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- di Rosario Fodale -

 

E' una festa patronale a carattere religioso con decorrenza decennale e di antichissime origini. Tre giorni di festeggiamenti  che terminano  il 17 agosto con la processione di due cerei, il Cilio  del pane e l’altro dell’oro o delle ragazze.

La preparazione  laboriosa è affidata a  gruppi diversi del paese, che ricevono l'incarico di approntare "I Cilli",che  sono due piccole vare, su uno, quello del pane, si pone del pane azzimo, con  forme simboliche di corone, cestini, tenaglie, chiodi, martelli, rose, mani, palme, ed altro che sia attinente alla storia del martirio della santa,sull'altro, quello delle ragazze, due bambine , che rappresentano l'una S. Agata con il telaio  e l'altra S. Caterina con la spola, intende a tessere.

Quest'ultime  famiglie si  incamminano verso i paesi vicini, dove raccolgono oggetti d'oro, monili, denaro, che utilizzeranno per adornare il loro cilio.

I due Cilli il giorno della festa sfilano per il paese per poi essere esposti, mentre l'oro raccolto viene poi solo in parte restituito ai legittimi proprietari, il resto rimane donato alla Santa protettrice.

 

- di Rosario Fodale -

 

La comunità cattolica spadaforese è molto devota a San Giuseppe, patrono della città. Al santo, cui sono legati soprattutto i pescatori, che lo invocano per assisterli nella loro perigliosa attività, vengono riservate due cerimonie particolari. Esso, infatti, viene venerato liturgicamente il 19 marzo e la domenica successiva al 3° giovedi di luglio con i "festeggiamenti esterni", in coincidenza con la tradizionale fiera del bestiame.

In anni recenti è invalsa la consuetudine di far coincidere la festa con la data del calendario fiere e mercati della Camera di commercio di Messina, che fissa l'appuntamento alla terza domenica di luglio. Nella mattinata del giovedi precedente quella domenica c'è un gran fermento nel paese; gli animali, provenienti anche dai paesi vicini, vengono concentrati all'altezza del campo sportivo e qui vengono "contrattati".

E l'avvio ufficiale di quattro giornate che impegnano duramente gli amministratori della città ma che, d'altro canto, permettono ai cittadini di vivere un'intensa attività sociale e concedono ai ragazzi di Spadafora una irripetibile occasione di svago e di divertimento.

Durante questo periodo, specialmente il sabato e la domenica, la città viene letteralmente invasa da venditori ambulanti, giostre e giochi, visitatori e turisti provenienti da tutto il litorale tirrenico della provincia. Fin dal primo giorno vengono organizzati giochi tradizionali, gare sportive, spettacoli, concerti, intrattenimenti sociali che hanno il loro culmine nel fantasmagorico ed esplosivo spettacolo dei fuochi artificiali, la domenica notte, che conclude entusiasticamente la festa del santo.

Il momento più significativo e più partecipato dei quattro giorni di festa è infatti la domenica pomeriggio, quando la statua di San Giuseppe col Bambino, ornata di fiori, preceduta dalle associazioni cattoliche e dal capitolo ecclesiale, seguita dalle autorità, dalla banda musicale e dalla folla dei fedeli, viene letteralmente contesa dai devoti addetti al trasporto.

La statua, dopo avere fatto un lungo giro per le vie del paese viene rivolta al mare per la benedizione; poi fa un trionfale ritorno nella sua antica e storica sede, mentre le campane suonano a festa. Un episodio da ricordare si è verificato alcuni anni fa, quando il comitato dei festeggiamenti fece sbarcare all'Arcipretato la statua sistemata a bordo di un addobbatissima imbarcazione seguita da altre barche.

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La Chiesa di S.Giusppe

Fu costruita verso la fine del 1500, forse all'origine era la Cappella di famiglia dei principi Spadafora. Danneggiata dal terremoto del 1908, negli anni successivi ti modificata ed ampliata e furono costruite anche la volta e la sacrestia.

