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- Denise Vrenna -

 

Capo d’Orlando, situato in posizione intermedia tra Messina e Palermo, presenta nel proprio tessuto urbano il Castello dalle antiche origini ed il “più recente” Castello Bastione.
Il primo fu costruito per volontà di Carlo Magno, in memoria di Orlando, da cui il territorio, probabilmente, prese nome.
La costruzione, con funzione di difesa ed avvistamento, resistette alle numerose battaglie e divenne protagonista di un folto numero di leggende, sebbene la sua storia possa già ritenersi conclusa nel 1398.


In questo anno, infatti, la guerra sorta dall’assedio di Bernardo Cabrera ( conte di Modica ) nei confronti di Bartolomeo d’Aragona ( rifugiatosi presso il castello), ne determinò la rovina.
Attualmente risultano visibili i muri di sostegno ed alcuni degli interni, sottoposti ad interventi di risistemazione.
Il Castello Bastione, invece, detto anche Torre del Trappeto di Malvicino, potrebbe risalire al XIV secolo, in occasione della diffusione della coltivazione delle “Cannamele”. 


La torre, infatti, mirata alla difesa delle piantagioni dalle incursioni esterne, appare citata nel rapporto storico risalente alla metà del XVI secolo per volere dell’imperatore Filippo II.
Lo stemma in pietra che orna l’ingresso lega il complesso ai Conti di Naso, che in effetti  inglobò il territorio di Capo d’Orlando fino al 27 settembre 1925, anno in cui il Comune ottenne autonomia.
La struttura si erge su pianta quadrata (16,50x16,50 metri) e su tre elevazioni organizzate in base , piano operativo e terrazza, dal suggestivo panorama. 


Dal 17 aprile 1986 il Castello fu vincolato dalla Soprintendenza dei Beni Culturali, che procedette con il restauro e l’attuale risistemazione, che ne permise la funzione di “museo polivalente”.

 

 - Denise Vrenna -

 

Capizzi è annoverato tra i comuni siciliani situati presso i Nebrodi in posizione più elevata, registrando ben 1120 metri di altitudine.
Il territorio corrisponde, con molta probabilità, al centro di “Capytium”, citato da Cicerone nei suoi scritti.
Di origine romana, Capizzi deriva la propria denominazione dalla forma del colle su cui si eleva, la cui vetta rimembra le fattezze di una testa.


Fu merito dei Bizantini la sua trasformazione in cittadella, fino all’arrivo degli Arabi (presenti dall’827 al 966 d.C.) che, nell’860 vi eressero il castello dal ruolo difensivo, carcere e fortezza allo stesso tempo, ribattezzando il sito “Qajsi” o “Kabith”.
Il castello, a lungo conteso tra Arabi e Normanni, registrò precoci sintomi di decadenza, giungendo in rovina già intorno alla metà del XVIII secolo.


Scomparso nella sua interezza dal XIX secolo, si riduce ormai a pochi resti costituiti da materiali come malta e pietrame, di attuale proprietà pubblica

 

- Denise Vrenna -

 

Anche il bellissimo centro urbano di Brolo, il cui nome deriva dal latino “Brolum” (campo coltivato, giardino fiorito) è animato dal fascino storico-artistico esercitato dal castello, la cui posizione ricade quasi a picco sul mare.

La tradizione narra che il nucleo costruttivo risale all’antica torre consciuta con il nome di “Voab” (“rocca marina”) citata dai geografi arabi nel 1094 e da un documento del Gran Conte Ruggero.

 

Il complesso nella sua interezza, però, deve le proprie origini al tempo di Federico II di Svevia (XII secolo), la cui unione con Bianca Lancia diede vita al futuro re Manfredi.

 

Sarà la famiglia Lancia, infatti, a detenere (sebbene a fasi alterne) il possesso della fortezza, facendosi fautrice di un primo restauro e della stessa confisca del castello nel 1392.

Era il 1435 quando quest’ultimo tornò tra i possedimenti dei Lancia per merito della gratitudine nutrita al re Alfonso d’Aragona nei confronti di Pietro, esponente della famiglia.

 

La storia ci narra, poi, della figura di Girolamo Lancia Gaetani  e del suo legame con il castello, venduto successivamente a Michele Spadafora (marchese di Roccella).

