Login to your account

Username *
Password *
Remember Me
rfodale

rfodale

PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA

Scadenza Lunedì 30 Gennaio 2017 IX Edizione

La Parrocchia Sacro Cuore di Gesù – S. Venera di Trappitello/Taormina

(ME) indice la Nona Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Maria, Madre

del Buon Cammino”, così articolato:

Art. 1 – Sezioni: Sono previste 6 Sezioni.

ADULTI – (oltre i 15 anni)

A- Poesia in Lingua Italiana a tema religioso;

B- Poesia in Vernacolo Siciliano a tema religioso (con traduzione in Lingua Italiana);

C- Poesia in Lingua Italiana a tema libero;

D- Poesia in Vernacolo Siciliano a tema libero (con traduzione in Lingua Italiana);

E- Immagini e Parole – Poesia in Lingua Italiana o Vernacolo Siciliano a tema libero,

religioso e no, corredata di una Foto (stampata su carta fotografica o semplice) che la

rappresenti o la completi, entrambe di propria esclusiva creazione.

JUNIORES – (fino ai 15 anni)

F- Poesia in Lingua Italiana a tema libero, religioso e no.

Art. 2 – Giuria: La Giuria sarà nominata dagli Organizzatori del Premio.

Art. 3 – Selezione: Per ognuna delle 6 Sezioni verranno selezionati, a giudizio insindacabile e inappellabile della

Giuria, i primi tre classificati e gli assegnatari di Menzioni d’Onore, di Merito e Speciali.

Art. 4 – Premiazione: I vincitori saranno proclamati nel corso della Cerimonia di Premiazione che si terrà nel

2017.

Art. 5 – Modalità di Partecipazione: E’ possibile partecipare a più Sezioni, ma con una sola opera per Sezione,

dichiarata di propria esclusiva creazione; gli autori si assumono pertanto la responsabilità e garantiscono l’autenticità

delle opere. Gli elaborati vanno inviati in sette copie, di cui sei anonime e una contenente l’indicazione della Sezione a

cui si partecipa, le generalità, l’indirizzo, recapiti telefonici (fisso e mobile) ed eventuale e-mail, presso

PARROCCHIA SACRO CUORE DI GESU’ – S. VENERA - Via Francavilla - 98039 Trappitello Taormina (ME),

oppure consegnati presso l’Ufficio Parrocchiale entro il termine di Lunedì 30 Gennaio 2017. Si

raccomanda di allegare breve curriculum. Gli Organizzatori del Premio si esimono da ogni responsabilità per eventuali

smarrimenti o disguidi postali. Si consiglia di contattare l’Organizzazione per accertarsi dell’avvenuto recapito delle

opere.

Art. 6 – Le opere, già inviate come da Art. 5, qualora se ne abbiano i mezzi, per esigenze organizzative, vanno

trasmesse in formato Word anche al seguente indirizzo e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

In caso di stampa di una antologia del Premio, non si garantisce la pubblicazione degli elaborati non pervenuti tramite

e-mail.

Art. 7 – Per la partecipazione al Premio è richiesto, per spese di segreteria, un contributo complessivo di Euro

10.00 indipendentemente dal numero delle Sezioni alle quali si partecipa. Il contributo va inviato in contanti (si

consiglia posta raccomandata). La partecipazione alla Sezione Adulti del Concorso è gratuita per gli studenti che

partecipano tramite Scuola. E’ altresì gratuita la partecipazione alla Sezione Juniores del Premio.

Art. 8 – Gli elaborati inviati non saranno restituiti e potranno essere pubblicati dall’Organizzazione senza che i Poeti

abbiano nulla a pretendere come diritti d’autore.

Art. 9 – E’ facoltà dell’Organizzazione, qualora si rendesse necessario, apportare modifiche al presente Regolamento.

Art. 10 – La partecipazione al Premio comporta automaticamente l’accettazione di tutti gli Articoli del presente

Regolamento.

Il Parroco Gli Organizzatori del Premio

P. Tonino Tricomi Massimo Manganaro – Gioacchino Aveni

Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – Tel. 349/4289961

Pagina facebook: Premio di Poesia “Maria, Madre del Buon Cammino” – Trappitello Taormina

Collabora al Premio la Rivista di Poesia Arte e Cultura “Il Convivio

Antonio Presti min

 

TAORMINA – Occhi innocenti di bambini che guardano l’orizzonte del futuro; chicchi di melograno a rappresentare la pienezza della vita, l’energia e la rinascita, unite dal filo conduttore del sacrificio; e le tartarughe, simbolo di tenacia, immortalità, radicamento e simbiosi con la Madre Terra. Così il mecenate Antonio Presti ha portato a battesimo uno dei luoghi più affascinanti della nostra terra, «profanati da un popolo, quello siciliano, che non ha saputo porre fine allo scempio e all’abbandono». Dopo oltre 50 anni “Le Rocce di Mazzarò” vengono riconsegnate ai cittadini, massacrate dalla noncuranza e violentate dal tempo: 25 casette diroccate e disseminate tra rifiuti, lamiere, frammenti di vetro a recidere la memoria che conserva ancora l’eco della “dolce vita” che fu. Questa mattina (martedì 13 dicembre) una conferenza stampa per presentarlo ai giornalisti, così come si trova oggi – sospeso tra la natura e il mare - e per raccontare le “visioni” di un sogno che, vista la comunione d’intenti di tutti gli interlocutori istituzionali, potrebbe a breve diventare un museo all’aperto che si offre ai cittadini, ai turisti, a tutti coloro che amano Taormina e il suo profumo.