La statua in legno di San Giuseppe, patrono del paese, è sicuramente antecedente al 1900 ed è stata restaurata con i colori originali nel 1998. La statua dell'Immacolata è anch'essa in legno, mentre le altre statue (quella del Sacro Cuore di Gesù, di Sant'Antonio, di San Giovanni Battista e della Madonna del Rosario) sono realizzate in cartapesta.

San Giuseppe, patrono del paese, a cui i cittadini sono molto devoti e soprattutto i pescatori che lo invocano per assisterli nella loro attività.

 

Montalto

 

- di Rosario Fodale -

 

E' il primo edificio di culto ricostruito nel dopo terremoto legato all'apparizione della Madonna in difesa dei messinesi assediati dai Francesi nel corso della guerra del Vespro (Madonna delle Vittorie).

 

Lo svolgimento della processione della Venerata Immagine di Santa Maria di Montalto, che interessa  le vie Dina e Clarenza, P. Umberto, Grattoni, Rocca Guelfonia e delle Carceri avviene il 12 giugno di ogni anno.

 

Papa Giovanni Paolo II ebbe modo di visitare il Santuario l'11 Giugno 1988.

La baretta

- di Giovanni Tomasello -

 

La secolare processione delle Barette, che quest’anno compie 400 anni, ci induce a tracciare qualche breve cenno storico di questa manifestazione molto amata e seguita non solo dai messinesi.

 

Questa descrizione storica la abbiamo tratta dal libro, devo dire molto bello e accurato, di Silvio Catalioto “Storia della Processione delle Barette”, scritto in occasione di questo importante anniversario, in accordo e in collaborazione con il governatore della Confraternita Santissimo Crocifisso “Il Ritrovato” dott. Pietro Corona che così descrive l’autore: “Silvio Catalioto oltre ad essere un ottimo storico, si è rivelato un ricercatore minuzioso e certosino che, con questa opera inedita e dal grande risvolto culturale, ci presenta un volume, pur nella sua essenzialità, in cui sono riportati atti e documenti storici che ci rimandano alle origini dei luoghi della nostra tradizione e del nostro culto per la Passione ed i Misteri di Cristo”. 

 

La Confraternita del Santissimo Crocifisso risale al 1751. I primi confrati eressero sede, assegnata loro dall’arcivescovo del tempo Tommaso Moncada, nella Chiesa di San Nicolò la Montagna. Il terremoto del 1783 distrusse la Chiesa e i confrati chiesero una nuova sede ed ottennero, in perpetua concessione, la Chiesa del Santissimo Crocifisso Ritrovato. Detta chiesa si trovava nella contrada del Tirone. I confrati rimasero in questa sede fino al terremoto del 1908, quando la furia della natura distrusse larga parte della città, danneggiando gravemente anche questa piccola chiesa che venne demolita.

 

Successivamente eretta a baracca, rimase così fino al 1943, quando i bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale distrussero anche questa, lasciando i confrati superstiti nell’impossibilità economica di ricostruire una nuova sede. A quel punto la confraternita conosciuta fin dalla fondazione venne sciolta. E si arriva ai giorni nostri. Il 26 Ottobre 1993, accogliendo la domanda del Comitato dei Battitori, che organizzava in città la tradizionale Processione delle Barette, l’arcivescovo Mons. Ignazio Cannavò approvò la ricostituzione della rinnovata Confraternita del Santissimo Crocifisso Il Ritrovato. Il 22 Maggio 1994, nella chiesa di San Giuseppe, ebbe luogo la solenne cerimonia della vestizione dei nuovi Confrati e, insieme, la benedizione del nuovo stendardo e del Crocifisso processionale. La nuova Confraternita, con il consenso dell’Arcivescovo, dopo accordi con le Nobili Arciconfraternite Riunite di San Basilio degli Azzurri e della Pace dei Bianchi, si assunse l’onere dell’organizzazione della solenne processione delle Barette del Venerdì Santo.

