- La redazione -

Nella serata di domenica 7 luglio la Corda Fratres ha inaugurato la lapide dedicata allo scultore “Salvadore” (così all’anagrafe, con la d) Turillo Sindoni, collocata all’ingresso del vico di San Paolino, antica strada cittadina dove nacque il 24 dicembre del 1868. Sono stati tre i luoghi interessati dall’evento: il vico San Paolino, la sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso e il Palazzo Fazio in Piazza San Sebastiano. La lapide è stata donata dalla famiglia Sindoni, i cui componenti sono discendenti dello scultore, e nello specifico è stato il dottor Massimo Sindoni a spiegare il senso di questa iniziativa, tendente a ricordare il grande scultore nel 150° anniversario della nascita, la cui celebrazione ufficiale è stata fatta nella sede della Corda Fratres il 29 dicembre 2018. In quell’occasione si svolse un convegno che anticipava i contenuti di un libro su Sindoni, di prossima pubblicazione, curato dallo stesso Massimo Sindoni con Simone Cardullo e Andrea Italiano.

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Sindoni realizzò ben centoventiquattro opere documentate, ma delle quali ben cinquantadue risultano non rintracciabili o scomparse. Fu autore di tanti Monumenti ai caduti per molti Comuni italiani ma non nella sua città natale, a causa di polemiche per l’aumento del costo pattuito inizialmente con il Comitato promotore. Polemiche culminate con il telegramma inviato da Roma nel 1920 dove comunicava la sospensione dei lavori.

Turillo Sindoni si sposò a Roma con la nobildonna Anna Elisabetta Maria Maddalena Rainati, nipote del papa Pio X. Morì a Roma nel 1941 e fu seppellito inizialmente nel cimitero del Verano, da dove fu poi esumato e spostato in una piccola cella.

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E’ intervenuto altresì l’assessore alla toponomastica Antonio Raimondo, che ha dato la sua fattiva collaborazione per la parte burocratica-amministrativa relativa alla collocazione della lapide, ricordando che sono in corso altre operazioni, con altre associazioni culturali, per ricordare i cittadini illustri.

Ad intervenire di fronte alla Società Operaia di Mutuo Soccorso, una delle più antiche d’Italia, fondata nel 1862, è stato il presidente della Corda Fratres Marcello Crinò, ricordando che Sindoni cominciò a studiare disegno e scultura proprio nella Scuola serale di questa Società, per poi proseguire a Messina e all’Accademia di Roma. Fu Presidente Onorario della Società Operaia e anche Presidente della Lega-Difesa Artistica-Internazionale, come si evince da un suo biglietto da visita risalente al periodo romano, dove risultava residente in via G. Montanelli n. 15. La Società Operaia ha aperto le sue porte ai visitatori, mostrando documenti relativi alla sua storia e alla presenza di Sindoni.

L’ultima tappa, di fronte al Palazzo Fazio, ha visto la presenza dello storico dell’arte Andrea Italiano, che ha raccontato la vicenda che lega questo palazzo, dove aveva sede il Circolo dei Nobili, con Turillo Sindoni. Lo scultore voleva entrare nel circolo, ma un “nobile” lo fermò, dicendogli che lui non era nobile. Sindoni rispose che la sua nobiltà è nella sua arte, riconosciuta dalla Regina d’Italia che gli regalò una spilla d’oro con la “M” della Regina Margherita. Italiano si è soffermato anche sui motivi che hanno fatto dimenticare Sindoni e la sua assenza dalla storia dell’arte. Ciò è dovuto al fatto che non si aggregò ai movimenti artistici che nascevano nel periodo in cui visse e operò, ma seguì, da spirito indipendente qual’era, i valori del realismo, trasferiti in opere di grande forza espressiva. Non fu un innovatore, ma un artista che si mosse tra il liberty e il neoclassicismo, ma senza essere d’avanguardia.