A raccontare il passato, l’iter istituzionale, la burocrazia che ha bloccato crescita, sviluppo e rinascita di questo luogo, è stato il Commissario straordinario della Provincia di Messina Filippo Romano: «Dopo diverse criticità burocratiche e organizzative – ha spiegato – finalmente apriamo un nuovo capitolo grazie alla Fondazione Fiumara d’Arte. Abbiamo cercato insieme di creare un assetto burocratico e amministrativo per consentire ad Antonio Presti di far rivivere Le Rocce nel tempo, consegnandole alla collettività: un comodato d’uso di 99 anni, segnato da cadenze temporali che ne consentiranno la fruizione in tempi brevi». A fare piena luce sul progetto museale, che s’innesterà sul parco ambientale, anche il sindaco metropolitano di Messina Renato Accorinti: «Questo è un luogo straordinario – ha sottolineato - abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con le frequenze dell’anima, per questo Antonio Presti metterà a disposizione di tutti quest’area, con l’energia che ha sempre caratterizzato le sue azioni».

A conclusione della conferenza, la firma ufficiale per il conferimento degli spazi che «già a marzo vorremmo aprire ai visitatori con un percorso all’aperto che metteremo in sicurezza in questi mesi con i tecnici – ha concluso Presti, che si è commosso alla vista dei piccoli della scuola primaria statale De Dominicis di Castelmola, intenti a consegnare alla terra i suoi frutti, testimoni di un momento che segna la storia, non solo di Taormina ma di tutta l’Isola – con l’obiettivo di far conoscere al mondo una vera e propria finestra che si affaccia sul cuore. Oggi inoltre voglio ufficialmente lasciare un testamento: quello della consegna di questo luogo della bellezza e della didattica ai ragazzi, e soprattutto ai guerrieri di luce: quelle anime innocenti con un cromosoma in più, che noi chiamiamo Down ma che in realtà sono gli unici esseri al mondo con una spiritualità che tende alla purezza. L’impegno etico universale per tramandare quest’opera al futuro è quello di consegnare spiritualmente questo patrimonio alla società civile, che è chiamata all’appello per contribuire moralmente ed economicamente alla sua realizzazione: è per questo che attiveremo strumenti di fundraising e crowdfunding per la raccolta fondi a sostegno di questa grande scommessa».

 

Cosa prevede il progetto

  • Il recupero e la riqualificazione del Villaggio da destinare ad attività museale e alberghieraRomano Accorinti Presti min 

  • La ristrutturazione con tecniche di bioarchitettura e soluzioni ecosostenibili

  • La trasformazione delle attuali fatiscenti strutture in stanze-albergo a cura di artisti di fama internazionale

  • L’istituzione di un museo all’aperto con opere provenienti da tutto il mondo realizzate in loco e disseminate nel territorio sul modello di Fiumara d’Arte

  • La realizzazione di un giardino di essenze spezie mediterranee

  • La realizzazione di un orto botanico

  • L’attivazione di percorsi turistici, ambientali e culturali in sinergia con altri comuni

  • L’attivazione di un’Accademia delle Arti e del Restauro, con una sezione dedicata al Turismo, con l’obiettivo di contribuire alla formazione di giovani altamente qualificati.

***

 

“LE ROCCE”: INTERVISTA AL MECENATE ANTONIO PRESTI

 

Un luogo dimenticato per oltre 50 anni che rinascerà con l’arte, uno spazio profanato che ritorna a vivere in nome del paesaggio e con il valore etico ed estetico che ha sempre caratterizzato le azioni di Fiumara d'Arte  «Per più di mezzo secolo un incantesimo si è impossessato di questo meraviglioso luogo, dove la natura ha preso il sopravvento e dove il principale obiettivo futuro sarà quello di costruire attorno al paesaggio un nuovo codice di fruizione, per aprire l'ex Villaggio di Mazzarò alla luce e alla bellezza. Questo scempio è frutto di una responsabilità collettiva, che oggi non possiamo attribuire a un potere di turno, visto l’interminabile tempo trascorso tra la dimenticanza e l’indolenza: è una responsabilità del popolo siciliano che ha consegnato questi luoghi al nulla e all’invisibile. Questa finestra che si affaccia sull’infinito, paradossalmente non si è fatta toccare per consegnarsi alla speculazione e al malaffare, si è difesa da intere generazioni, e noi la vorremmo riconsegnare a chi non ha potuto amare e condividere la bellezza di questo giardino incantato e a coloro che presto potranno finalmente scorgerla. E questo grazie all’impegno etico e sociale di tutti quelli che lavoreranno e mi aiuteranno per riconsegnarla alla collettività nella sua integrità morale».

Com’è avvenuto l’incontro tra “Le Rocce” e Antonio Presti?         «Questo nuovo progetto nasce dalla necessità, alle porte dei miei 60 anni, di consegnare il mio patrimonio artistico e personale: collezioni di arte contemporanea che vanno protette e trasferite al futuro. A Tusa ormai si è concluso un ciclo ed ero alla ricerca inconsapevole di un nuovo luogo che potesse preservare e conservare quel pensiero utopico che mi porto dentro da sempre. La mia anima si nutre di visioni oniriche e di quella incoscienza che oggi a molti potrebbe non convenire. Questa operazione, quindi, non nasce dalla sommatoria di nessun potere: è stato il potere universale dell'anima e del sentire che è giunto fino a me. Il potere del denaro è stato soppiantato dal potere della bellezza».

Il bene comune, dunque, quale comune denominatore dell’impegno di Antonio Presti «Questa è la direzione intrapresa da me e da tutti coloro che hanno lottato per rigenerare “le Rocce”: basti pensare all’Associazione dei residenti di Mazzarò, il Comitato “La voce del mare”, che ama questo territorio e che ha sostenuto il percorso di rigenerazione per ridare vita, luce e voce a questo museo a cielo aperto che si staglia tra l’orizzonte e una delle bellezze più apprezzate nel mondo: Taormina. Un ringraziamento al Commissario Filippo Romano che ha istituzionalmente traghettato tutto il percorso fino ad arrivare al sindaco della città Renato Accorinti, che ha condiviso eticamente e istituzionalmente l’idea del progetto. Questa è la vera testimonianza di chi crede nel bene comune. Io credo che lo sfregio di questo luogo sia stato un vero ammonimento per una comunità che è stata baciata dal sole e dalla bellezza universale, diventando "perla" che oggi più che mai deve restituire, e non soltanto prendere, attraverso il percorso della conoscenza come grande potere consegnato col cuore. Di certo tutto questo non sarebbe stato possibile senza il supporto, l’affetto e la professionalità del vice presidente di Fiumara d’Arte Gianfranco Molino e della dottoressa Domenica Polito Gianfranco».