Il destino del complesso, però, rimase inesorabilmente debitore alla famiglia Lancia fino alla metà del XVIII secolo, data del definitivo acquisto all’asta da parte di Vincenzo Abate marchese di Lungarini.

 

Passando per la famiglia Musto e per i Milio, il castello è di attuale proprietà dell’On. Antonio Germanà.

 

La struttura ha conservato esclusivamente parte dei bastioni delle cinta murarie e la torre a pianta quadrata, sebbene le condizioni generiche siano ottimali.

Fondamentale il ruolo assunto dalla torre che, nella sua parte inferiore, fungeva da guardia e che, attraverso una botola, dava via di fuga verso il mare. Da quì è inoltre possibile raggiungere lo splendido paesaggio panoramico offerto dal terrazzo.

 

I due ingressi presenti, l’uno soprannominato “Porta Fausa” alle spalle del castello e l’altro sovrastato da uno scudo marmoreo decorato con lo stemma dei Lancia (il leone rampante) danno accesso all’interno, caratterizzato da un’ampia sala con volta a crociera. 

- Denise Vrenna -

 

Il Castello di Alcara Li Fusi sorge in via Castello, centro urbano di un quartiere di origine medievale conosciuto come quartiere “Motta”.

La tradizione, narrata da Plinio e Dionigi di Alicarnasso, ci tramanda dell’esistenza di Turiano (dal nome di Turio, la sua città natale) tra i seguaci di Enea che, sbarcando nel territorio compreso tra Acquedolci e Sant’Agata di Militello, si diresse verso l’entroterra, ove fondò il Borgo Turiano,  successivamente denominato “Alcara” dai Normanni.

 

Il termine gode di svariate interpretazioni, concretamente riconducibili ai significati di “fortezza” o “castello”.

Questo, infatti, viene già documentato in un diploma greco del 1095.

Denominato anche “Castel Tauro”, è di attuale proprietà comunale.

 

Del complesso di impianto rettangolare, con accessi sui lati più lunghi, è rimasto come unico elemento superstite la torre a pianta quadrata, posta su un rialzo roccioso.

 

I materiali impiegati, di probabile derivazione locale, erano molto semplici: blocchi e ciottoli, di forma irregolare, legati con malta.

Il Castello, vittima del dannoso terremoto del 6 ottobre 1490 (responsabile del crollo dell’aquila decorativa in pietra, sovrastante l’entrata) e del più recente sisma del 1968, è stato oggetto di restauri apportati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina tra il 1980 ed il 1983.

 

E’ grazie a questi interventi che, ad eccezione dell’originaria torre, prende attualmente forma la struttura fortificata.

- Denise Vrenna -

 

Il Castello di Acquedolci, denominato anche “Castello Cupane”, affonda le proprie radici nel XVI sec., quando i baroni catalani Larcan De Soto si occuparono della costruzione della torre di avvistamento a pianta quadrata, utile alla difesa della costa, facente parte del progetto difensivo organizzato da Carlo V.

 

La torre reppresenta il nucleo intorno al quale procedette la costruzione del castello nella sua interezza, impegno edilizio che occupò i decenni compresi tra la fine del XVII (probabilmente a partire dal 1660) e l’inizio del XIII secolo.

Il complesso, dotato di impianto rettangolare a corte con torrette circolari ai rispettivi angoli Nord/Est e Nord/Ovest, attualmente si presenta in accentuato stato di degrado.

 

Della torre cinquecentesca è andata demolita gran parte della struttura nel XX sec., probabilmente anche in seguito alla distruzione apportata dalla frana del 1922, mentre degli interni risultano visibili le zone adibite alla cantina, agli appartamenti privati ed al salone, ma particolarmente rilevante risulta la presenza della Chiesa di San Giuseppe (attualmente sconsacrata), ornata da un altare settecentesco ed architettonicamente recuperata.

 

L’esterno è caratterizzato dall’impiego di pietra, laterizi e malta lasciata a vista.

Appartenente al momento della fondazione ai Principi di Palagonia, il Castello fu venduto nel XIX secolo alla famiglia Cupane, responsabile di un ampliamento degli spazi,  sino a divenire, in tempi recenti, proprietà del Comune, con l’intento di potenziarne l’importanza storico-artistica.