Tutto il percorso segnato dalle tre tappe è stato costellato da copie di documenti relativi alla vita e alle opere di Sindoni, attaccate sulle pareti degli edifici interessati, compresa l’unica foto esistente dell’antica chiesa di San Paolino, demolita negli anni Sessanta del secolo scorso.

8 luglio 2019

- di Maria Teresa Prestigiacomo -  

Taormina,Me. Giorno 6 luglio si è  inaugurato ITA shi locale fusion per aperitivi apericena chic. In via Giovanni Di Giovanni 44 erano presenti  giornalisti di numerose testate che hanno apprezzato molto, in particolare,  le chips al riso nero e farina speciale, con la parmigiana e i coppetti di verdure sottili e tostate. Un drink ed un calice di bollicine hanno siglato l'evento, prima che scoccasse l'ora x per la premiazione dell' ultima sera del Taormina Film Fest.

Giuseppe Rando

Non so donde venga questa mia attitudine a fare, ad agire, a guardare in faccia la realtà (senza preconcetti, senza ipocrisie, senza illusioni, senza mistificazioni, senza paure), a non rassegnarmi al peggio, a cercare, forsanche ingenuamente, soluzioni alternative al degrado: sarà – mi chiedevo nel mio precedente post – per effetto di un’insolita (a Messina) congiunzione astrale? o per una divergente (a Messina) curvatura psicologica della mente? o per una inedita (a Messina) convinzione politica o religiosa? O per tutte queste motivazioni, e per altre che ignoro?

Comunque, per quel poco che ognuno conosce di sé, sono convinto di essere un intellettuale democratico di sinistra che crede fermamente nel progresso possibile, nella solidarietà, nella giustizia sociale, nella fratellanza, nell’uguaglianza. Tanto che una vita estranea a questi obiettivi etici e sociali non mi pare degna di essere vissuta.

Ebbene, ora viene una collega – Sgarbi direbbe una «capra» –, pasciuta e ingrassata nella greppia accademica, che dopo aver letto il mio precedente post su “Lo scandalo di Catania” (in cui, secondo un mio costume acclarato, non insultavo nessuno), prende cappello e mi dà del narciso (!!!) e dell’ ipocrita (!!!!). A me? Evidentemente, la poverina non ha visto o ha finto di non vedere i narcisi madornali (si parlano e si scrivono addosso, si ammantano di poteri e di ermellini specchiandosi nella povera credulità popolare) e gli ipocriti di professione (fanno gli interessi loro – dei loro figli, o dei loro servi o dei/delle loro amanti – dietro una maschera di perbenismo), che purtroppo non mancano nell’Università, e ora piglia lucciole per lanterne: non ha capito niente.

E pensare che, sapendola allieva di uno studioso serio, la ritenevo immune dalla tabe accademica, ma devo dedurre che siamo proprio alla frutta, a Messina.

A maggior ragione, finché campo (e ragiono) continuerò a resistere, a lottare con l’unica arma che la democrazia mi concede: la parola non addomesticata. Ma senza insolentire contro gli avversari. E si gratti pure, dove c’è, la rogna.

***

Le occasioni, purtroppo, non mancano. Sono venuto a conoscenza, casualmente, per gentile comunicazione della dott.ssa Pipitò, di una «manifestazione che si terrà nella magica cornice di Villa Piccolo» in occasione del 60° anniversario dell’assegnazione del premio Nobel a Salvatore Quasimodo, incentrata su un’intervista a un professore ordinario di Letteratura Italiana del DICAM di Messina sul tema “Quasimodo e Lucio Piccolo: due poeti a confronto” a cura del giornalista Alberto Samonà.