Come si manifesterà la potenza dell'arte tra queste rocce e tra questi arbusti che si sono impossessati degli spazi tutt'intorno, tracciando un percorso che non risponde alle logiche della materia?

«Rispetteremo fino in fondo la volontà della natura, che si è animata della sua potenza non permettendo a nessuno di farvi ingresso e di profanarla: tutto ciò che è materia è decadente e viene restituita al potere vano del denaro. Ma qui c'è un’altra forza, quella dirompente dell'anima mundi. Noi abbiamo siglato un comodato per il futuro e il ringraziamento universale sarà quello di restituire bellezza non solo alle Rocce ma ai comuni che gravitano intorno a Taormina, che da tempo risentono dell'abbandono e che invece rivivranno della luce riflessa di questo luogo. Aboliremo la logica del cemento, per fare spazio al materiale organico; rispetteremo le peculiarità morfologiche e metteremo in risalto gli elementi primordiali: fuoco, aria, acqua e terra. Il pensiero che anima la mia azione è quello della restituzione circolare universale».

Nella fase di progettazione ha già deciso chi coinvolgere e con quale ruolo?

«Già diversi artisti internazionali hanno manifestato gioia, partecipazione e volontà di contribuire al progetto: abbiamo iniziato una fase di sopralluoghi e cammini tra le Rocce con le anime tese all'orizzonte che si apre davanti agli occhi. L'idea è anche quella di coinvolgere il mondo dell'architettura sostenibile: qui però nessun “archistar" dovrà mettere la firma, omologando gli spazi e ingabbiandoli concettualmente. Qui l’unica vera architettura universale è il paesaggio, il respiro, l’ascolto, la luce e non la materia, è per questo che l'ecosostenibilità sarà il cuore pulsante del progetto. Per rigenerare questi luoghi serve l'intelletto dell'architetto che nell'antichità ispirava e veniva ispirato dall'agorà, simbolo di condivisione, cultura, culto. Si lavorerà sulle forme e sulle strutture e gli artisti le riempiranno e creeranno opere in una dimensione onirica. Gli stessi spazi restituiranno un percorso che, passando da una stanza all’altra, non cercherà luoghi per quel dormire ma luoghi per quel sognare. Poi oltre al museo all'aperto, con opere provenienti da tutto il mondo realizzate in loco e disseminate sul modello di Fiumara d'Arte, verrà realizzato un giardino di essenze, fragranze naturali, spezie mediterranee e un orto botanico».

E poi c'è la formazione nella sua accezione più alta, con il progetto finanziato dal Miur e annunciato nei giorni scorsi

«Si tratta di un disegno a lungo termine che vedrà la nascita di un "Polo di forme artistiche contemporanee", grazie alla collaborazione tra l'Università di Messina e la Fondazione Fiumara d'Arte. L'arte verrà coniugata alla ricerca legata ai saperi; la storia e la scienza si alimenteranno di innovazione e daranno vita a percorsi museali, senza mai dimenticare la salvaguardia e la valorizzazione delle coste. La funzione didattica rappresenterà il vero corpus di questo progetto, che vedrà i giovani quali testimoni di bellezza universale nel labirinto della conoscenza». 

Quindi in primis questo posto verrà consegnato ai giovani?

«Il comodato del futuro sarà un luogo che non morirà mai, e questo luogo dell’anima, che restituisce e rigenera, potrà incontrare soltanto occhi puri. Il mio più grande desiderio è quello di consegnare questo patrimonio ai ragazzi Down, che rappresentano la parte più alta e nobile dell'innocenza umana».

 

 

LA STORIA

Le Rocce2Il Villaggio Le Rocce fu realizzato per volontà dell'assessorato regionale al Turismo e inaugurato nel lontano 1954. Erano gli anni del dopoguerra, un momento delicato denso di tensioni ma anche di tante aspettative: il turismo rappresentò in quella fase uno dei principali strumenti di cui si avvalse la Regione per attivare la ripresa economica e avviare sostanziali trasformazioni territoriali.

L’insediamento originale era stato pensato con una estrema cura del contesto creando una relazione ininterrotta con il paesaggio e l’ambiente circostante in un momento storico che vedeva l’ascesa di Taormina come destinazione privilegiata del turismo internazionale, ma anche della emergente classe media italiana figlia della ricostruzione.

Il bene ha vissuto fasi alterne causate dall’immobilismo amministrativo fino alla definitiva chiusura avvenuta all’inizio degli anni Settanta. Da quel momento la mancanza di cura e manutenzione dei luoghi ha lasciato che degrado e abbandono prendessero il sopravvento. Negli ultimi anni, l’ex Provincia Regionale di Messina, oggi Città Metropolitana, che è proprietaria del Villaggio, aveva avviato un percorso di riqualificazione attraverso lo strumento del project financing per la realizzazione di un albergo di lusso.

Oggi, l’idea di Antonio Presti e della sua fondazione Fiumara d’Arte, accolta con favore dagli Enti territoriali e dalle associazioni dei cittadini, traduce in realtà il desiderio collettivo di un sito da recuperare, in un punto straordinariamente panoramico, per esaltarne la sua storica vocazione naturalistica e per trasformarlo in un centro di aggregazione culturale.