 

I progetti, infatti, mirano al recupero di alcuni locali ed al seguente impiego degli stessi spazi per attività culturali, ospitando un’eventuale biblioteca, una sala convegni, un auditorium, una pinacoteca ed un museo.

 

Attualmente il castello è liberamente visitabile dall’esterno.

- di Rosario Fodale -

 

Sfogliamo assieme le pagine di questo sito, dedicato ai castelli  della Provincia di Messina , per rivivere gli antichi tempi delle feroci lotte delle fazioni, del sempre incombente pericolo delle incursioni barbaresche, ma anche dei romantici «cavalieri senza macchia e senza paura», dei languidi sospiri delle castellane, dei menestrelli e dei sommessi accordi di mandole al chiaro di luna.


I castelli siciliani,  hanno da tempo costituito oggetto di continuo interesse, e ci siamo permessi , di estrapolare, da libri, deplian illustrativi inviatoci da Comuni, da Enti al Turismo, scritti su quotidiani e riviste, dati unite a tante ricerche che vi presentiamo, sperando di farvi piacere.


Poi, abbandoniamo, per un solo momento, il rigore storico e permettiamoci una licenza, estrapolando con la nostra fantasia dalla effettiva realtà, sognando ad occhi aperti, a rischio infine di dubitare se i «tempi più feroci e men felici» siano stati quelli passati o lo siano gli attuali.
Un dubbio che ognuno di noi potrà risolvere a suo modo.

ACQUEDOLCI
ALCARA LI FUSI
 BROLO
CAPIZZI
CAPO D'ORLANDO
CARONIA
CASTELLUCCIO
CASTROREALE
CESARO'
FICARRA
FITALIA
FIUMEDINISI
FOCERO'
FORZA D'AGRO' FRANCAVILLA DI SIC.
GALATI
GIARDINI NAXOS - SCHISO'
GIOIOSA GUARDIA
LIBRIZZI
LIPARI
LONGI
MARTINI
MESSINA -PALAZZO REALE
MESSINA-Castello del SAN SALVATORE
MESSINA-Castello MATAGRIFONE
MIGAIDO
MILAZZO

MILITELLO ROSMARINO
MIRTO
MISTRETTA
MOJO
MONFORTE
MONTALBANO
MOTTA CAMASTRA
MOTTA D'AFFERMO
MOTTA DELLA PLACA MOTTA SAN NICOLO'
MUELI
NASARI
NASO
NOVARA di SICILIA
OLIVERI
PATTI
PETTINEO
PIETRA DI ROMA
PIRAINO
PROTONOTARORACCUJA
ROCCALUMERA -TORRE Saracena
ROCCAVALDINA
ROCCELLA VALDEMONE
ROMETTA
SAN FRATELLO
SAN MARCO
SAN PIERO PATTI
SANT'AGATA di Militello
SANT'ALESSIO
SANTA LUCIA
SANT'ANGELO di Brolo
SANTO STEFANO DI Camastra
SERRAVALLE
SAPONARA
SAVOCA
SCALETTA
SINAGRA
TAORMINA-Monte Tauro
TAORMINA -Castello Saraceno
CASTELMOLA
TINDARI
TORTORICI
TRIPI
TUSA -della Marina
TUSA
UCRIA
VENETICO
VILLAFRANCA T.- di Bauso
VILLAFRANCA T. - di Calvaruso 

- di Giovanni Tomasello -

 

Per noi di Messinaweb.eu assistere questa mattina alla presentazione alla città, della restituzione di questa importantissima, per la storia di Messina, lapide di Costanza d’Altavilla, restaurata grazie, e proprio il caso di dirlo, alla costanza di tre persone eccezionali come Daniele Espro, Daniele Rizzo e Aurora Smeriglio nostra socia e nume tutelare della Associazione Culturale “Messinaweb.eu”, è stata una grande emozione.

Peccato per l’assenza del nostro amato Presidente Rosario Fodale, fuori città per motivi personali, ma presente con la mente e lo spirito di un cittadino, che malgrado la non nascita messinese, ha dimostrato con i fatti di voler bene a questa nostra città come fosse sua.  E’ stato grazie al forum presente nel sito dell’Associazione l’incontro tra questi tre ricercatori che nell’arco di due anni, come ci hanno spiegato in una intervista che leggerete a parte, hanno portato a termine tra mille difficoltà, soprattutto di natura burocratica, il restauro di un’opera che merita giustamente di tornare in possesso della comunità messinese e non solo.