Siamo alle solite: I) a Messina, ci sono due professori associati di Letteratura Italiana Contemporanea (uno dei due proprio presso il DICAM) e un professore ordinario, in pensione, già della stessa materia, che ha scritto molto su Quasimodo e su Lucio Piccolo; II) il professore neoconferenziere è stato per trent’anni ordinario di Filologia Medievale e Umanistica (studiava testi volgari e latini del Tre-Quattrocento), poi è “saltato”, di botto, a Letteratura Italiana, ma non ha mai pubblicato – che si sappia - alcunché sui due poeti suddetti (forse avrà appunti conservati nei cassetti, magari desunti dai manuali). Domanda: ma non sarebbe stato più corretto investire dell’alto incarico uno specialista, cioè un professore di Letteratura Italiana Contemporanea che abbia dimostrato di conoscere i due grandi poeti siciliani? O si vuole davvero avvalorare la tesi che un professore di Otorino-Laringoiatria – putacaso – possa degnamente tenere una conferenza sulla Prostatite acuta? Che credibilità avrebbe?

Dice: Ma che t’interessa? Chi te lo fa fare? Vivi e lascia vivere. Eh, no: sono arcistufo del corporativismo “paramafioso” dell’Accademia e troppo convinto del valore della cultura, della letteratura e degli studi universitari seri (cui ho dedicato lunghi anni di lavoro) per fare passare sotto silenzio tanto scempio di valori e di competenze. Riconosco peraltro che la specializzazione può essere asfittica, ma so pure che la tuttologia è parente stretta della ciarlataneria.

Né tale disinvoltura deontologica sorprende più di tanto, a ben pensarci: nell’Università di Messina è stata a lungo operativa una cosiddetta “scuola filologica” divenuta famosa per avere dimostrato al mondo, sin dagli anni Sessanta, che un libro pubblicato da Caio può essere stato scritto da Sempronio. E, dunque, ora più che mai, si lotti (democraticamente) per la competenza, per il merito e per la trasparenza,

P. s. Per evitare che qualche «capra» cada in errore (pensando a chissà quale mio interesse personale), ricordo che io sono professore ordinario di Letteratura Italiana (settore L-FIl-LET/10) in pensione , laddove la Letteratura Italiana Contemporanea rientra in un altro settore disciplnare: F-FIL-LETT/12.

Giuseppe Rando

Mi bastano – e avanzano – i riconoscimenti che ho ricevuto relativamente alla mia «innovativa» attività di ricerca e quelli che continuo a ricevere in ordine alla mia «indimenticabile» attività didattica. Ma un mio triste primato devo rivendicare, oggi, dopo aver letto i giornali che ragguagliano sull’ennesimo scandalo dell’Università: «È una macchia d’olio destinata a imbrattare i più prestigiosi atenei d’Italia – scrive Natale Bruno su “la Repubblica” di domenica 3° giugno 2019 – l’inchiesta che ha scoperchiato un sistema definito “paramafioso” per la costruzione su misura di concorsi con epicentro a Catania».

Purtroppo, in Sicilia e quantomeno a Messina, spetta a me la “paternità” dell’aggettivo «paramafiso» riferito al sistema di gestione di gran parte dei concorsi universitari e al comportamento abituale dei baroni e dei baronelli (termine da me risemantizzato).

Certo, mi è capitato più volte – per chissà quale congiunzione astrale o intreccio cromosomico o curvatura psicologica o caratura morale o inclinazione politica – di levare la mia inerme (e inascoltata ) voce, da questa provincia silente, contro le enormi ingiustizie perpetrate dai baroni universitari, in Italia, all’insegna del «così fan tutti»: io stesso sono stato testimone-vittima di qualcuna di queste ingiustizie e ho avuto modo di “apprezzare” personalmente gli atteggiamenti rancorosi e vendicativi («paramafiosi»!) di certi baronelli. Ma (diciamolo) quante intelligenze e competenze mortificate e quanti mediocri – figli, servi o amanti di baroni – sopravvalutati.

I miei amici di FB sanno di cosa parlo. Ma sono pronto a offrire tutta la documentazione del caso a chi dovesse richiedermela. Ad ogni modo i miei post e il mio blog (www.giusepperando.it) sono «un libro aperto».