 

RINGRAZIAMENTI

a tutti coloro che hanno creduto, sostenuto, nutrito questo progetto, affinché il sogno potesse diventare realtà

Renato Accorinti – Sindaco Città Metropolitana Messina Filippo Romano – Commissario Straordinario Città Metropolitana di Messina Eligio Gardina – Sindaco di Taormina Maria Angela Caponetti – Segretario Generale Città Metropolitana Messina Arch. Vincenzo Gitto – IVª Direzione servizi tecnici generali Ufficio Tecnico Città Metropolitana Messina Dott. Antonio Palazzolo - Città Metropolitana Messina Notaio Stefano Pederni  Gianfranco Molino – Vicepresidente Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte Domenica Polito – Dottore Commercialista Antonella Gurrieri – Giornalista RAI Paolo Romania – Fondazione Antonio Presti - Fiumara d’Arte Dott.ssa Maria Lucia Serio Avv. Domenico Di Stefano ARB Società di brocheraggio assicurativo (Clelia Fiore – Davide Liotta) Arch. Francesca Carditello, ing. Vincenzo Carditello O.P.E.R.A Engeneering s.r.l. Giovanni Aucello (Presidente Comitato La voce del Mare) Avv. Anna Maria Cacopardo Arch. Eleonora Cacopardo Emanuele Cammaroto - giornalista Gazzetta del Sud e BlogTaormina Impresa Puzzolo Enzo

- di Giuseppe Rando -

Sarà che invecchiando sono diventato un pericoloso estremista che non sa distinguere una pecora da un bue, ma come faccio a non vedere il ridicolo e l’assurdo da cui il riso promana per opposizione (bergsoniana)?

Lo vogliate o no, qui si sono recati ai seggi, sbandierando il NO, intere famiglie di burini – con i neonati in braccio e i vecchi in carrozzella – del tutto digiune di politica, da sempre refrattarie a ogni iniziativa di miglioramento sociale e improvvisamente invasate dal fuoco sacro della difesa della costituzione repubblicana. Bene, in teoria, per noi che crediamo nella forza trascinante della democrazia e lottiamo da sempre per difenderla e farla crescere: speriamo che continuino a partecipare. Ma, diciamolo, non si può non ridere di fronte a questo paradosso effettivo.

E tutti quei fascistoni (alla Gasparri, all’Alemanno, alla Meloni) che nelle desolate periferie urbane di grandi e piccole città, al Nord, al Centro, Al Sud, nelle Isole, sono diventati paladini della democrazia (della democrazia!), della libertà (della libertà!) e nemici del tiranno (Renzi!)? Miracolo della democrazia, da un lato, ma come non scompisciarsi, dall’altro?

E tutti quei fottuti piccolo-borghesi, piccoli piccoli ma numerosi come mosche pakistane, che giurando sul verbo berlusconiano hanno marciato, compatti, risoluti contro il despota Renzi che, arricchitosi forsanche con i soldi della malavita, si è fatto le leggi ad personam, è stato coinvolto in mille processi di corruzione che hanno riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo, ha comprato i favori di compiacenti stelline con appartamenti, gioielli nonché milioni di euro e infine, per giunta, ha cercato di cambiare in senso autoritario la più bella costituzione del mondo dando maggiori poteri al capo del governo e cercando di fondare un repubblica presidenziale?

E dove li mettiamo tutti quei nazisti più o meno dissimulati (alla Salvini), fino a ieri nemici giurati della costituzione antifascista e dello stato italiano, nonché fervidi apostoli della grande Padania, zelanti fedeli del dio Po e odiatori di tutti gli africani, siciliani compresi (da buttare a mare e spararci sopra), che sono divenuti, tout d’emblé, difensori del popolo italiano (siciliani compresi), dello stato (italiano) e della costituzione (antirazzista) minacciata da Renzi, servo dei poteri forti d’Europa? Ridere o piangere?

Non è peraltro escluso che si sia anche celebrato, nella strepitosa vittoria del NO (ma il 40% dei votanti non è detto che sia costituito da imbecilli, come pensa il livoroso Travaglio), il rito tribale del capro espiatorio offerto al dio della Rivincita dalle migliaia di trenta-quarantenni italiani che, per invidia insopprimibile, vivono il successo del quarantenne Renzi come la prova della loro pochezza umana e sociale, magari causata dal “sistema” (senza troppe loro responsabilità), ma reale.

Non parliamo, poi, dei quattro gatti della sinistra sinistrese, che - chiusa nella sua torre d’avorio - ha tenuto, per anni, il sacco e la candela a Berlusconi, con le sue astrattezze e i suoi parolai di turno: credono d’inseguire il meglio, fidando nelle vecchie, bolse ideologie operaistiche, e non si accorgono di perdere il bene e di fare il gioco delle Destre, della Reazione.

Per non dire dei professori maltrattati dalla “buona scuola”, rivelatasi peggiore della cattiva (che buona non era), e di tutti quei giovani senza lavoro e senza futuro per colpa della vecchia politica pre-riformistica (anche, se non soprattutto, di Berlusconi e dei suoi alleati), che irretiti, per giusto, oggettivo disagio e per scarsa educazione politica, dalle facili (ma false) profezie del comico Beppe Grillo, hanno visto nel governo di Renzi l’unico responsabile della loro ingiusta condizione e, quindi, il nemico da battere. Ma qui non c’è nulla da ridere: siamo nel cuore della tragedia postmoderna, che ha radici nella lunga servitù, durata secoli, del nostro popolo e nei limiti oggettivi di quella che il grande Moro definiva giustamente «democrazia incompiuta».

 

 

 

 

 

 

 

Presso l’Università degli Studi di Messina il Premio “Orione” viene organizzato dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti, presieduta dal Magnifico Rettore Prof. Pietro Navarra  e dall’Associazione Culturale MessinaWeb.Eu, fondata dal Presidente Rosario Fodale con il patrocinio gratuito dell’Assemblea Regionale Siciliana e del Kiwanis Club Messina.

In tale contesto si inquadrano:

  • Il Premio “Orione”, peculiare riconoscimento di merito onorifico a personalità che una Giuria, appositamente nominata individuerà in personalità di spicco del patrimonio culturale nel mondo della letteratura, del diritto, delle infrastrutture, della medicina, del teatro e dell’arte con finalità di divulgazione e promozione.