Nel salone delle bandiere di Palazzo Zanca, gremito in ogni ordine di posti, e anche in piedi, nello spazio lasciato libero dall’ufficio del soggetto attuatore per affrontare i danni dell’alluvione dell’Ottobre 2009, erano presenti tutti gli esponenti degli Enti che hanno reso possibile questa operazione di enorme valore culturale: il Sindaco Giuseppe Buzzanca in primis, che ha reso possibile il restauro grazie ai fondi del Comune, il direttore del Museo Regionale di Messina Prof. Gioacchino Barbera, dove la lapide era confinata fin dal terremoto del 1908 che tolse alla sua originaria dimora (il Duomo) questa inestimabile opera, il consigliere culturale della Fondazione Bonino-Pulejo Piero Orteca, il quale a nome della Fondazione si è reso disponibile da subito a procedere al restauro dell’altra lapide quella dedicata al marito di Costanza d’Altavilla, l’imperatore Enrico VI, Michele Cappotto, altro socio della nostra Associazione, che ha dato anche lui un importante contributo, il Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Previti, e un folto pubblico soprattutto di giovani amici dei nostri Daniele Espro e Daniele Rizzo che si sono contraddistinti, malgrado la loro giovane età, per questo grandissimo amore che hanno dimostrato per Messina, alla quale hanno donato fin da adesso un prezioso lascito.

I lavori sono stati coordinati dal capo dell’ufficio stampa del Comune Attilio Borda Bossana che in avvio dell’incontro non ha disdegnato di ricordare che proprio nel 1989 Palazzo Zanca “ospitò la pergamena che parlava dell’evento del porto franco e della conferma che venne data da Costanza d’Altavilla”, dando subito la parola al nostro Daniele Rizzo, il quale si sofferma sul periodo storico della fine del 1100, quando Enrico VI decise di concedere il “porto franco” a Messina: “l’impero romano-germanico, indebolito nei rapporti con il papato, seppe espandersi verso il sud Italia, governato dagli Altavilla da quasi un secolo, dopo la dominazione araba. Guglielmo II in fin di vita,  nomina Costanza destinata alla vita monacale come erede piuttosto che l’unico erede maschio Tancredi d’Altavilla figlio illegittimo.

In vista di questa svolta, Federico imperatore di Svevia, si accorda con gli organi del Regno di Sicilia per celebrare un matrimonio di stato, affinché gli Oustaffen si impadronissero del Regno di Sicilia senza le armi, al contrario degli Altavilla che volevano un erede legittimo. Purtroppo la regina Costanza che aveva già superato i 30 anni, e che per il periodo medievale equivaleva ad una persona di mezza età, dovette cedere il posto a Tancredi. Enrico VI marito di Costanza si oppose a questa decisione, presa in accordo con il Papato, e mosse contro la flotta siciliana che però lo sconfisse, abbandonando la Sicilia. Nel 1194 Tancredi muore, e il trono passa all’infante Guglielmo.

A quel punto Enrico decide nuovamente, ma stavolta con una armata di terra, di scendere ad impossessarsi del trono di Sicilia e stavolta sottomette facilmente la popolazione. Nel secolo di dominazione degli Altavilla, Messina conosce una fioritura.

Il restauro della lapide di Costanza d’Altavilla nasce dal desiderio di far rivivere questo florido periodo storico della città, da molti dimenticato”.

L’intervento dello studente ricercatore Daniele Espro verte invece sulla descrizione dell’importanza della concessione del “porto franco”. “Dal 1194, iniziano una serie di interventi a favore di Messina da parte di Enrico VI del Sacro Romano Impero. Il primo porto franco, il primo beneficio da parte del sovrano è a favore del Monastero del Santissimo Salvatore dei Greci. Il porto franco,detto anche “zona economica libera” è un territorio delimitato che gode di molteplici benefici, come l’esenzione dal pagamento delle tasse. Nel caso di Messina, questa poteva importare e esportare merci senza pagare tasse.