Nessuno, peraltro, è più di me dispiaciuto per il perpetuarsi di questo orrendo stato di cose nella struttura che dovrebbe essere il centro propulsivo della cultura (e quindi della morale) nella nazione e che grande lustro ha acquisito – e talora acquisisce – sul terreno scientifico e didattico: chi ha dedicato all’Università tutto il suo impegno e tutte le sue energie intellettuali nella speranza di contribuire allo sviluppo reale della società, alla crescita dei giovani e al loro proficuo inserimento nel mondo del lavoro non può non patire a fronte di tanto degrado. Ma non ci rassegneremo.

 - di Marcello Crinò -

Sabato 6 luglio un pomeriggio di cinema nella città del Longano per la seconda edizione del Festival dei cortometraggi “In… Corto”, organizzato dall’Associazione Mutamenti Liberi presieduta da Maria Grazia Milioti, con la direzione artistica di Anna maria Puliafito. Dell’associazione fanno parte anche Salvina Merlino e Mariapia Bilardo.

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La proiezione dei quindici cortometraggi selezionati dalla giuria su settantasette partecipanti si è svolta nell’Auditorium La Rosa (l’ex capannone della vecchia stazione ferroviaria), uno dei luoghi riqualificati della città negli ultimi anni. La giuria, composta dal regista e attore Maurizio Marchetti con funzione di presidente, e dalle giornaliste Rosaria Brancato (direttore responsabile di Tempostretto) e Gisella Cicciò (Gazzetta del Sud) e dagli attori Antonio Alveario e Giuseppe Pollicina, ha avuto l’arduo compito di scegliere i vincitori tra i quindici selezionati, tutti di alto livello: Elvis di Andrea Della Monica, Mon clochard di Gian Marco Pezzoli, Acquario di Lorenzo Puntoni, Peccatrice di Karolina Porcari, Eve di Lorenzo Maria Chierici, Una giornata di lavoro di Antonio D’Aquila, Sam di Alberto Vianello, Eva di Paolo Budassi, Tempo di cambiare di Maryam Rahimi, Navan di Attilio Facchini, Gli ultimi margari di Tino Dell’Erba, L’ultimo tasto di Francesco Azzini, Arpad Weisz e il Littoriale di Pier Paolo Paganelli, Il mondiale in piazza di Vito Palmieri, Parru pi tia di Giuseppe Carleo, e fuori concorso Non berti la vita di Broggini, Monterosso, Bortone e Mantiene sempre le promesse di Riccardo Giardina.

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La serata è stata presentata dall’attrice Rosemary Calderone che ha incontrato e dialogato con gli organizzatori, con la giuria, con alcuni dei protagonisti dei film (attori, registi, produttori) e alcuni ospiti. Questi tutti i premi assegnati: migliore cortometraggio sezione “In…corto” Il mondiale in piazza di Vito Palmieri, dove col pretesto di un campionato mondiale di calcio alternativo, si parla di scottanti argomenti d’attualità legati all’identità nazionale e ai fenomeni migratori; miglior cortometraggio sezione “Sicilia in…corto” Parru pi tia di Giuseppe Carleo, una simpatica vicenda che rimanda ad alcune antiche “usanze” siciliane” tra antropologia e “magia”; migliore attore ex aequo Giulio Benarek (Il mondiale in piazza) e Roberto Citran (Mon clochard); migliore attrice Clara Salvo (Parru pi tia); migliore fotografia Peccatrice (Karolina Porcari); migliore montaggio Parru pi tia (Giuseppe Carleo); migliore documentario Arpad Weisz e il Littoriale (Pier Paolo Paganelli); premio speciale della giuria sezione “Siamo tutti diversi” Sam (Alberto Vianello); riconoscimento speciale della giuria all’Istituto Falcone; riconoscimento speciale Mantiene sempre le promesse di Riccardo Giardina, l’unico di produzione locale, con sceneggiatuta di Francesco Chianese, noto operatore teatrale barcellonese, con protagonista l’attore Tindaro Porcino. Un film sul dramma degli anziani abbandonati nelle case di riposo.