  • Il Premio Speciale “Orione” riservata ad Associazioni d’Arma, ad Associazioni di Servizio, a personalità e ad Associazioni socio-culturali in rotocalco della Provincia di Messina.

    La denominazione del premio è da ricondurre a “Orione”, mitico fondatore della città di Messina e sul quale giungono fino a noi numerose versioni della sua leggenda.

    Il Premio è stato insignito della medaglia del Presidente della Repubblica Italiana.

    La Giuria del “Premio Orione”, presieduta dal Prof. Cosimo Inferrera, già ordinario di Anatomia Istologia Patologica e Citodiagnostica, socio emerito dell’Accademia Peloritana, Imm. Past President del Kiwanis Club Messina, è composta dall’Avv. Vincenzo Ciraolo, Presidente C.O.A Messina , dalla Dott.ssa Giuseppina D'Uva, Magistrato, Presidente sez. Lavoro Tribunale di Messina, dal Prof. Salvatore Fasulo, già ordinario di Anatomia comparata e Coordinatore del Dottorato di ricerca in Biologia, dal Prof. Vincenzo Fera, ordinario di Letteratura Italiana e Coordinatore del Dottorato di ricerca in Scienze Storiche, Archeologiche e Filologiche, dalla Prof.ssa Marianna Gensabella, ordinaria di Bioetica e Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Metodi e linguaggi del Giornalismo, dal Prof. Domenico Majolino, ordinario di Fisica sperimentale, esperto di Fisica applicata ai Beni culturali, dal Dott. Salvatore Restivo, medico chirurgo, specialista in Medicina Interna Pneumologia – Igiene Generale, dall’Avv. Carlo Vermiglio, Assessore Regionale ai Beni Culturali e dell'Identità Siciliana.

E’ molta gradita la Vostra presenza alla Manifestazione di Consegna del Premio Orione  che avrà luogo venerdì 16 dicembre 2016 con inizio alle ore 16.30 presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Messina.

Con l’occasione i più cordiali saluti.

                                            Rosario Fodale

                            Presidente Associazione MessinaWeb.Eu

Firma autografa omessa a mezzo stampa, ai sensi e per gli effetti

dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n° 39/1993.

Originale firmato e custodito agli atti di questa Associazione.

                                                                            

 

L’amore di Messina - per chi ci è nato - è tanto grande che fa cantare i sordi e poetare (a rimorchio) chi poeta non è mai stato: forte come il vento dello Stretto quando soffia d’inverno sulle acque rabbiose del mare in tempesta, tenero come il grecale in primavera che stuzzica le gemme sotto le foglie nei giardini, incontenibile come la passione degli amanti nascosti dal canneto sulla spiaggia nella brezza estiva della sera.

L’amore di Messina coincide – è tutt’uno - con l’amore del mondo, della natura, delle stagioni, delle piante, degli animali, del viso di una donna, del pianto di un bimbo…

Chi è nato a Messina piuttosto che a Milano o a New York è, forse, più vicino alla terra, ai boschi, ai venti, alle acque, al cielo, agli uccelli, alle farfalle, ai porcospini, ai vermi, alle nuvole, a Sirio, a Venere, all’orsa minore e a quella maggiore: conosce la corrente scendente e la montante, nonché le centinaia di famiglie di pesci delle Stretto; distingue lo scirocco dal libeccio e dal maestrale; vede il polo Nord dirimpetto levando il braccio destro là dove sorge il sole ogni mattina; non confonde il ponente col levante; è aduso ai profumi della campagna, all’odore della terra bagnata dopo la pioggia; sa la fatica del contadino, l’ardimento dell’uomo di mare, la solidarietà degli uguali, l’amicizia, i giochi collettivi, le feste popolari, le adunanze pubbliche, le abitudini alimentari … .

Messina è l’ombelico del mondo e il messinese è cittadino mondo.

Ma poi la poesia finisce. E subentra la ragione: Messina era l’ombelico del mondo e il messinese era cittadino del mondo. Oggi - da una cinquantina di anni - il messinese è (con poche, salutari eccezioni) un gretto provinciale, un piccolo borghese chiuso nella gabbia del suo appartamentino o appartamentone di città, un uomo pieno di paure, bloccato da nevrosi, incapace di distinguere una triglia da un buddaci, incapace di guardare le stelle, di conoscere i venti, di sentire gli odori della terra o del mare: un cittadino insicuro, pronto a servire il primo protettore politico o il primo professionista altolocato che gli promette mari e monti per sé stesso e per i suoi figli, disposto, insomma, a vendere la sua libertà per un piatto di lenticchie, nonché omologato, per dirla col poeta, alla cultura materialistico-edonistica, massmediatica, del neocapitalismo dominante. Per giunta, dopo l’omologazione, gli è piombata addosso la peggiore globalizzazione: chiuse o traferite altrove le poche imprese che davano il pane ai giovani (Aliscafi Rodriguez, Cantieri Navali, Sanderson-Bosurgi, Birra Messina); scomparsi del tutto il piccolo commerciante, il contadino e il pescatore; cresciuto, per converso, a dismisura il numero d’impiegati, di servi e di disoccupati stremati dal bisogno.

Resta là tuttavia – ma oramai inosservata - la bellezza eterna della città: due mari, due laghi, la Riviera Nord, Ganzirri, le amene colline, i campi ubertosi, la Punta del Faro; la Fontana di Nettuno, il Duomo, la Chiesa dei Catalani, il Forte di S. Salvatore, la Madonnina del Porto, Cristo Re, il Santuario di Pompei, il seicentesco Monte di Pietà. Per non dire dei quadri di Antonello di Messina e di Caravaggio, dei palazzi di stile liberty del Corso Cavour, dello scacchiere sabaudo delle strade ai due lati del viale, di qualche antica fontana.

E resta l’aria, l’atmosfera inconfondibile di Messina, di cui il vero messinese non sa privarsi per lungo tempo.