Il porto franco confermato da Ferdinando II di Borbone nel 1853, non è nient’altro che la concessione fatta da Enrico VI e Costanza d’Altavilla. Questa istituzione durerà fino al 31 Dicembre 1879 quando i Savoia decisero di eliminarlo. Da questo momento in poi Messina entra in un periodo di decadenza. Le sue fortune, comunque, risalgono all’Aprile – Maggio del 1197, quando l’imperatore Enrico VI concesse il suddetto privilegio, in quanto Messina non era solo una città nobilissima , ma fedelissima. L’importante disposizione prevedeva non solo l’annientamento delle tasse per tutte le navi che entravano o uscivano dal porto, ma anche l’allargamento del distretto messinese fino all’estremità del territorio catanese. Le città comprese in questo comprensorio dovevano aiutare Messina, nel caso veniva attaccata da terra o da mare. Il porto franco prevedeva anche che lo Stratigoto, il magistrato cittadino, un capitano d’armi, non potesse essere in alcun modo messo in discussione. Il 22 Settembre 1197,  accade una cosa importantissima, all’interno dell’attuale Duomo.

Enrico VI, Costanza d’Altavilla e il piccolo Federico II, accompagnati dall’arcivescovo, decide di regalare a Messina un feudo calabrese, dopo le concessioni del 1194 e del porto franco. Morto Enrico VI, Costanza d’Altavilla, in memoria del marito, decide di riconfermare la concessione del porto franco. Quindi la lapide a Lei dedicata, rappresenta la riconferma di questo privilegio.

Le tavole di Enrico VI e della stessa Costanza erano conservate nel Museo Regionale. E qui voglio ringraziare il direttore Barbera per averci consentito, assieme al Sindaco e altre persone di realizzare questo che per noi è un sogno. Per noi, il sottoscritto, Daniele Rizzo e Aurora Smeriglio, questo non è un traguardo, bensì un punto di partenza, verso il rifacimento della lapide di Enrico VI così da essere ricongiunta a quella della moglie. Collocate per secoli nel Duomo nella parte del trono del legato apostolico. Il legato apostolico era un delegato papale che permetteva la consacrazione dei vescovi messinesi nella loro città, invece di recarsi a Roma.

Quindi le due lapidi, per motivi di prestigio vengono poste in quel punto. Ma il 13 Marzo 1871 la legazia apostolica scompare, e il cardinale Guarino, decide di eliminare quel trono per sostituirlo con la soglia arcivescovile. Il terremoto del 1908 provoca la distruzione del Duomo, e le due lapidi già danneggiate dal tempo e dalle conseguenze del precedente terremoto del 1783, si staccano dal muro e si riducono in frammenti. Ma dopo qualche giorno, grazie all’indefesso lavoro di alcuni cittadini messinesi, fra cui il Mandalari che ha scritto anche un libro sulle due lapidi, i monumenti vengono recuperati e portati nel Museo Nazionale, poi Regionale.

La lastra di marmo, quando si è iniziato il restauro, si presentava fratturata e alcune parti mancanti. La pulitura è stata di tipo chimico, tramite l’utilizzo del carbonato di ammonio. Ed anche di tipo meccanico, con scalpelli e altro, per rendere nuovamente visibili i caratteri, su marmo poroso. Poi, la fase di montaggio. Possibile grazie all’unione dei pezzi con bastoncini di vetroresina che collegano ogni singolo pezzo. Quindi la lapide è stata riunita di tutti i pezzi, quelli esistenti e quelli no, compensati con del sughero, e dopo è stata applicata, tra i frammenti, della resina, in modo da rendere tutto il monumento più elastico e meno rigido. Poi la fase finale di riempimento delle vaste lacune. Molto delicata, perché il marmo di Paros è fragilissimo. Come ultima procedura si è dedicato all’applicazione di cera microcristallina. Quindi la lapide ha un supporto in fibra di carbonio, lo stesso materiale usato per costruire le ali di un aereo. E poi l’inserimento di acciaio”.


Interviste

 

- di Giovanni Tomasello -

A margine dell’incontro, abbiamo voluto avvicinare i tre artefici della restituzione alla città di questa importante opera d’arte: Daniele Espro, Daniele Rizzo e Aurora Smeriglio.