7 luglio 2019

 

Un cuore di marmo, collocato nei fondali di Ustica, ricorderà l'amore che l'assessore ai Beni culturali Sebastiano Tusa aveva per il mare e in particolare per l'isola palermitana. La scultura - commissionata dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e realizzata da Giacomo Rizzo - è stata calata in acqua, all'inizio del percorso archeologico subacqueo, nel corso della 60ma edizione della Rassegna internazionale dedicata proprio all'illustre studioso scomparso il 10 marzo scorso nel tragico incidente aereo in Etiopia.

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"Il cuore di Sebastiano Tusa - afferma con emozione l'assessore al Territorio Toto Cordaro, che in rappresentanza del governo regionale ha ricordato il collega di giunta nel corso della manifestazione che per tanti anni il compianto assessore aveva guidato - continuerà a pulsare fra quei tesori del mare che, grazie alla sua competente dedizione e alla sua geniale intuizione, costituiscono oggi, e per sempre, patrimonio di tutti".

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Alla cerimonia erano presenti anche i familiari dell'archeologo, la moglie Valeria Li Vigni con il figlio Andrea, e il sindaco di Ustica Salvatore Militello.

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Fabio De Pasquale

Portavoce presidente

Regione Siciliana

- di Marcello Crinò -

Il 1572, data di fondazione della chiesa di San Vito, segna l’inizio dell’edificazione delle chiese urbane dei due nuclei di Pozzo di Gotto e Barcellona, che, nati rispettivamente nel XV e nel XVI secolo, si fusero nel 1836. San Vito oggi la vediamo nell’ampliamento settecentesco, a tre navate scandite da colonne in pietra sormontate da capitelli scolpiti. In uno di essi (entrando, il primo a sinistra) si può leggere la data del 1732.

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Il prospetto principale era arricchito da una torre campanaria, demolita nel 1955-56 per realizzare la strada. La chiesa subì un lento degrado che la portò all’abbandono e alla sconsacrazione. Nel 1982-83, a seguito dell’acquisizione da parte del Comune, fu restaurata per essere adibita ad auditorium, divenendo sede di mostre, concerti e conferenze. Nel maggio 1993 avvenne il crollo del tetto e si rese necessario un ulteriore intervento, conclusosi nel 1997.

2 DSCF9072 Inaugurazione San Vito restaurato

 

Gli altari interni sono decorati con motivi barocchi; nella cappella di sinistra, intitolata al SS. Sacramento, sono presenti due affreschi di Antonino Vescosi (vissuto a cavallo dei secc. XVIII-XIX) con Melchisedech che offre pane e vino a Dio e Mosè che istituisce il sacrificio. Nell’abside di destra, intitolata a San Vito, due tracce di affreschi (forse XIX-XX secolo). Sopra l’altare principale era posta una Madonna con il Bambino, che a seguito del crollo del tetto era stata rimossa e restaurata nel corso nel 1997 da Angelo Cristaudo. Infine la chiesa è stata interessata da un ultimo restauro, completato nel 2010, nel corso del quale, oltre a interventi sugli altari laterali, che hanno messo in luce anche i colori originari, sono stati trovati sotto il pavimento tracce dei precedenti impianti del Cinquecento e del Seicento, lasciati a vista e coperti da lastre di vetro, e la cripta dell’Ottocento, con nove loculi. I resti umani ritrovati sono stati raccolti e collocati in cassette poste di fronte ai loculi. Attualmente la cripta non è visitabile perché il sistema di aerazione non funziona ed è stata invasa dall’umidità.

4 luglio 2019

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