Quanto dire che esistono due città di Messina: una antica e una moderna, anzi postmoderna; una naturale e una snaturata; una libera e una asservita, una genuina, autentica, inimitabile e una omologata a tante altre della nostra modernità degradata. Noi, per certo, amiamo di più la prima, ma sogniamo che la seconda apra gli occhi, che veda lo stato miserevole in cui si è ridotta, che voglia e sappia ritornare grande al più presto, come prima, che torni ad essere quella di prima. Ma la città continua, purtroppo, a farsi male a diventare altra da sé, a conformarsi al peggio in circolazione nel mondo. Tanto che l’antica, naturale, libera, autentica Messina è di fatto inesistente, perché i giovani non l’hanno mai conosciuta e i vecchi l’hanno dimenticata, mentre tutti vediamo la moderna, snaturata, asservita, omologata Messina: tanto degradata, invero, da potere degnamente aspirare al titolo di capitale della Mediocrazia (Mediocratie), esito estremo e deteriore della decadenza postmoderna.

Mediocrazia cioè il potere dei mediocri, dei mediocri che «hanno preso il potere», per dirla con Alain Denault, professore di scienze politiche presso l’Università di Montreal, autore geniale, per l’appunto, del libro La Mediocratie, pubblicato in Canada, nel 2015, da Lux Editeur, che ne ha svelato, per primo nel mondo, il deprecabile avvento nel mondo occidentale.

Ognuno di noi, guardandosi attorno, nel suo ambiente di lavoro, ha modo di verificare quanto sia, purtroppo, esatta la diagnosi di Denault: troppi mediocri al potere e troppi caudatari.

 

L’amore di Messina - per chi ci è nato - è tanto grande che fa cantare i sordi e poetare (a rimorchio) chi poeta non è mai stato: un amore forte come il vento dello Stretto quando soffia d’inverno sulle acque rabbiose del mare in tempesta, tenero come il grecale in primavera che stuzzica le gemme sotto le foglie nei giardini, incontenibile come la passione degli amanti nascosti dal canneto sulla spiaggia nella brezza estiva della sera.

L’amore di Messina coincide – è tutt’uno - con l’amore del mondo, della natura, delle stagioni, delle piante, degli animali, del viso di una donna, del pianto di un bimbo…

Chi è nato a Messina piuttosto che a Milano o a New York è, forse, più vicino alla terra, al mare, ai boschi, ai venti, alle acque, al cielo, agli uccelli, alle farfalle, ai porcospini, ai vermi, alle nuvole, a Sirio, a Venere, all’orsa minore e a quella maggiore: conosce la corrente scendente e la montante, nonché le centinaia di famiglie di pesci delle Stretto; distingue lo scirocco dal libeccio e dal maestrale; vede il polo Nord dirimpetto levando il braccio destro là dove sorge il sole ogni mattina; non confonde il ponente col levante; è aduso ai profumi della campagna, all’odore della terra bagnata dopo la pioggia; sa la fatica del contadino, l’ardimento dell’uomo di mare, la solidarietà degli uguali, l’amicizia, i giochi collettivi, le feste popolari, le adunanze pubbliche, le abitudini alimentari … .

Messina è l’ombelico del mondo e il messinese è cittadino mondo.

Ma poi la poesia finisce. E subentra la ragione: Messina era l’ombelico del mondo e il messinese era cittadino del mondo. Oggi - da una cinquantina di anni in qua - il messinese è (con poche, salutari eccezioni) un gretto provinciale, un piccolo borghese chiuso nella gabbia del suo appartamentino o appartamentone di città, un uomo pieno di paure, bloccato da nevrosi, incapace di distinguere una triglia da un buddaci, incapace di guardare le stelle, di conoscere i venti, di sentire gli odori della terra o del mare: un cittadino insicuro, pronto a servire il primo protettore politico o il primo padrino o il primo professionista altolocato che gli promette mari e monti per sé stesso e per i suoi figli, disposto, insomma, a vendere la sua libertà per un piatto di lenticchie, nonché omologato, per dirla col poeta, alla cultura materialistico-edonistica, massmediatica, del neocapitalismo dominante. Per giunta, dopo l’omologazione, gli è piombata addosso la peggiore globalizzazione: chiuse o traferite altrove le poche imprese che davano il pane ai giovani (Aliscafi Rodriguez, Cantieri Navali, Sanderson-Bosurgi, Birra Messina); scomparsi del tutto il piccolo commerciante, il contadino e il pescatore; cresciuto, per converso, a dismisura il numero di disoccupati stremati dal bisogno.

Resta là intatta tuttavia – ma oramai inosservata - la bellezza eterna della città: due mari, due laghi, la Riviera Nord, Ganzirri, le amene colline, i campi ubertosi, la Punta del Faro; la Fontana di Nettuno, il Duomo, la Chiesa dei Catalani, il Forte di S. Salvatore, la Madonnina del Porto, Cristo Re, il Santuario di Pompei, il seicentesco Monte di Pietà. Per non dire del museo, dei quadri di Antonello di Messina e di Caravaggio, dei palazzi di stile liberty del Corso Cavour, dello scacchiere sabaudo delle strade ai due lati del viale S. Martino, di qualche antica fontana.

E resta l’aria, l’atmosfera inconfondibile di Messina, di cui il vero messinese non sa privarsi per lungo tempo.

Quanto dire che esistono due città di Messina: una antica e una moderna, anzi postmoderna; una naturale e una snaturata; una libera e una asservita, una genuina, autentica, inimitabile e una omologata a tante altre della nostra modernità degradata. Noi, per certo, amiamo di più la prima e lottiamo, come sappiamo, come possiamo, per aiutare la seconda a liberarsi dal cappio dell’incultura, sperando che apra presto gli occhi, che veda lo stato miserevole in cui si è ridotta, che torni ad essere quella di prima. Ma la città continua, purtroppo, a farsi male a diventare altra da sé, a conformarsi al peggio in circolazione nel mondo. Tanto che l’antica, naturale, libera, autentica Messina è di fatto inesistente, perché i giovani non l’hanno mai conosciuta e i vecchi l’hanno dimenticata, mentre tutti vediamo la moderna, snaturata, asservita, omologata Messina: così degradata, invero, nonostante l’impegno instancabile di pochi resistenti, che potrebbe degnamente aspirare al titolo di capitale della mediocrazia (mediocratie). La mediocrazia è difatti il potere dei mediocri, dei mediocri che «hanno preso il potere» in tutti i gangli vitali della società postmoderna, per dirla con Alain Denault, professore di scienze politiche presso l’Università di Montreal, autore geniale, per l’appunto, del libro La Mediocratie, pubblicato in Canada, nel 2015, da Lux Editeur, che ne ha svelato, per primo nel mondo, il deprecabile avvento nel mondo occidentale.