Prima, però, voglio brevemente ricordare le parole del direttore del Museo Regionale Gioacchino Barbera, che ha sottolineato la necessità, dopo l’esposizione nell’atrio di Palazzo Zanca, della lapide di Costanza d’Altavilla che bisognerà mettere in totale sicurezza, che verosimilmente durerà circa un anno, di riportarla alla sua antica dimora, il Duomo di Messina, assieme all’altra lapide restaurata di Enrico VI, cui la Fondazione Bonino-Pulejo ha già preso l’impegno di provvedervi.

“Aurora Smeriglio, in quanto tempo avete realizzato questo restauro?

“L’opera è iniziata nel Giugno 2008. Innanzitutto, cercando di capire se questa lapide era presente al Museo Regionale. Poi, una volta accertato questo, abbiamo valutato con il direttore Barbera la possibilità di visionarla. Cosa che ci è stata concessa. Quindi la certezza che si poteva cominciare il lavoro. Dopo, abbiamo cercato di appassionare qualcun altro nell’opera di restauro. Perché, ovviamente, per restaurarla occorrevano ingenti finanziamenti. Abbiamo messo in giro questa nostra volontà di restaurare la lapide, e a volte siamo stati demoralizzati da parte di  chi diceva che non era possibile il restauro, e di contro altri che ci incoraggiavano ad andare avanti. Abbiamo aspettato risposte che puntualmente non sono arrivate, finchè il Comune non ha deciso di finanziare l’opera. Da quel momento è partita la lungaggine burocratica, più il restauro in se stesso che consisteva in quattro mesi di lavoro”.

“Daniele Espro, le difficoltà sono state più che altro di natura burocratica?”

“Si. Perché navigare all’interno dei meandri della burocrazia è difficilissimo. Molte volte ci siamo demoralizzati per questo. Ma siamo sempre andati avanti con determinazione e poco per volta abbiamo centrato l’obiettivo”.

Daniele Espro è uno studente di 22 anni, nativo di Abano Terme in provincia di Padova. Il padre è messinese, la mamma finlandese. Studente presso la Facoltà di Archeologia a Padova. Si interessa di storia, collezionando cartoline della sua città natia.

“Daniele Rizzo, come è nato questo incontro con gli altri due?”

“Dobbiamo ringraziare la piattaforma di Messinaweb.eu con il suo forum che ci ha fatto incontrare. Accomunati, in primis, dalla passione verso la storia di Messina. Da questo incontro è nato il progetto a distanza di un anno di conoscenza. Guardando una  foto del Duomo pre terremoto, ci eravamo soffermati sulle lapidi esposte a fianco del portone principale. A quel punto ci siamo chiesti: dopo tanti studi e ricerche,  c’è qualcosa che possiamo fare concretamente per dire ho servito Messina, ho aiutato Messina? Questo è stato il motore di tutto”.

Daniele Rizzo studente messinese presso la Facoltà di Farmacia, indirizzo chimica e tecnologia farmaceutica. Cresciuto con la passione verso la storia della sua città, fin dall’età di 10 anni, quando lesse un libro del prof. Franz Riccobono, man mano  realizza una piccola biblioteca personale che gli è servita per coltivare questa storia della città.

Da evidenziare, infine, che per il restauro della lapide di Enrico VI non saranno loro i primi attori, anche se daranno un contributo per così dire esterno alla Fondazione Bonino-Pulejo che si è intestata questo intervento di restauro.


Comunicato stampa

LA LAPIDE DI COSTANZA D'ALTAVILLA POSTA NEL DUOMO DI MESSINA NEL SITO ORIGINARIO SOTTO LA CATTEDRA EPISCOPALE

 

"Un grande esempio di qualificata, puntuale sinergia tra Istituzioni": è quanto hanno evidenziato stamani, il sindaco di Messina, on. Giuseppe Buzzanca; il direttore del Museo Regionale di Messina, dott.ssa Giovanna Maria Bacci; il decano del Capitolo dei Canonici della Cattedrale, mons. Angelo Oteri, ed il parroco mons. Letterio Gulletta, intervenuti al Duomo alla cerimonia di concessione in deposito della Lapide di Costanza d´Altavilla, rientrata dopo quasi un secolo, nella sua sede originaria.

