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LA MIA INERME PAROLA

Giuseppe Rando

Non so donde venga questa mia attitudine a fare, ad agire, a guardare in faccia la realtà (senza preconcetti, senza ipocrisie, senza illusioni, senza mistificazioni, senza paure), a non rassegnarmi al peggio, a cercare, forsanche ingenuamente, soluzioni alternative al degrado: sarà – mi chiedevo nel mio precedente post – per effetto di un’insolita (a Messina) congiunzione astrale? o per una divergente (a Messina) curvatura psicologica della mente? o per una inedita (a Messina) convinzione politica o religiosa? O per tutte queste motivazioni, e per altre che ignoro?

Comunque, per quel poco che ognuno conosce di sé, sono convinto di essere un intellettuale democratico di sinistra che crede fermamente nel progresso possibile, nella solidarietà, nella giustizia sociale, nella fratellanza, nell’uguaglianza. Tanto che una vita estranea a questi obiettivi etici e sociali non mi pare degna di essere vissuta.

Ebbene, ora viene una collega – Sgarbi direbbe una «capra» –, pasciuta e ingrassata nella greppia accademica, che dopo aver letto il mio precedente post su “Lo scandalo di Catania” (in cui, secondo un mio costume acclarato, non insultavo nessuno), prende cappello e mi dà del narciso (!!!) e dell’ ipocrita (!!!!). A me? Evidentemente, la poverina non ha visto o ha finto di non vedere i narcisi madornali (si parlano e si scrivono addosso, si ammantano di poteri e di ermellini specchiandosi nella povera credulità popolare) e gli ipocriti di professione (fanno gli interessi loro – dei loro figli, o dei loro servi o dei/delle loro amanti – dietro una maschera di perbenismo), che purtroppo non mancano nell’Università, e ora piglia lucciole per lanterne: non ha capito niente.

E pensare che, sapendola allieva di uno studioso serio, la ritenevo immune dalla tabe accademica, ma devo dedurre che siamo proprio alla frutta, a Messina.

A maggior ragione, finché campo (e ragiono) continuerò a resistere, a lottare con l’unica arma che la democrazia mi concede: la parola non addomesticata. Ma senza insolentire contro gli avversari. E si gratti pure, dove c’è, la rogna.

***

Le occasioni, purtroppo, non mancano. Sono venuto a conoscenza, casualmente, per gentile comunicazione della dott.ssa Pipitò, di una «manifestazione che si terrà nella magica cornice di Villa Piccolo» in occasione del 60° anniversario dell’assegnazione del premio Nobel a Salvatore Quasimodo, incentrata su un’intervista a un professore ordinario di Letteratura Italiana del DICAM di Messina sul tema “Quasimodo e Lucio Piccolo: due poeti a confronto” a cura del giornalista Alberto Samonà.

Siamo alle solite: I) a Messina, ci sono due professori associati di Letteratura Italiana Contemporanea (uno dei due proprio presso il DICAM) e un professore ordinario, in pensione, già della stessa materia, che ha scritto molto su Quasimodo e su Lucio Piccolo; II) il professore neoconferenziere è stato per trent’anni ordinario di Filologia Medievale e Umanistica (studiava testi volgari e latini del Tre-Quattrocento), poi è “saltato”, di botto, a Letteratura Italiana, ma non ha mai pubblicato – che si sappia - alcunché sui due poeti suddetti (forse avrà appunti conservati nei cassetti, magari desunti dai manuali). Domanda: ma non sarebbe stato più corretto investire dell’alto incarico uno specialista, cioè un professore di Letteratura Italiana Contemporanea che abbia dimostrato di conoscere i due grandi poeti siciliani? O si vuole davvero avvalorare la tesi che un professore di Otorino-Laringoiatria – putacaso – possa degnamente tenere una conferenza sulla Prostatite acuta? Che credibilità avrebbe?

Dice: Ma che t’interessa? Chi te lo fa fare? Vivi e lascia vivere. Eh, no: sono arcistufo del corporativismo “paramafioso” dell’Accademia e troppo convinto del valore della cultura, della letteratura e degli studi universitari seri (cui ho dedicato lunghi anni di lavoro) per fare passare sotto silenzio tanto scempio di valori e di competenze. Riconosco peraltro che la specializzazione può essere asfittica, ma so pure che la tuttologia è parente stretta della ciarlataneria.

Né tale disinvoltura deontologica sorprende più di tanto, a ben pensarci: nell’Università di Messina è stata a lungo operativa una cosiddetta “scuola filologica” divenuta famosa per avere dimostrato al mondo, sin dagli anni Sessanta, che un libro pubblicato da Caio può essere stato scritto da Sempronio. E, dunque, ora più che mai, si lotti (democraticamente) per la competenza, per il merito e per la trasparenza,

P. s. Per evitare che qualche «capra» cada in errore (pensando a chissà quale mio interesse personale), ricordo che io sono professore ordinario di Letteratura Italiana (settore L-FIl-LET/10) in pensione , laddove la Letteratura Italiana Contemporanea rientra in un altro settore disciplnare: F-FIL-LETT/12.

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