 

Andiamo ad analizzare una ad una le singole barette e il loro significato storico e religioso. La prima raffigura “L’ultima Cena”. Realizzata nel 1846 dallo scultore messinese Matteo Mancuso, era la Baretta più bella e imponente che apriva la processione. Il terremoto del 1908 la danneggiò in modo irreparabile tanto che, intorno al 1916, venne rifatta dall’artista messinese Giovanni Scarfì e da artigiani del legno leccesi. E’ vincolata dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali che nel 1998 ha provveduto al restauro;

 

“Gesù nell’Orto del Getsemani”: rappresenta Gesù, nell’orto del Getsemani mentre riceve il calice della passione dall’arcangelo Gabriele. L’opera originaria fu distrutta anch’essa nel terremoto del 1908, sostituita da un nuovo gruppo statuario che durò fino al 1957, sostituito a sua volta dal gruppo attuale realizzato in legno da Luigi Santifaller di Ortisei;

 

“Gesù legato alla colonna della flagellazione”: realizzata in legno, la statua è quella originale ottocentesca, sopravvissuta al terremoto del 1908;

“L’Ecce Homo”: realizzata in legno pregiato, si ritiene la statua più antica. La fascia bianca che cinge i fianchi del Cristo è quella originale, mentre il mantello rosso è lavoro recente;

 

“La Veronica”: realizzata interamente in legno pregiato, nel 1954, da Luigi Santifaller di Ortisei, è stata inserita nella processione nel 1956. Rappresenta la Veronica che asciuga il volto grondante di sangue di Gesù, inginocchiato sotto il peso della Croce;

 

“Gesù che cade con la croce”: realizzata dallo scultore messinese Giovanni Rossello, nei primi anni del 1700, è una della Barette più antiche. Restaurata nel 1920;

“Gesù che porta la Croce sulle spalle nel viaggio al Calvario: la Baretta originaria si riteneva fosse un lavoro pregevole di Matteo Rosselli, un pittore nato a Firenze nel 1578 e morto nel 1650. Purtroppo venne distrutta nel terremoto del 1908, e rifatta nel 1959 da Luigi Santifaller di Ortisei. Rappresenta la figura del Cristo, carico della Croce sulle spalle, aiutato dal Cireneo;

 

“Gesù in Croce”: la Baretta originaria, datata 1610, fu distrutta dal terremoto del 1908 e, al suo posto, nel 1922, anno della ripresa della tradizionale processione, fu utilizzato il crocifisso in cartapesta della Chiesa di San Giuseppe. L’attuale gruppo statuario, interamente in legno pregiato, risale al 1959, anch’esso opera di Luigi Santifaller di Ortisei;

 

“Maria Vergine Addolorata”: la Baretta originaria aveva la caratteristica di essere accompagnata dalle Verginelle del Conservatorio di Santa Caterina da Siena, dette le Biancuzze, che hanno fatto la loro riapparizione, dopo tanto tempo, proprio nella processione di quest’anno. Le Biancuzze vestite con una tunica bianca ed un lungo velo scendente dalla testa, tenevano un cero acceso in mano. Fu distrutta anch’essa dal terremoto del 1908. Quella attuale è ancora opera di Luigi Santifaller di Ortisei, risalente al 1953;

 

“La Deposizione dalla Croce”: questa Baretta venne inserita nel 1923 ed è stata realizzata in paglia e cartapesta dal leccese Carmelo Bruno;

 

“Cristo Morto”: la Baretta originaria che chiudeva la processione fu distrutta dal terremoto del 1908 e, al suo posto, nel 1920, venne realizzata quella attuale.

 

Le palme

 

- di Mirella Formica -

 

L'appuntamento comunque più sentito, più partecipato e più suggestivo tra le cerimonie liturgiche era, senza dubbio, per la celebrazione della Pasqua.

 

I riti iniziavano con la Domenica delle Palme. In quell'occasione venivano confezionate, secondo schemi antichi, le palme bianche intrecciate con grande fantasia ed abilità, utilizzando i pallidi cuori di palma. Era sentita consuetudine a Messina, come altrove, preparare per il Giovedì Santo degli speciali addobbi con cui decorare le chiese. In ciò gareggiavano le ragazze che parecchi giorni prima della ricorrenza seminavano chicchi di grano in piatti che venivano conservati al buio,solitamente entro stipi.