La mediocrazia vi si configura, infatti, come l’esito estremo e deteriore della decadenza postmoderna, il trionfo definitivo del conformismo, la fine del libero pensiero e della libera iniziativa, l’impossibilità della satira, della critica costruttiva, dell’impegno sociale, dell’altruismo, nonché la crisi definitiva dell’individualità e l’omologazione di ognuno al piatto conformismo di tutti, ugualmente soggiogati dal peggiore dei poteri: il potere dei mediocri, esistenti in ogni comparto professionale della società.

E ognuno di noi, guardandosi attorno, nel suo ambiente di lavoro, a Messina, ha modo di verificare quanto sia, purtroppo, esatta la diagnosi di Denault: troppi mediocri al potere e troppi … caudatari.

 

 

 

DSCF3889

- di Marcello Crinò -

Venerdì 9 dicembre al Teatro Mandanici è andato in scena il balletto Il lago dei cigni, con il Balletto di Mosca. La serata, che ha visto ancora una volta la sala piena in ogni ordine di posti, è stata introdotta brevemente dal Direttore artistico del teatro, Sergio Maifredi, visibilmente soddisfatto per la risposta che la città sta dando in questi tre primi spettacoli sotto la sua direzione e sotto la gestione diretta dell’Amministrazione Comunale.

            Il Balletto di Mosca, già stato presente al Mandanici il 10 aprile di quest’anno, con La bella addormentata, ha proposto questo balletto classico per eccellenza, su musiche di Petr Ilic Tchaikovsky (1840-1893), musicista russo tardoromantico, andato in scena la prima volta a Mosca nel 1877. E’ il primo dei tre balletti scritti dal musicista russo, ed è considerato uno dei più famosi ad acclamati  dell’Ottocento.

La trama del lago dei cigni, decisamente romantica, strutturata in quattro atti, racconta la storia della principessa Odette che un perfido sortilegio del malefico mago Rothbart, a cui la principessa ha negato il suo amore, costringe a trascorrere le ore del giorno sotto le sembianze di un cigno bianco. La maledizione potrà essere sconfitta soltanto da un giuramento d'amore. Il principe Sigfrid si imbatte nottetempo di Odette, se ne innamora e promette di salvarla. Ad una festa nella reggia di Sigfrid il mago presenta sua figlia che ha assunto le sembianze di Odette al principe che, convinto di trovarsi al cospetto della sua amata, le giura eterno amore. A quel punto il mago rivela la vera identità della fanciulla e Odette, destinata alla morte, scompare nelle acque del lago. Sigfrid, disperato, decide di seguirla: è proprio questo suo gesto a rompere l'incantesimo consentendo ai due giovani innamorati di vivere per sempre felici.

Il Balletto di Mosca riunisce ballerini provenienti dalle migliore accademie di danza di Mosca, San Pietroburgo, Ufa, Perm, e vincitori di concorsi internazionali di balletto. Si avvale di prestigiose collaborazioni con étoile provenienti dei migliori Teatri Stabili di Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg e ha riscosso successo in tutto il mondo (Francia, Spagna, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Israele, Cina). L’attuale direttore artistico della Compagnia è Timur Gareev, ex solista del Teatro dell’Opera e Balletto di Novosibirsk.

I solisti principali del lago dei cigni sono stati: Natalia  Lazebnikova e Sergii Kliachin; le prime parti: Anton Maltsew, Natalia Gubanova, Alexey Gerasimov, Maksim Tkachenko, Oleksandra Vorobiova, Olga Vorobiova.

 

15350730 1468588856499695 8299402326670200818 n

 

 

 di  Giuseppe Caramuscio -

Negli anni 1943-45 i Balcani occidentali costituiscono il teatro di quelle che non pochi storici individuano come le prime manifestazioni della Resistenza dell’esercito italiano, autonomamente decisa e condotta: in Dalmazia e in Montenegro resti di divisioni si uniscono ai partigiani jugoslavi, in Grecia una parte delle forze passa a fianco del “Corpo nazionale popolare di liberazione”, e a Cefalonia la Divisione “Acqui” dà vita ad una resistenza autonoma contro l’ex-alleato tedesco, un atto di sfida compiuto prima ancora che si schiudesse una più precisa prospettiva politico-militare.

All’indomani dell’8 settembre 1943, assai problematica appare anche in Albania la situazione delle truppe italiane ivi stanziate: solo la Divisione “Brennero” riesce a reimbarcarsi, mentre le altre Divisioni, fatte oggetto di un vergognoso patteggiamento fra i tedeschi e il Comando gruppo armate est, che aveva accettato il disarmo parziale in cambio della promessa di reimbarco, vennero in gran parte sopraffatte e sterminate. La “Perugia”, attratta sulla costa, vide fucilati 160 ufficiali compreso il suo comandante. La “Firenze” seguì invece la via del combattimento impegnando a Kruja le soverchianti forze tedesche. Ma nel complesso risulta molto difficile, anche a distanza di oltre settant’anni dai fatti, ricostruire i percorsi e le drammatiche vicende dei tanti reparti in cui i soldati italiani si sono frantumati in quel territorio, lasciati allo sbando a causa dell’assenza di una direzione politico-militare unitaria e responsabile.

