- di Giuseppe Rando -
Sarà che invecchiando sono diventato un pericoloso estremista che non sa distinguere una pecora da un bue, ma come faccio a non vedere il ridicolo e l’assurdo da cui il riso promana per opposizione (bergsoniana)?
Lo vogliate o no, qui si sono recati ai seggi, sbandierando il NO, intere famiglie di burini – con i neonati in braccio e i vecchi in carrozzella – del tutto digiune di politica, da sempre refrattarie a ogni iniziativa di miglioramento sociale e improvvisamente invasate dal fuoco sacro della difesa della costituzione repubblicana. Bene, in teoria, per noi che crediamo nella forza trascinante della democrazia e lottiamo da sempre per difenderla e farla crescere: speriamo che continuino a partecipare. Ma, diciamolo, non si può non ridere di fronte a questo paradosso effettivo.
E tutti quei fascistoni (alla Gasparri, all’Alemanno, alla Meloni) che nelle desolate periferie urbane di grandi e piccole città, al Nord, al Centro, Al Sud, nelle Isole, sono diventati paladini della democrazia (della democrazia!), della libertà (della libertà!) e nemici del tiranno (Renzi!)? Miracolo della democrazia, da un lato, ma come non scompisciarsi, dall’altro?
E tutti quei fottuti piccolo-borghesi, piccoli piccoli ma numerosi come mosche pakistane, che giurando sul verbo berlusconiano hanno marciato, compatti, risoluti contro il despota Renzi che, arricchitosi forsanche con i soldi della malavita, si è fatto le leggi ad personam, è stato coinvolto in mille processi di corruzione che hanno riempito le pagine dei giornali di tutto il mondo, ha comprato i favori di compiacenti stelline con appartamenti, gioielli nonché milioni di euro e infine, per giunta, ha cercato di cambiare in senso autoritario la più bella costituzione del mondo dando maggiori poteri al capo del governo e cercando di fondare un repubblica presidenziale?
E dove li mettiamo tutti quei nazisti più o meno dissimulati (alla Salvini), fino a ieri nemici giurati della costituzione antifascista e dello stato italiano, nonché fervidi apostoli della grande Padania, zelanti fedeli del dio Po e odiatori di tutti gli africani, siciliani compresi (da buttare a mare e spararci sopra), che sono divenuti, tout d’emblé, difensori del popolo italiano (siciliani compresi), dello stato (italiano) e della costituzione (antirazzista) minacciata da Renzi, servo dei poteri forti d’Europa? Ridere o piangere?
Non è peraltro escluso che si sia anche celebrato, nella strepitosa vittoria del NO (ma il 40% dei votanti non è detto che sia costituito da imbecilli, come pensa il livoroso Travaglio), il rito tribale del capro espiatorio offerto al dio della Rivincita dalle migliaia di trenta-quarantenni italiani che, per invidia insopprimibile, vivono il successo del quarantenne Renzi come la prova della loro pochezza umana e sociale, magari causata dal “sistema” (senza troppe loro responsabilità), ma reale.
Non parliamo, poi, dei quattro gatti della sinistra sinistrese, che - chiusa nella sua torre d’avorio - ha tenuto, per anni, il sacco e la candela a Berlusconi, con le sue astrattezze e i suoi parolai di turno: credono d’inseguire il meglio, fidando nelle vecchie, bolse ideologie operaistiche, e non si accorgono di perdere il bene e di fare il gioco delle Destre, della Reazione.
Per non dire dei professori maltrattati dalla “buona scuola”, rivelatasi peggiore della cattiva (che buona non era), e di tutti quei giovani senza lavoro e senza futuro per colpa della vecchia politica pre-riformistica (anche, se non soprattutto, di Berlusconi e dei suoi alleati), che irretiti, per giusto, oggettivo disagio e per scarsa educazione politica, dalle facili (ma false) profezie del comico Beppe Grillo, hanno visto nel governo di Renzi l’unico responsabile della loro ingiusta condizione e, quindi, il nemico da battere. Ma qui non c’è nulla da ridere: siamo nel cuore della tragedia postmoderna, che ha radici nella lunga servitù, durata secoli, del nostro popolo e nei limiti oggettivi di quella che il grande Moro definiva giustamente «democrazia incompiuta».