 

Era cura annaffiarli quotidianamente sino a portare i pallidi germogli alla giusta altezza. Si passava quindi alla decorazione che comportava l'aggiunta di nastri, fiori, croci ed ogni simbolo della Passione. I vari piatti di germogli venivano poi disposti ai piedi dell'altare, creando. delle artistiche composizioni che, unitamente ai tanti lumini, conferivano grande suggestione all'insieme.

 

Le visite ai sepolcri, per essere certi di ricevere la grazia, dovevano essere in numero dispari: tre, cinque o meglio sette, come le spade che avevano trafitto il cuore dell'Addolorata.

 

Le vie del centro erano le più affollate in questa occasione e soprattutto le chiese annesse ai grandi :monasteri di clausura erano prese di mira da una folla curiosa ed entusiasta.

Madonna Lettera

- di Rosario Fodale -

 

  1. 3 giugno, alle ore 18, in occasione della festività della Madonna della Lettera, protettrice della città di Messina si svolge  la tradizionale processione del simulacro in argento, opera dello scultore messinese  Lio Gangeri, niellata dal romano Pietro Calvi.

Parte da piazza Duomo, percorre  Corso Cavour, nel tratto compreso tra piazza Duomo e via T. Cannizzaro; via T. Cannizzaro, nel tratto compreso tra Corso Cavour e via Garibaldi; via Garibaldi, carreggiata lato monte, nel tratto compreso tra le vie T. Cannizzaro e I Settembre, e via I Settembre, nel tratto compreso tra via Garibaldi e piazza Duomo.

Un intenso programma di momenti di fede e devozione in ricordo dell'antico ed indissolubile legame che unisce la Vergine Maria e la città dello Stretto.

L 'arcivescovo guida la tradizionale processione con gli arcivescovi emeriti, altri vescovi della provincia  i canonici della cattedrale, i vicari episcopali e foranei e una significativa rappresentanza del clero.

Franz Riccobono "la Madonna assume la protezione della città di Messina e lo fa in maniera specifica addirittura con una lettera da Lei vergata e chiusa con il sigillo di suoi capelli annodati. Secondo la tradizione, un'ambascerìa di messinesi si recò nell'anno 42 a Gerusalemme e, presentatasi con S. Paolo al cospetto della Madonna, invocò la protezione sulla città di Messina. Protezione concessa ed esplicitata nella missiva che concludeva con la frase, poi tradotta dall'ebraico in greco e quindi in lingua latina: «Vos et ipsam civitatem benedicimus»"

Il vascello 

- di Mirella Formica -

 

L'immagine della Madonna di Porto Salvo, a cui la chiesa dei Marinai è dedicata, è riprodotta due volte nel monumento argenteo del Vascelluzzo: negli sguanci la Madonna è seduta e viene dal cielo recata dagli Angeli sulle nuvole mentre nello sfondo si vede la Palazzata; e poi a poppa in un'immagine sbalzata, quasi a indirizzare e guidare la nave. Il Vascelluzzo fu realizzato tra il 1575 e il 1585, dietro autorizzazione dell'Arcivescovo di Messina e del Senato, dail'Arciconfraternita dei Marinai.

È il più insigne e grande monumento argenteo del Sud e la sua manifatturaè collegata a fatti cos: inattesi e provvidenziali che la fede popolare non ha esitato a definire "miracoli".

Si deve ad alcuni di questi avvenimenti la presenza del Vascelluzzo nella processione del Corpus Domini, nel corso della quale sfila per le vie della città decorato con un gran numero di n:iazzetti di spighe di grano e dotato di un prezioso reliquiario contenente alcuni capelli di Maria di Nazareth.

Gli episodi miracolosi che la Chiesa messinese ricorda, per giustificare la tradizione della processione del Vascelluzzo, sono diversi. Uno di essi si ricava da uno scritto del Barenio e si riverisce alla vita di S. Alberto; gli altri si possono ricavare da scritti di vari autori come il Reina, il Samperi, il Gallo e altri.