Ad una di queste innumerevoli storie è dedicata la presente monografia, scritta da un sottufficiale dei Carabinieri che, allo scopo di fare chiarezza su un episodio accaduto sul fronte albanese, ha profuso molte energie in anni di scavo negli archivi e nella raccolta di testimonianze. Antonio Magagnino non è nuovo a ricerche particolarmente ardue, essendosi già impegnato in studi di caso sulla persecuzione degli ebrei e su eccidi dei nazi-fascisti nell’Italia centro-settentrionale, in collaborazione con Istituti storici della Resistenza e con Università. Già nel ruolo ispettori dell’Arma, il maresciallo Magagnino spende tale competenza nel tentativo di ricostruire, quanto più fedelmente possibile, la dinamica e le responsabilità di un tragico episodio accaduto in Albania nel novembre 1943: la fucilazione di centoundici carabinieri da parte di partigiani comunisti al comando di uno dei leader della locale Resistenza, Xhelal Staravecka, nei boschi sul monte Panit, a nord-est di Labinot. L’orgoglio di appartenenza all’Arma, coniugato con la passione per la Storia, non impedisce all’Autore di vagliare criticamente la documentazione allo scopo di comprendere le ragioni dei fatti. Perché questo eccidio? Per molti anni la risposta a questa domanda si è basata sul risentimento di parte della popolazione albanese nei confronti degli occupanti italiani, che non di rado avevano fatto ricorso alla forza per domare focolai di ribellione o per stroncare la connivenza tra civili e guerriglia anti-italiana. In sede giudiziaria, a tale motivazione di fondo si è aggiunta quella della rapina, finalizzata all’appropriazione di danaro e mezzi in possesso della colonna dei carabinieri.

Ma queste spiegazioni non convincono pienamente Magagnino, da lui ritenute piuttosto concause di fattori più profondi, volutamente occultati per tanto tempo. Egli non crede, infatti, che Staravecka abbia potuto agire senza l’avallo del Comando locale, formato da inglesi e da italiani. Gli accordi raggiunti dopo l’8 settembre, infatti, prevedevano che tutti i militari italiani che si rifiutavano di collaborare con i tedeschi dovevano essere considerati alleati dei partigiani. L’Autore ritiene che la strage sia da collegare a fattori, bellici e pre-bellici, più ampi e complessi, in primis il tentativo dell’Arma di introdurre elementi di razionalità giuridica che una società arretratissima rifiuta, avvertendoli come estranei.

Più della metà del volume ospita una ricchissima e variegata raccolta delle fonti e dei documenti utili alla ricostruzione della vicenda: l’elenco dei carabinieri uccisi, con i relativi dati anagrafici, il memoriale per il processo di Staravecka del ’51, gli articoli pubblicati da alcuni quotidiani italiani tra il ’52 e il ’55, atti processuali, alcune corrispondenze interistituzionali, tra privati e istituzioni, mappe del territorio albanese e altro ancora. A tanta abbondanza documentaria non corrispondenza altrettanta dovizia bibliografica, poiché – denuncia Magagnino – non esistono solidi riferimenti al caso in letteratura, salvo pochi cenni in alcuni libri.

Scopo fondamentale del libro è quello di conservare la memoria delle persone e dell’accaduto; ma accanto a questo, l’Autore indica chiaramente gli altri obiettivi utili ad un completo ristabilimento della verità storica, a cominciare dall’individuazione certa e completa dei mandanti e degli esecutori materiali dell’eccidio. In tal senso egli auspica la disponibilità degli archivi albanesi dove presumibilmente potranno essere conservati documenti funzionali ad una migliore intelligenza non solo della vicenda specifica, ma della storia dell’esercito italiano sul fronte albanese. Ma le difficoltà frapposte al ricercatore non sono provenute solo da parte delle autorità del Paese delle Aquile, ma anche dai responsabili degli Archivi ministeriali italiani. Al riguardo Magagnino avanza l’ipotesi che la non adeguata collaborazione sia dovuta alla necessità di coprire le responsabilità dei comandi italiani, che hanno abbandonato le truppe alla mercé dell’ex alleato nazista.

Stretto tra l’esigenza della giustizia e la necessità di tacere su omissioni e responsabilità, la magistratura italiana ha perseguito e condannato solo il comandante (nonché tra gli esecutori) dell’eccidio, ma non ha approfondito la questione e, di conseguenza, le figure del col. Gamucci e dei suoi carabinieri sono cadute nell’oblio.

In lavori come il presente non è facile mantenere salda la distinzione tra giudizio morale e giudizio storico, tra aspetti giuridici e valutazioni sulle singole persone, difficoltà palesata dallo stesso Autore, quando dimostra – comprensibilmente – di schierarsi troppo decisamente dalla parte degli appartenenti all’Arma, se non altro per rispetto alle vittime della negligenza dei comandi. A livello storiografico, il libro ripropone, osservando l’Albania, il dibattito sul significato della Resistenza al fascismo e al nazismo, nella fattispecie animata da una ideologia comunista piuttosto grezza diffusa tra combattenti poco disciplinati e di infima coscienza politica. Magagnino riprende altresì l’analisi dei diversi tipi di opposizione all’invasore nazi-fascista (anche in Albania la distinzione tra la Resistenza monarchico-nazionalista e la lotta a guida comunista è netta e conflittuale); il libro recupera i rapporti tra popolazione civile, occupanti e resistenti; dal punto di vista italiano, i rapporti tra esercito regio e milizia fascista – anche sui fronti di guerra –; e, più in generale, la fallimentare conduzione della seconda guerra mondiale durante e dopo il regime fascista, salvata solo dalla dignità di alcuni comandanti e dei rispettivi reparti.

Un lavoro serio, indubbiamente, che ci fa riflettere quanto ci sia ancora da fare per lumeggiare le parti ancora oscure del secondo conflitto mondiale, che la realpolitik ancora impedisce di esplorare.

Herald Editore, 2015, pp. 450, € 30.

 

Calendario

« Novembre 2024 »
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30