La lapide infatti è stata posta ai piedi della Cattedra episcopale, proprio limitrofa la sua originaria collocazione del gennaio 1198 e sotto la successiva posizione che aveva assunto, vicino l'organo lungo la navata, dopo il sisma del novembre nel 1894, per decisione del cardinale Giuseppe Guarino, 104º Arcivescovo di Messina. Il sindaco Buzzanca ha evidenziato il valore dell'iniziativa e la spinta propositiva venuta da tre appassionati di storia patria, Daniele Espro, Daniele Rizzo ed Aurora Smeriglio che permise di avviare nel settembre del 2009, la sinergia tra il Comune ed il Museo Regionale per il progetto di restauro dell´importante cimelio.

Dal marzo del 2010 la Lapide è stata esposta sino a ieri nell´atrio comunale, da dove la responsabile delle collezioni museali, dott.ssa Caterina Di Giacomo, l'ha ripresa in consegna per il trasferimento al Duomo, grazie al provvedimento autorizzativo di concessione di deposito esterno, dell´Assessorato Regionale per i Beni Culturali e dell´Identità siciliana.

Il prossimo 3 luglio, alle 19.30 per gli appuntamenti di Fede Arte e musica estate, promossi dalla Diocesi di Messina, il professore Giovan Giuseppe Mellusi, relazionerà sulle vicende storiche della Lapide e sarà proposto anche un concerto di un Decimino con arpe celtiche. Transitata in frammenti, alle collezioni del Museo regionale in seguito al sisma del 1908, con il suo pendant dedicato all'Imperatore Enrico VI, tuttora custodito nei depositi museali ed in attesa anch'esso di restauro, la Lapide di Costanza del gennaio 1198 è testimonianza di una pagina storica della città. Figlia di Ruggero II,"il Normanno" e di Beatrice di Rethel, Costanza d´Altavilla, sposò Enrico VI; dopo la morte del sovrano, avvenuta a Messina il 28 settembre del 1197, Costanza tenne la tutela e la reggenza del figlio, facendolo poi incoronare re di Sicilia.

Prima di tornare a Palermo, volle confermare in segno di rispetto per Messina, il privilegio del Porto Franco, emanato dal marito a favore della città. La cittadinanza messinese, quale riconoscimento allo scomparso imperatore del Sacro Romano Impero che aveva concesso alla città di Messina il privilegio del Porto Franco, realizzò le "lapidi di Enrico VI e Costanza d'Altavilla" che furono collocate all´interno della cattedrale di Messina. Realizzate in marmo proveniente dall'isola greca di Paros, nell'arcipelago delle Cicladi, contengono caratteri a sesto acuto e misurano rispettivamente 0,75 centimetri per 1 metro e 93 centimetri.

Comune di Messina - Ufficio Stampa

Comunicato n.1307 del 24-06-2011

  

da sinistra presidente crocetta on.le laccoto presidente Nadia Lucinaoe gli onorevoli Panarello e Rinaldi

Il Presidente Dott.ssa Nadia Luciano e il vicepresidente Maria Puglisi, del Comitato “Per la Ricostruzione di Saponara” rendono noto, che a seguito di un lavoro apartitico ma pressante nei confronti dei consiglieri regionali, l’emendamento n.11 “fronte per i disagi ed eventi calamitosi del Messinese”, contenente i fondi destinati alla autonoma sistemazione delle popolazioni oggi ancora sfollate, inserito nel maxiemendamento della legge finanziaria, è stato approvato nella notte tra il 30 Aprile e il 01 Maggio 2013 dopo due giorni d’intensa attività parlamentare.

 

Attività parlamentare che ha visto protagonisti consiglieri regionali di colori trasversali, ai quali il Comitato scrivente si è rivolto, seguendo per due intere giornate, tutta la diretta streaming dei lavori d’aula dell’ARS ed interagendo continuamente con i deputati regionali minuto dopo minuto, ora dopo ora sino alle 05.15 della mattina, ora in cui l’emendamento è stato approvato.

 

Il comitato, quindi, ringrazia il Presidente Rosario Crocetta, il Presidente dell’Ars On.le Giovanni Ardizzone (UDC) l’On.le Giuseppe Laccoto autore dell’emendamento (PD) e gli Onorevoli sottoscrittori  Maria in Di Marco Cirone (PD) Filippo Panarello (PD) Concetta Raia (PD) Francesco Rinaldi (PD) Giuseppe Picciolo (DR per la Sicilia) e gli On.li Alberto La Spada e Valentina Zafarana (M5S), quest’ultimi che hanno vigilato sull’iter.

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