 

II primo episodio ci viene dalle vicende del post-Vespro quando la città era ancora impegnata a difendersi dagli assalti degli Angioini che volevano indurla con la forza a ritornare sotto la loro mala signoria. I messinesi, autorità e popolo, che eroicamente continuavano a resistere, sostenuti anche dal loro fervore religioso ed animati dalle esortazioni del frate carmelitano S. Alberto, si rivolsero alla Madonna della Lettera per essere liberati dalla fame. Inspiegabilmente tre navicelle alla fine della Messa celebrata dal Santo, superato lo sbarramento del porto, scaricarono una grande quantità di grano.

 

Un altro episodio assai significativo dell'interesse materno della Madonna della Lettera verso la sua diletta Messina, si ebbe nel 1603 quando la Sicilia e Messina in particolare, che non poteva contare su un vasto entroterra agricolo e orticolo, erano afflitte da una nuova tremenda carestia. I messinesi, per non morire di fame, armarono alcune navi corsare e presero a pattugliare lo Stretto, abbordando velieri e -catturando qualunque imbarcazione cercasse di attraversarlo. La notizia della mala intenzione dei messinesi raggiunse i porti levantini, sicché i capitani delle navi dirette in Occidente, per evitare di incappare nella razzia, preferivano affrontare il più lungo percorso del Canale di Sicilia. E fu in questo tempo che si ebbe un altro avvenimento giudicato miracoloso. Ecco la tradizione. Nell'anno 1603 una nave partita da Volo, in Grecia, con un carico di 500 salme di grano, per evitare le insidiose acque dello Stretto, controllato dai pirati messinesi, scelse per il suo viaggio verso Napoli la via più lunga del Canale di Sicilia.

 

Si era appena allontanata dalla costa, in direzione sud-ovest, quando all'improvviso si abbatté sul mare un tremendo fortunale che, nel volgere di pochi istanti, le strappò il timone e le vele. I marinai, presi dallo sgomento, per salvarsi dall'imminente catastrofe che si profilava ineluttabile, alleggerirono le stive gettando in mare una parte del carico e tutte le artiglierie. Malgrado ciò la nave; sospinta da un vento gagliardo, avanzava sempre velocissima, alla deriva, verso una sua autonoma e misteriosa destinazione. Sopraffatti dalla paura avendo anche perso le barche di salvataggio, i marinai si rimisero alla sorte e questa indicò, come loro protettrice, la Madonna del Piliere di Messina .

 

I vento, la nave entrò in panne e si fermò. I marinai allora costruirono una zattera e vi mise quattro uomini estratti z sorte. Appena in mare la zattera fu presa da una vortícosa corrente revissimo tempo, la condusse direttamente dentro il porto di Messina.

 

i davanti ai maggiorenti della città i quattro marinai raccontarono la loro avventura e lo stra¬bse che fosse subito allestita una galea che, assieme a molte altre barche d'appoggio, andasitro alla nave di Volo.

Preso il mare la galea messinese si diresse verso lo Ionio, alla cieca. data dalla Madonna della Lettera, non tardò molto ad imbattersi nella nave carica di grano. nesi, allora, ripararono alla meglio la nave e a rimorchio, la condussero in porto, dove fu scali tutto il frumento che conteneva. L'insperato fatto convinse ancora di più i messinesi della lenza della loro Santa protettrice. La fede popolare gridò al miracolo e lo stesso Senato, ad .uro ricordo dell' avvenímento, volle donare alla Chiesa peloritana, perché lo portasse ogni t processione, un artistico Vascello votivo tutto d'argento, di cento scudi dì peso, oltre la manifattura detto dalla voce popolare U Vasciddhuzzu.

 

Un altro episodio simile ai precedenti accadde nel 1636. La Sicilia, e Messina in primo luogo, erano , da una grave carestia. Quell'anno aveva piovuto pochissimo. Le campagne erano secche e il grano raccolto nell'estate precedente era stato quasi tutto esaurito o esportato. Non si sapeva sa fare o a chi rivolgersi quando, il giorno prima di Pasqua, giunsero inaspettatamente in porto vi olandesi cariche di frumento. II Senato le fece scaricare e i fedeli, convinti che quell'arrivo avvenuto per opera miracolosa della Madonna della Lettera, corsero in chiesa a pregare e cantare Te Deum.

 

IL Vascelluzzo oggi si presenta composto da due parti. Quella bassa, che poggia su quattro gambe di , ha forma di un tavolinetto artisticamente lavorato a bulino e a sbalzo. II piano si alza a forma ,di trapezio tronco e svasato. Ai quattro lati, sulle facce piane, spiccano altrettanti grandi medaglioni cene storiche, mentre agli angoli fanno bella mostra quattro angioletti musicofili, purtroppo dell'oggetto che originariamente tenevano in mano. Teste d'angeli e altre decorazioni floreali ornavavano i lati del tavolinetto. Sui lati esso reca due fori passanti entro i quali vengono infilate delle assi che durante le processioni consentono il suo trasporto a spalla.

 

La parte alta è dominata da un bellissimo vascello d'argento che riproduce la forma e l'armamento galee trecentesche, verosimilmente un galeone da guerra a vela. All'albero maestro sventolano rosi vessilli rossi e vario sartiame. Dalle murate sporgono otto cannoni per parte, ed altri cannoni ornanono la poppa. In alto a tutto, si alza un sostegno sormontato da una corona regale sul quale, te la processione, viene riposto un cilindretto d'argento contenente, secondo la tradizione, i Capelli con i quali Maria di Nazareth accompagnò la sua lettera ai messinesi.

 

L'inserimento della teca coi capelli conferisce alla processione carisma religioso e devozionale. Durante l'anno il Vascelluzzo è custodito in una piccola cappella della chiesa di S. Maria di Porto Salva dei Marinai, ubicata vicina piazza S. Vincenzo alle spalle di Casa Pia. Le spighe della sua spoliazione, di solito, vengono distribuite dal parroco ai fedeli che le custodiscono in casa, come auspicio di abbondanza e di fecondità.

 

La mattina del Corpus Domini, nella chiesa di S. Maria dei Marinai viene celebrata una messa solenne durante la quale il clero distribuisce ai fedeli piccoli pani di grano. A loro volta i fedeli consegnano al clero fasci di spighe di grano appositamente coltivate e raccolte per corredare la composizione. Finita la funzione e arricchito il vascelluzzo con gli addobbi d'uso, alcuni confrati, a spalla e a passo velocissimo, quasi correndo, lo trasferiscono in Duomo dove viene dotato della preziosissima reliquia dei Sacri Capelli. Nel pomeriggio, seguendo un cerimoniale consolidato da una tradizione ormai secolare, esso viene portato in processione per le vie dei centro, seguito e preceduto da una gran folla, da una o più bande musicali, dalle autorità cittadine, dalle Associazioni, Congregazioni e dalle Arcinconfraternite religiose, e dai babbaluci che sono dei fedeli laici incappucciati.

 

Al termine della processione, dopo il sermone e 1a benedizione dell'Arcivescovo, i confrati restituiscono ai canonici del Duomo la reliquia dei Sacri Capelli e immediatamente, di gran corsa, riportano il Vuscelluzzo nella loro chiesa di S. Maria dei Marinai, riponendolo nella cappelletta ad esso riservata: l'usanza di trasferire di gran corsa il simulacro è molto antica. Si deve, in parte, alla preoccupazione che esso durante il percorso possa venire spogliato dei suoi addobbi.

 

La gratitudine dei messinesi verso la Madonna, si manifestava anche nell'usanza di collocare nelle chiese, davanti a1 SS. Sacramento, lampade che riproducevano piccoli vascelli.

Il cammello

Nov 23, 2024

- di Mirella Formica -

Non si può parlare dei giganti messinesi senza richiamare alla memoria l'ultima machina festiva della rassegna: il Cammello, o Cammiddu o Cammellaccio che delle due statue equestri costituiva una sorta di appendice.

 u cammeddu

La sua presenza nelle feste di mezzagosto è attestata già nel 1606 da Giuseppe Buonfiglio che scrive in una popolare celebrazione: " ...della vittoria ottenuta dal conte Ruggeri, il quale, fugati i Mori, entrò trionfalmente a Messina coi suoi soldati bagordando, e coi cammelli barbareschi carichi di spoglie". Placido Samperi, nel 1644, ne fornisce questa descrizione:

"Và per tutto quel dì (14 agosto), e nè seguenti ancora, per le pubbliche strade ballando, e scherzando con la plebe minuta, un finto Camelo, accompagnato da alcuni mascherati, come Saraceni; usanza, ch'à men periti sembra una inettia plebea, é una stolta melansagine, al parere però de' Savij, e degli Eruditi, una pia, e religiosa rimembranza della vittoria del Conte Ruggieri, quando scacciati con l'aiuto de' Messinesi, li Saraceni, entrò nella Città di Messina trionfante, nell'anno 1061, come alcuni vogliono, non su l'ampia schiena di smisurato Elefante, ò d'orgoglioso Leone, come i Cesari, e i Pompeí tirati da questi animali, mà sopra il dorso d'un barbaro Camelo guernito all'Arabesca.

Quindi e che gli antichi Messinesi nell'anniversaria solennità della Vergine, per la memoria immortale di quella Trionfale giornata, fabricarono un finto Camelo che andasse attorno per la Città, e destasse gli animi alla ricordanza della ricevuta libertà, per opera della B. Vergine... ".

Nel 1888, L'Illustrazione popolare di Milano fornisce questa descrizione con dovizia di particolari:

"Il secondo giorno usciva il cosidetto camiddu: cammello. Era una costruttura in legno che imitava la forma dell'infatícabile quadrupede del deserto. Camminando apriva e chiudeva la bocca, e da essa l'uomo che era nell'ordegno, allungava la mano per ghermire tutto ciò.che gli veniva fatto trovare; cosicché allo spettatore ingenuo riusciva completa l'illusione che il camiddu mangiasse davvero. E mangiava voracemente.

Nessuna bottega era risparmiata. La bestia rapace gironzolava qua e là rompendo con moti repentini il cerchio fitto, ondeggiante della folla che, ai tiri astutissimi, si smascellava dalla risa. Pane, bottiglie di vino, chincaglie, formaggi; tutto ciò che i bottegai mette vano in bella mostra presso l'ingresso del negozio, era trangugiato dalla bocca vorace. Il primo a ridere dei tiro era il bottegaio derubato".

Intuibile da queste descrizioni la reale struttura del Cammello: una leggera ossatura in legno, sulla quale si adattava una pelle completa di dromedario. Sotto l'ossatura erano i due facchini, le gambe dei quali, visibili, erano ricoperte dalla pelle predetta. Tra i due portatori era legato un sacco dove si riponeva il ricavato della visita ai rioni della città. Attorno al Cammello erano un suonatore di cornamusa ed altri fanciulli mascherati, come li presentano antiche stampe. Con grande capacità di sintesi, l'etnoantropologo siciliano Giuseppe Pitrè definì la pantomima del cammello "scena abissina" , mettendola in relazione con quella del Serpente di Butera, `u sirpintazzu, che sciama per le strade del paese in occasione della festa di San Rocco.

Analogo cammello rituale, anch'esso vorace ma con diverse motivazioni di nascita rispetto a quello messinese, è il camiddu di Casalvecchio Siculo che sfila accompagnato da tamburini e da un cammelliere durante la festa di S. Onofrio. Anche nel comprensorio calabrese, a S. Costantino di Briatìco, è il cammello con la sostanziale funzione di machina festiva attraverso la quale è possibile lecitamente procedere ad un esproprio di beni. La strana effige del cammello insomma si cónfigura, nelle sue modalità fruitive popolari, come machina esemplare atta a porre in essere rituali di disordine controllato, attraverso la temporanea ridistribuzione dei ruoli e dei beni che possono essere assegnati in modo differente che nella realtà ordinaria.

L'insaziabile fame e la irrefrenabile rapacità del cammellaccio, divennero proverbiali tanto che un tempo, a Messina, di persona arraffatrice si era soliti dire: "Fa comu `u camiddhu!".

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